Dopo aver parlato di personaggi di spicco del verticale, con prestazioni sportive rilevanti sempre teste allo spasmo, oggi ci dedichiamo ad un “montagnardo” innamorato delle vette, con la penna e con la propria “inguaribile” passione romantica per l’Alpe.
Ci stiamo riferendo a Giuseppe Giorgio Magrin, “Bepi”, vicentino classe 1948.
Questo scalatore è riconosciuto come un esploratore ed apritore di vie, attraverso le sue realizzazioni e le sue innumerevoli pubblicazioni. “Bepi” vive a Valdagno, ai piedi delle Piccole Dolomiti e del Pasubio, ma trascorre sempre parte dell’anno in viaggio nel mondo, tra l’Ecuador ed i vari paesi di Africa od Asia… In questi stessi giorni, nonostante l’uscita recente della sua ultima fatica letteraria, “Corda Libera”, sta preparando un’imminente spedizione tra le Ande e l’Amazzonia…
Prima della sua ennesima partenza abbiamo pensato di intervistarlo al volo per conoscerlo da più vicino e ne è scaturito un colloquio davvero interessante.
Sei uno scrittore Accademico del GISM, cosa significa?
Il Gruppo Italiano Scrittori di Montagna è una Accademia di Arte e Cultura Alpina, raccoglie scrittori e artisti tout-court (pittori, fotografi, scultori, ecc)… che hanno particolare sensibilità e affinità col mondo della montagna in generale e producono le loro opere che spesso hanno per tema la vita e la natura della montagna e sulla montagna. I nomi di molti dei nostri associati dicono essi stessi molto a coloro che sono attenti alla cultura di montagna, a cominciare da quello del nostro Presidente Spiro Dalla Porta Xidias che è una grande e ben riconosciuta autorità della cultura di questo mondo.
Sei per altro uno dei sette consiglieri nazionali: quali sono i tuoi impegni ed obiettivi a riguardo?
Si, sono Consigliere Nazionale, riconfermato nell’incarico per la terza volta e onorato di esserlo. La mia presenza all’interno del Consiglio è particolarmente tesa a collegare col GISM le realtà emergenti nel mondo della montagna, che come si sa, è un mondo in rapidissima evoluzione, evoluzione che riguarda l’approccio etico e filosofico coi valori della tradizione montanara e alpina.
Iniziative come la manifestazione “Tra le rocce e il cielo“ nascono da mie conoscenze personali che ho potuto (grazie al Gism) tradurre in eventi di una certa rilevanza e soprattutto forieri di possibili sviluppi interessanti. Lo stesso vale per il convegno di Milano dove ho chiesto al Consiglio (che ha accolto con entusiasmo la mia proposta), di uscire dal giro ripetitivo degli interventi dei soliti noti e di far parlare i giovani, perchè quello è il futuro! Oggi la montagna è un campo sconfinato di possibili interpretazioni dell’ambiente stesso e del modo di fruirne. Personalmente sono piuttosto legato ad un modo di vedere l’alpinismo tradizionale e al romanticismo dei vecchi “Bergvagabunden” e di alpinisti esploratori dei monti e di sé stessi, come per esempio è stato ed è l’amico Alessandro Gogna o prima Heinz Steinkotter, Kurt Diemberger, e gli altri.
Quanti libri hai scritto?
Ho scritto (o curato) in tutto 36 libri. Molti riguardano la guerra in alta montagna (materia nella quale sono ritenuto un buon specialista) ma… se va bene, non ho finito e il Presidente Spiro che ne ha scritti poco meno di 50, mi ha detto che batterò certamente il suo record (anche per ragioni di età). Non potevo che rispondergli che non è la quantità che conta, ma ovviamente la Qualità!
Da quando vai in montagna?
Dai tempi dell’Oratorio, da quando ero adolescente, lo racconto nel libro “Corda libera” che è un discreto riassunto del mio modo di avanzare nel cammino non sempre facile della vita.
Come hai iniziato?
Da ragazzo subivo l’attrazione inevitabile che si ha per le cose che ti mettono paura. Passando in corriera per i tornanti del Sella, vedevo grandi pareti con piccoli punti rossi che si muovevano su quelle lastre impossibili, e volevo capire come facessero quelli a salire. Poi i campeggi dell’Oratorio che ci portavano a vedere bellezze mai viste e la competizione naturale tra coetanei con la suggestione delle prime notizie che si apprendevano dalla TV o dalla radio.
Erano le grandi direttissime dove gli scalatori -rappresentati come veri eroi- stavano in parete giorni e giorni anche d’inverno per fare la nuova via a goccia cadente. Mai avrei immaginato che quello dello “scalatore” sarebbe stato per molti anni il mio principale lavoro (Guida alpina militare) e proprio su quelle pareti del Sella che da bambino guardavo con tanta reverenza.
Da quanti anni pratichi l’alpinismo?
Da quasi 50 anni! E ancora salgo abbastanza in alto quando posso, sto infatti partendo per l’Ecuador dove stavolta conto di salire l’Antisana!
È il tuo mestiere?
Oggi sono un (poco) tranquillo pensionato, scrivo, vado in montagna, viaggio e faccio anche il nonno! Finché posso!
Quale era la tua professione?
Sono stato militare (alpino) dal 1968 al 1996. Pur essendo specializzato in trasmissioni riuscii a diventare Istruttore Militare scelto di alpinismo (più tardi ci attribuirono la qualifica di Guide Alpine Militari). Con questo tipo di compito restavo in montagna per quasi tutto l’anno.
Due corsi alpinistici: Primaverile (40 gg) e Estivo-autunnale (60 gg.) nelle Dolomiti e nell’Ortles, cui si aggiungevano i cosiddetti Raid che comprendevano scalate, bivacchi, dimostrazioni, ecc.. (venivano a vederci arrampicare delegazioni anche straniere e generali vv.) e Campi estivi – autunnali, invernali durante i quali prestavamo assistenza ai reparti che muovevano in montagna attrezzando le vie, facendo Squadre di soccorso addestramenti con elicottero, ecc…
D’inverno c’erano i Corsi Sci e i CASTA (campionati sciistici delle truppe Alpine) Inoltre frequentavamo i corsi e gli aggiornamenti alla SMALP (Scuola Militare Alpina di Aosta) con attività sul Monte Bianco, Gran Paradiso, Monte Rosa ecc. ed io ero abilitato “Tecnico del Soccorso alpino” e “Specialista Neve e valanghe”.
Sono anche stato 5 mesi in Antartide dove c’è una base italiana e su questa esperienza ma soprattutto sui grandi pionieri che erano stati la (ho ritrovato per caso la slitta di Scott) ho scritto il libro “Antartide terra di frontiera”.
Quante vie hai aperto?
Ho aperto una sessantina di vie e moltissime le ho ripetute per diletto e per mestiere. Chiodi? Dove le difficoltà erano grandi, si lasciavano i chiodi per i ripetitori, anche per indicare la via giusta. Mi è capitato che un alpinista sia venuto a casa mia con un chiodo che recava impresso il mio nome chiedendomi più o meno scherzosamente, se era quello il modo di piantarli (gli era rimasto in mano!). ” Guarda, – gli risposi – : quando si apre una via, capita anche che si metta quello
che noi chiamavamo il “chiodo morale” Guardi il chiodo e dici… c’è il chiodo posso passare… altro é attaccarcisi di peso! In quel caso occorre prima assicurarsi che possa tenere! Del resto il nostro era un alpinismo di rischio (sottolineo questa parola) finito quello, finiva il sale del nostro andare… come ho detto, eravamo romantici e anche un po’ matti! Mi preoccuperei se mio figlio avesse quello spirito.
In che senso hai ripetuto le vie “per mestiere”?
Come scrissi tempo indietro anche su Lo Scarpone, i Corsi Alpinistici Militari delle Brigate Alpine (una volta erano cinque) sono/erano i più completi e performanti corsi che esistono/erano poichè a differenza di quelli che possono organizzare le Sezioni CAI (di solito 7-10 uscite pratiche e alcune lezioni teoriche) durano oltre un mese, con fasi introduttive teoriche e pratiche e circa una ventina di salite (pratiche) di vie più o meno lunghe e di percorsi in ghiaccio.
In tal modo un allievo (anche neofita) è veramente introdotto al mondo della arrampicata e discretamente preparato ad affrontare le difficoltà alpinistiche in genere. Gli Istruttori (o Guide Mil.) compivano prima dei corsi, una fase propria di aggiornamento soprattutto pratico, percorrendo una decina di vie di alta difficoltà senza allievi al seguito, inoltre avevano costanti contatti con gli alpinisti militari d’oltrAlpe: francesi, svizzeri, tedeschi e anche di paesi del terzo
mondo, ciò che consentiva di ampliare i propri orizzonti e aggiornarsi con le conoscenze tecnico pratiche di alpinisti stranieri.
Un Istruttore Militare, a differenza di una guida alpina civile che per Legge non può arrampicare oltre il 4° grado con più di due persone al seguito, affrontava le vie con 10, 12 o anche 14 allievi al seguito, doveva pertanto avere un occhio e una esperienza non comune per concludere le salite senza incidenti. Ho scalato lo spigolo della De Lago al Vajolet 19 volte e anche con 14 allievi, lo Spigolo del Pollice 12 volte c.s. così la via Maria al Pordoi o altre “classiche” dolomitiche: Piz
Ciavazes, ecc… saliti decine di volte senza mai un incidente serio.
Dove hai scalato?
Nelle Piccole Dolomiti oltre alle vie classiche avevo scoperto il mio regno nel sottogruppo del Kerle. Quello era il posto privo di sentieri e ricco di pareti e guglie pressoché vergini, dove potevo sbizzarrire la fantasia e la creatività che un alpinista “di ricerca” deve avere.
Ho scalato moltissimo per mestiere nelle Dolomiti del Sella del Pordoi, nel Catinaccio, un po’ nelle Pale di san Martino, Lagorai, nelle Giulie, nel Brenta, ecc…
Poi ho salito grandi montagne, ma la non si trattava di scalare nel senso che noi intendevamo la scalata, erano grandi fatiche e lotte col maltempo e il disagio dell’altitudine, quello che si vive nella maggior parte delle imprese himalayane che sono altra cosa dalla scalata in roccia. Ho praticato veramente a fondo per mestiere e per passione le cime dell’Adamello-Presanella e dell’Ortles-San Matteo, anche là non c’era l’assillo del passaggio difficile, ma si viveva nella montagna alta, deserta e gelata con la quale, in una età non più così giovane, ho trovato la naturale prosecuzione
del mio rapporto con l’alto.
Qual è la tua via ideale?
Grandi placche, fessure verticali, rocce a perpendicolo sul vuoto e difficoltà fino al 5° grado, è li che si prova la gioia della scalata, di innalzarsi con le proprie forze e il proprio intuito, cavandosi dall’attrazione del vuoto e magari portando dei compagni buoni a condividere la sensazione di potenza che ne scaturisce. La via che ho aperto sul Tribulaun di Fleres in parte rispecchia il mio carattere da questo punto di vista.
Chi sono e chi erano i tuoi miti ed i tuoi punti di riferimento?
Qui, nell’alto vicentino siamo cresciuti sull’erba seminata da Gino Soldà, Mario Boschetti, Cesco Zaltron (mio amico e maestro), ma il mio mito era un alpinista sconosciuto come Roberto Fabbri piemontese trapiantato a Vicenza, che non era fortissimo, ma che aveva uno speciale rapporto con gli ambienti-rifugio degli alpinisti più educati, colti e sensibili. Roberto cadde dal Baffelan… la fine degli eroi più puri come Comici, Castiglioni e Preuss!
Cosa diresti ad un ragazzo che inizia a fare arrampicata o alpinismo?
Gli direi di non credere che arrampicare sia solo un gesto atletico, perchè raggiunger cime, (anche quelle metaforiche della vita), è una via per la conoscenza di sé stessi e del mondo. Bene l’esercizio fisico, ma il fine vero è la conoscenza tout-court!!
Quale è il futuro dell’arrampicata e quale quello dell’alpinismo?
Mi pare che sia finita l’epoca romantica (la mia), che si veda tutto in chiave tecnologica, tempi, gradi, misure! Ma l’uomo ha anche un’anima (o quantomeno uno spirito) e sono certo che la riscoprirà con chiavi nuove. Qui entriamo nel campo che è precipuo del GISM la cui filosofia dichiarata da Spiro Dalla Porta nei nostri vari “manifesti”, è che l’alpinismo non è uno sport (o quantomeno non solo questo), occorre mettere qualche dose di amore, intelligenza, cultura, conoscenza, amicizia e altre cose immateriali, ma fondamentali, e ai giovani dico: conoscete la storia per sapere da dove veniamo e dove stiamo andando.
Qual’è il tuo prossimo progetto in campo alpinistico e in campo letterario?
Sto partendo per l’Antisana (un grande vulcano ghiacciato e ..dimenticato) che fa da ponte tra il paramo andino e la verde Amazzonia… è pieno di ghiaccio e crepacci ed è quasi sempre avvolto nelle nuvole, se giungo là sopra voglio fare un discorso serio con la montagna, ringraziarla di quel che mi ha dato sin qui e pregarla di lasciarsi salire ancora un poco….
Poi scriverò ancora e invece di raccontare le mie storie modeste e forse noiose, o scrivere di guerre lontane, mi piacerà raccontare qualcosa che scaturisce dalla immaginazione e cavalca l’onda dei sogni che vorrei ancora condividere!
Intervista di Christian Roccati
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