È morto a Rovereto ieri 1 settembre: ci lascia un grande dell’alpinismo.
Pubblicare sulle nostre pagine la notizia che Armando Aste – alpinista, rocciatore tra i più forti italiani negli anni ’50-’60, ma soprattutto grande uomo – ci ha lasciati all’età di 91 anni, è triste perché Armando ci ha regalato per queste stesse pagine alcuni passaggi molto significativi.
Due anni fa, per l’edizione 2016 del Trento Film Festival, andammo a fargli visita nella sua casa di Sacco a Rovereto per raccogliere la sua testimonianza in video, che sarebbe poi stata affiancata a quella di un altro grande dell’alpinismo storico – Spiro Dalla Porta Xydias – a cui era legato da fraterna amicizia: insieme le voci e i volti di questi due grandi saggi vennero proiettate al pubblico del Festival durante l’incontro che il Presidente del Festival Roberto De Martin aveva esplicitamente voluto inserire in programma in onore di questi due importanti soci onorari del CAI. Era inizialmente stata prevista la presenza fisica di entrambi all’incontro, ma poi per tutti e due le ragioni di salute avevano costretto a queste registrazioni in video: l’effetto sul pubblico non fu da meno, e si riuscì comunque a far giungere forte il loro messaggio di grande amore per la montagna e per la ricerca di senso che entrambi avevano indissolubilmente legato ad essa. Armando e Spiro avevano ricevuto insieme, nel 2014, il Premio Gambrinus “Giuseppe Mazzotti” “Honoris Causa” per la loro “opera e attività complessiva nell’alpinismo”.
Armando era umiltà e forza di carattere, volontà ferrea ma anche capacità di rinuncia: abbandonò la carriera alpinistica quando avrebbe ancora potuto esprimere molto, ma – come lui stesso ci dichiarò in video – aveva voluto dare priorità alla famiglia. Del resto di “carriera” non è corretto parlare, in quanto il suo alpinismo non era professionismo, ma se l’era conquistato nel tempo libero dalla Manifattura Tabacchi di Rovereto con compagni di cordata che erano innanzitutto amici di una vita, tra cui il rivano Fausto Susatti. Ciò non gli impedì di segnare alcune delle tappe più importanti dell’arrampicata in Dolomiti e sulle Alpi, tra cui va ricordata la partecipazione determinante per la vittoria nella prima cordata italiana che conquistò l’Eiger, e la prima italiana alla Torre Sud del Paine.
Con lui viene a mancare forse uno degli ultimi esponenti di un alpinismo per molti versi agli opposti rispetto a quello odierno che persegue la velocità e la performance: le sue grandi salite duravano giornate, e Armando spendeva parte del tempo del bivacco nella preghiera invitando i compagni a fare altrettanto. Un uomo di salda fede cattolica, dunque, che ci ha lasciato le sue memorie alpinistiche e di vita in una serie di libri:
- Pilastri del Cielo, Nordpress, Italia, 2000.
- Cuore di Roccia, Manfrini Stampatori, Italia, 1988.
- Commiato, Nuovi Sentieri, Italia, 2014.
- Nella Luce dei Monti, Nuovi Sentieri, Italia, 2015.
Mi piace ricordarlo nell’intervista che gli feci per la 60^ edizione del Trento Film Festival, nel 2012, quando tra una battuta e l’altra in dialetto mi disse molto semplicemente di poter “guardare alle montagne come delle immagini materializzate dell’ascendente cammino dell’uomo: per me sono vertici puntati nel cielo, che mi aiutano a pensare alto, a pensare oltre“.
Andrea Bianchi – MountainBlog.it