La consegna, oggi, durante l’incontro “Cordate nel futuro”, in programma al 67° Trento Film Festival
Il “Chiodo d’Oro” della Sosat, quest’anno va a Stefan Comploi, Ivo Rabanser, Matteo e Massimo Faletti.
Sarà consegnato oggi pomeriggio, nel corso di “Cordate nel futuro”, evento organizzato nell’ambito del 67° Trento Film Festival. La premiazione si terrà alle ore 18, nella sede della Sosat, in via Malpaga n° 17 a Trento.
«Cordate nel futuro, nata 22 anni fa, in collaborazione con il Trento Filmfestival – spiega Luciano Ferrari presidente della Sosat – è l’incontro tra vecchie e nuove generazioni di alpinisti, presenti alla manifestazione festivaliera. E’ l’incontro alpinistico del Trento Filmfestival che riunisce, nella nostra storica sede, coloro che rappresentano quel mondo della montagna, che ritiene irrinunciabile il confronto tra le generazioni.”
“Cordate nel Futuro” vuole esaltare gli alti valori morali quali: l’amicizia, la solidarietà e la riconoscenza, che sono parte fondante del patrimonio della Sosat, sin dal 1921, anno di fondazione del sodalizio operaio – prosegue Ferrari – Dal 2006 la Sosat ha deciso di assegnare un riconoscimento agli alpinisti della nostra terra, ed è nato il Chiodo d’Oro, giunto alla quattordicesima edizione. Il “Chiodo d’Oro Sosat” e il premio che un’apposita qualificata giuria conferisce ad una coppia di alpinisti trentini “veterano e giovane” che si è distinta per aver svolto con semplicità e rispetto dei valori umani e ambientali una significativa attività alpinistica. Principi che sono stati alla base della nascita della Sosat che intende la montagna come alpinismo ma non soltanto, anche come cultura, amore per il territorio e per l’ambiente, solidarietà, spirito collettivo, modestia e continuità.
Ferrari: “Da quest’anno il Chiodo d’Oro Sosat ha allargato i suoi confini. Infatti, il premio va ad un alpinista/cordata della Regione Trentino Alto Adige. La Sosat, ha assegnato il Chiodo d’Oro 2019 alla cordata Stefan Comploi e Ivo Rabanser, e ai fratelli Matteo e Massimo Faletti».
Gli alpinisti premiati
Stefan Comploi ha 53 anni è di Santa Cristina in val Gardena. Da sempre va in montagna, alla quale di è avviato in modo graduale «Prima le ferrate – dice Stefan – poi con Wolfgang Stauder di Sesto Pusteria la mia prima via alpinistica: la nord della cima Piccola di Lavaredo. Successivamente l’incontro con Ivo Rabanser e la con lui la Micheluzzi al Piz Ciavazes. Ancora oggi non so come abbiamo fatto, ma in qualche modo siamo arrivati in cima. Quindi salite sempre studiate nel dettaglio e portate a termine con un ampio margine di sicurezza. Arrivarono poi le prime vie nuove. Percorsi studiati da Ivo nei minimi dettagli e poi realizzati insieme. Io il temerario e Ivo quello piú prudente di cui avevo bisogno per frenarmi un pó. Dopo anni di arrampicate abbiamo deciso di fare i corsi per diventare guide alpine e di fare della nostra passione il nostro mestiere. Ma il lavoro, la casa, la famiglia lasciano sempre meno spazio alla passione e alle arrampicate per diletto. Comunque in tutti questi anni qualche via nuova l’ abbiamo fatta insieme. Fra queste le piú importanti sono: “Monumento”, “Pilastro Tschucky” e “Linea Gotica” sempre sulla parete nord del Sassolungo,“Annetta Stenico” sulla Torre Innerkofler, il “Pilastro Masarotto” allo Spiz di Lagunaz e tante altre».
Ivo Rabanser gardenese, guida alpina ha 49 anni. La montagna è sempre stata nella sua vita ed ha saputo far diventare la sua passione una professione diventando guida alpina. Nato all’ombra del Sassolungo dice: «Il Sassolungo ha rappresentato, oltre che la montagna di casa con pareti tra le più alte, severe e grandiose delle Dolomiti, la possibilità di poter esprimere la mia creatività. I suoi versanti erano stati esplorati fino allora soltanto in parte, quindi si presentava una miriade di possibili salite. Poter realizzare i propri obiettivi su una parete che osservi tutti i giorni, senza doverti spostare in capo al mondo è stato un grosso privilegio. Mi definisco un alpinista creativo. che guarda all’etica e all’estetica. Ed è la parete che in un certo qual modo deve richiedere la via da salire. Una buona linea, che individua i punti vulnerabili della roccia, li collega come in un prezioso ricamo. Con i suoi appigli, i suoi chiodi pertinenti alle difficoltà… trasformare un’intuizione balenante in un percorso concreto in un gioco delizioso».
Matteo Faletti, 41 anni, è nato e vie a Trento. Ha iniziato ad arrampicare a 14 anni sulle falesie nei dintorni di Trento imparando i rudimenti sulla sicurezza da qualche amico più grande, guardando, osservando, timidamente chiedendo e dai manuali di alpinismo. Poi sono arrivate le prime vie nella valle del Sarca. Il passaggio alle roccia delle Dolomiti è stato naturale come naturale è stato l’andare sulle vie normali classiche e poi su quelle più impegnative. «Ricordo – dice Matteo – con grande piacere, per ambiente, impegno, lunghezza, difficoltà, condivisione, le vie in Catinaccio la mestosità del Gruppo Brenta, il Campanil Basso e tante altre vie vissute con piacere . Poi accanto alle vie di roccia mi hanno sempre affascinato quelle di misto. Ho fatto qualche spedizione in Patagonia, in Marocco. Nel 2017 con una piccola spedizione organizzata assieme a Tomas Franchini e Fabrizio Dellai con la collaborazione di 3 valdostani Francois Cazzanelli, Francesco Ratti e Emric Favre nel gruppo del Minya Konka abbiamo salito parecchie cime inviolate e vie nuove».
Massimo Faletti è una guida alpina trentina, ha 50 anni ed è il fratello maggiore di Matteo. Affascinato sin da bambino dalla montagna ha iniziato giovanissimo, prima sciare poi ad arrampicare. E’ entrato nella Guardia di Finanza, dove ha militato per 11 anni nea Sagf (Soccorso alpino della Guardia di Finanza). Dopo aver lasciato le Fiamme Gialle ha intrapreso la professione di guida alpina dividendosi, tra le salite con i clienti e l’attività di insegnamento dell’alpinismo nelle scuole medie e superiori. Nella stagione invernale pratica lo sci alpinismo, le scalate sulle cascate e pratica il free ride. E’ particolarmente eclettico e dotato di una simpatia contagiosa. La sua ultima grande scalata, che rappresenta una delle nuove frontiere dell’alpinismo è stata, nel mese di luglio 2018, della vetta inviolata del Kiris Peak, alto 5428 metri, nel massiccio del Baltistan (Pakistan) in Karakorum efettuata con Maurizio Giordani. I due hanno tracciato, rimanendo 5 giorni sulla parete di 1250 metri, una big wall, un itinerario difficile, ma di grande soddisfazione, che rappresenta la frontiera dell’alpinismo, che grazie a uomini come Massimo Faletti è più vivo che mai.