I portali del cielo è il nuovo libro dell’alpinista Davide Chiesa, oramai conosciuto amico di Mountainblog
Nato Castel San Giovanni in provincia di Piacenza nel 1968, è un grande appassionato outdoor che passa dalla scalata sul ghiaccio e misto al trail running.
Scrittore, moviemaker e fotografo, ha al suo attivo la composizione di altri due volumi: Montagne da raccontare – storia di ghiaccio, di avventure e di uomini (2009) e L’anima del Gran Zebrù, tra mistrei e alpinisti (2014). Questo connubio inscindibile tra arte, sentimento e montagna ha portato Davide a entrare nel GISM, il Gruppo Italiano Scrittori di Montagna e a esserne degno emblema.
Ho appena finito di leggere I portali del cielo e ne sono rimasto oltremodo soddisfatto. Il volume si presenta come un “tomone” di 278 pagine interamente a colori e ad alta definizione, di formato 22×23,5 cm. Si è stimolati a pensare a un magnifico libro fotografico, ma l’opera non è solo questo. Accanto alle comunicative immagini, ci sono una serie di testi che di per sé sono niente meno che un saggio su molti tra gli aspetti che riguardano il grande alpinismo e la cultura umana.
L’arte inizia con un accenno ai sogni che ricordano le atmosfere del “Fortissimo”, Giusto Gervasutti e procede con l’intento di salire sull’Everest, la Dea Madre, anche per una persona normale che vive quasi in pianura.
Non posso che ricordarmi del grande amico Spiro Dalla Porta Xydias che sovente citava il classico bambino in mezzo a un prato che non avrà pace fino a quando non sarà salito sull’unico masso in vista. Non fu forse un certo George Herbert Leigh Mallory a rispondere «perché è lì» alla domanda «perché vuole scalare l’Everest?»
Il libro porta il lettore a leggere una storia, fatta di miti e leggende, da vivere e respirare. Si procede in America meridionale, sull’Aconcagua, una delle Seven Summit, una delle montagne più alte del Pianeta, disposte nei “sette” continenti.
Davide con parole e immagini riporta il viaggio onirico alla realtà, materializzando per il lettore, nomi altisonanti che da sempre si odono senza magari ricondurle a immagini concrete. Così Chiesa mostra il viento blanco e le certezze andine, quelle dei sorrisi, della quota e delle fatiche immense, oltre a quelle effimere che non si hanno mai.
L’autore sfata i luoghi comuni del “tutto facile”, stereotipi da poltrona, raccontando quali avventure, emozioni e difficoltà reali si presentano in questo cammino.
Dalle Ande e i penitentes si passa all’Himalaya e al Baruntse a 7129 m: immagini di yak, armonizzati al loro ambiente sfilano vicino a quelle delle camere iperbariche portatili, esistenti da quando gli uomini decisero di raggiungere la zona della morte.
Dal Mera Peak ai santoni di Kathmandù: il lettore ha la sensazione di non seguire un maestro in cattedra, ma piuttosto di esser il compagno di viaggio dell’apinista della pianura accanto.
Il cammino non si ferma e anzi continua sul Manaslu, a 8163 metri; non ci sono super uomini e nemmeno eroi, tutto è presentato senza etichette e con tanto entisiasmo. Si parla di gelo e fatica, di gioia e amicizia tra fotografie di gran livello e scatti rubati alle condizioni estreme o proibitive.
Si giunge quindi all’ultima tappa del percorso: l’Everest, a cui con rispettoso atteggiamento e massimo impegno si chiede il passo. Ed ecco che i pensieri scorrono e immagini potenti si alternano, dalla morte alla vita. A ciò si aggiunge che sono tante le curiosità che il lettore si toglie, dalle viste particolareggiate dell’attuale Hillary Step, all’Icefall, ai volti degli sherpa.
Non manca infine la condivisione e un insieme di ringraziamenti a chi ha permesso all’autore di scoprire e vivere queste zone del mondo semplicemente incredibili.
Penso che questo libro sia semplicemente un bellissimo viaggio, su e giù per magnifiche montagne e attraverso una vita colorata e intensa, un volume che consiglio.
Christian Roccati
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