Detiene il record mondiale femminile di scalate dell’Everest.
Attualmente fa la lavapiatti e si allena per la sua decima volta sul “Tetto del Mondo”, senza sponsor e senza un preparatore
Lhakpa Sherpa abita in un piccolo appartamento nel West Hartford, in Connecticut. E’ stata la prima donna nepalese a scalare l’Everest, nella primavera del 2000. Con nove vertici al suo attivo, detiene il record femminile di ascensioni sul “Tetto del Mondo” e ha in programma di raggiungere nuovamente la vetta più alta della Terra nella primavera del 2020.
Madre di tre figli, Lhakpa non ha sponsor ed è difficile per lei allenarsi e viaggiare. Attualmente lavora come lavapiatti, guadagnando un salario piuttosto basso. Non guida la macchina, cammina per andare a lavoro e ogni tanto, con Uber raggiunge i luoghi dove si allena.
Com’è possibile che una donna con le sue capacità e che ha raggiunto tali traguardi, non abbia sponsorizzazioni e debba rischiare del suo per continuare a scalare le montagne dell’Himalaya che ama così tanto?
Una lunga intervista realizzata da Megan Mayhew Bergman, pubblicata su The Guardian a fine ottobre, ci parla di lei.
Lhakpa, 45 anni, è cresciuta a Balakharka, un villaggio nella regione del Makalu nell’Himalaya nepalese, dove suo padre possedeva una casa da tè e dove sua madre vive ancora. Lhakpa non è sicura della sua età esatta, poiché non possiede un certificato di nascita essendo nata in casa. Da bambina, a casa non c’era l’elettricità e le ragazze non frequentavano la scuola.
La sua è una famiglia di Sherpa. Scalano l’Everest. Suo fratello Mingma Gelu Sherpa dirige un negozio di abbigliamento per spedizioni a Kathmandu. Suo fratello maggiore ha raggiunto la vetta “10 o 11 volte”, spiega. Un altro fratello è stato in cima otto volte, suo fratello minore cinque, e una sorella è arrivata in vetta una volta.
“Se non ci fossero gli sherpa”, afferma, “nessuno potrebbe scalare l’Everest”.
Una salita media con un’agenzia occidentale costa fino a $ 50.000, mentre un nepalese costa al massimo $ 30.000.
Lhakpa ha vissuto in prima persona valanghe, cadute, l’aria sottile della zona della morte. Qualche volta ha dovuto superare i corpi di persone morte per queste cause; ce ne sono oltre 100 sulla montagna. Gli Sherpa attraversano la cascata del Khumbu circa 40 volte solo per assicurarsi che i turisti abbiano le scorte e le corde di cui hanno bisogno. “Se trascorri troppo tempo nella cascata di ghiaccio – dice – sei certo di morire”.
“Perché facciamo questo lavoro?” – dice – Perché l’alternativa è fare soldi coltivando patate.”
Per Lhakpa, dire che scalare l’Everest è facile è un insulto.
Lhakpa Sherpa ha raggiunto la vetta dell’Everest otto mesi dopo la nascita del suo primo figlio, e di nuovo mentre era incinta di due mesi di sua figlia Shiny. Ma a differenza di alpinisti famosi, Lhakpa non ha sponsorizzazioni, né nutrizionisti al suo seguito o allenatori. Non può permettersi di allenarsi a tempo pieno, o molto, perché ha bisogno di lavorare per pagare l’affitto.
Quando lascia il suo lavoro per andare in spedizione, rischia di rimanere senza casa e quando torna, si adatta ad ogni lavoro, anche a fare le pulizie. “Non parlo mai dell’Everest”, racconta.
Quando è stata avvicinata per questa intervista, la giornalista le ha chiesto se potevano fare una camminata insieme. Mentre si preparavano alla passeggiata, l’intervistatitrice ha notato che un anello degli scarponcini da trekking di Lhakpa era rotto e lei faticava ad allacciarli. “Ho visto atleti con all’attivo risultati minori, ma un numero maggiore di follower su Instagram, ricevere quantità impressionanti di attrezzatura in omaggio. Lhakpa con il suo zaino arancione ha scalato l’Everest almeno due volte.” Scrive la giornalista.
Ma Lhakpa non cura la sua presenza su Instagram o su altri canali social. È una donna di mezza età, di colore, una madre single immigrata che parla un inglese precario e che non ha alcuna visibilità.
“Questo è il mio regalo”, dice dell’alpinismo, anche se le sarebbe piaciuto diventare un dottore o un pilota in un’altra vita. Sebbene un’azienda abbia supportato una sua precedente scalata, Lhakpa è attualmente senza sponsor.
Il suo sogno è di raggiungere la vetta dell’Everest a maggio 2020 per la decima volta, e poi quella del K2, la cui cima le è sfuggita una volta a causa del maltempo. Sa che è un progetto ambizioso, se non folle. “Tutti gli atleti estremi sono folli”, dice. “Ma voglio mostrare al mondo che posso farlo. Voglio mostrare alle donne che mi assomigliano che anche loro possono farlo. “
Lhakpa iniziò a scalare come molti dei suoi fratelli e cugini, aiutando uno zio a portare le attrezzature per i turisti al Makalu a 15 anni, lavorando come portatrice e in cucina. Dice di sè che era una maschiaccio e che sua madre era preoccupata poichè non si sarebbe mai sposata. Incontrò il suo primo marito sulla montagna e si trasferì con lui negli Stati Uniti nel 2002. Spesso scalavano insieme, fino a quando la relazione non divenne problematica. Lhakpa subì violenze dal marito anche durante una delle scalate dell’Everest. Con il divorzio, a Lhakpa fu affidata la piena custodia dei figli.
Nell’intervista Lhakpa parla molto di fiducia: fidarsi di sé stessi, fidarsi del compagno di scalata a cui si è legati, fidarsi della montagna. “Se non ti fidi”, dice, “muori”.
“Sono un topolino che sale su una grande montagna”, racconta. La sua relazione con la montagna è riverente, come se conversasse con essa. “Se hai paura, la tua paura spaventa la montagna.”
Dopo aver posticipato la scalata pianificata per il 2019 a seguito della morte di suo padre disse: “Non volevo portare tristezza… Non sarebbe stato sicuro”.