Il team di Maiorca ha scalato il Seimila nepalese attraverso una via salita oltre quarant’anni fa
Tomeu Rubí e Pep Roig Sancho (Maiorca, Isole Baleari) i primi giorni di maggio hanno affrontato un’interessante impresa in stile alpino nella valle del Rolwaling (Himalaya del Nepal), già esplorata più volte prima della pandemia.
I due hanno effettuato quella che è probabilmente la prima scalata in stile alpino della parete Sud-Est del Dolma Kang, una montagna di 6.332 m, precedentemente nota come Tseringma, che può essere considerata una vetta secondaria del Gaurisankar (7.146m), seconda vetta più alta del Rolwaling.
Nel Rolwaling, Tomeu Rubí e Pep Roig hanno approfittato della fase di acclimatamento per selezionare i possibili obiettivi. La loro idea era quella di scalare un Seimila inviolato o di aprire una nuova via in stile alpino. Alla fine hanno scelto la parete Sud-Est del Dolma Kang (6.332 m).
Tuttavia, nel corso della spedizione, hanno capito che altri team erano già passati attraverso quella via. Hanno trovato una tavola di legno inerente una spedizione del 2017, che poi hanno scoperto non essere riuscita a salire sulla montagna e, più in alto, vecchie corde fisse ancora appese alla parete. Appartenevano a due squadre, una australiana e una giapponese, che scalarono la parete, non in stile leggero, rispettivamente nella primavera e nell’autunno del 1980.
Ascensioni di più di quartant’anni fa. Tuttavia, non risultano precedenti salite in stile alpino di questa impressionante parete, prima di quella dei due maiorchini.
“La nostra intenzione era quella di salire una via nuova o meno scalata, su una parete inviolata o con poche vie, e in stile alpino”, scrive Rubí nel resoconto della salita – Abbiamo approfittato del processo di acclimatazione per visitare alcune valli a est di Na, alla ricerca di una meta. Non è stato facile: sono tante le condizioni imposte dal governo nepalese per il rilascio dei permessi sulle montagne della valle. Alla fine, c’erano così tante limitazioni che abbiamo scelto di andare a nord-ovest. Non volevamo non rispettare le leggi e avere problemi in caso di incidente”.
Lì i due scalatori hanno trovato due cime che potevano fare al caso loro: il Beding (6.126 m) e il Dolma Kang (6.332 m), quest’ultimo potrebbe essere considerato una cima secondaria del Gaurisankar (7.146 m).
“Il 30 aprile, ci siamo avvicinati alla parete Sud-Est del Dolma Kang – racconta sempre Rubì – Il percorso presenta alcune sezioni complicate che lo rendono più di un semplice avvicinamento. A circa 4.900 m, immersi nella nebbia che ci accompagna quotidianamente e qualche fiocco di neve, troviamo alcuni pianori dove montare le tende. Su una tavola di legno persa tra le rocce si intravede una scritta che parla di una spedizione del 2017. La nebbia non ci permette di vedere la parete da vicino in nessun momento. Torniamo a Beding, dove nessuno riesce a darci informazioni sulla spedizione del 2017.
Il 1° maggio saliamo di nuovo a Na per cercare il materiale necessario per l’ascensione. Non avere un piano fisso prima del termine del trekking di avvicinamento è stimolante, ma ha anche alcuni svantaggi. Volevamo riposare un giorno prima di metterci all’opera, invece abbiamo fatto una bella camminata Beding-Na-Beding con gli zaini pesanti…
Le inaffidabili previsioni del tempo a cui ci siamo affidati prevedevano una giornata senza precipitazioni il 3 maggio. Il 2 maggio abbiamo risalito i 1.200 metri di terreno difficile fino ai piccoli pianori che avevamo visto due giorni prima. Siamo riusciti a vedere la parete; ci sembra strano che nessuno l’abbia mai scalata o tentata prima…
Alle 3:30 del giorno successivo suona la sveglia, un’ora dopo si parte. Dopo 1.000 metri di dislivello, ci fermiamo a piantare la tenda su una cengia scavata nel ghiaccio. Qualcosa non quadra, la tenda è troppo grande per lo spazio a disposizione. Stanotte dovremo dormire bene. Per arrivare qui abbiamo dovuto superare un lungo couloir di neve in condizioni non ottimali. La pendenza media del couloir sarà di circa 60/65º con proiezioni verticali di ghiaccio marcio. Gli ultimi 300 metri sono stati più verticali e misti, difficili da proteggere… simili al terreno che ci aspetta il giorno dopo.
Senza quasi dormire – sembra che non ci siamo acclimatati come pensavamo – la sveglia suona intorno alle 4:00 del mattino, che sollievo! Un’ora e mezza dopo riusciamo muovendoci lentamente a superare i circa 400 m che ci separano dalla vetta. Il terreno si rivela più tecnico del giorno precedente e quindi più difficile. Mentre sto assicurando Pep in una delle tante soste vedo alla mia destra alcune corde che salgono su uno sperone verso il quale siamo diretti, finalmente il dubbio viene fugato: non siamo i primi a passare di qui. È un peccato trovare tanta corda e tanto materiale abbandonato.
Verso le 12:00 raggiungiamo la vetta senza avere il tempo di assaporarla. Le nuvole ci stanno già avvolgendo e dobbiamo trovare la via di discesa, che inizia su un ghiacciaio pieno di seracchi e crepacci. Ci muoviamo tra i punti che fissiamo mentalmente ogni volta che le nuvole decidono di separarsi sufficientemente per poter vedere il successivo. Molte volte dobbiamo aspettare perché non riusciamo a vedere dove andare. Finalmente abbiamo raggiunto la cresta, punto da cui non dovevamo più preoccuparci di finire in un vicolo cieco. Pensavamo di raggiungere i pianori dove avevamo dormito due notti prima, ma non riuscivamo a vedere a più di 15 o 20 metri. Per questo motivo, verso le 16:00, quando abbiamo superato un punto in cui era possibile piantare la tenda, abbiamo deciso di fermarci… Eravamo, come la sera prima, a circa 5.900 m (secondo il mio tracker). La mattina dopo, senza nuvole, abbiamo effettuato delle calate e delle arrampicate che hanno richiesto tutta la nostra attenzione… Lo stesso giorno, anche se molto più tardi e con poche energie, siamo arrivati di nuovo a Beding.”