Wu ming e il tour luminoso dell’ultimo libro del collettivo di scrittori più famoso in Italia è arrivato anche all’ombra del Bondone.
In occasione del Trento Film Festival Andrea Bonetti di MountainBlog li ha incrociati alla presentazione del loro ultimo libro, uscito nelle librerie il 28 aprile che narra di un viaggio avventuroso nel triangolo rosso dell’Emilia e li ha intervistati per noi.
Partiamo dal titolo del libro: che cos’è il “sentiero luminoso”?
Il sentiero luminoso è un sentiero che porta da piazza Maggiore a Bologna fino a piazza Duomo a Milano: ma perché luminoso? Un motivo per cui lo abbiamo chiamato così è perché quando cammini in pianura non è come in montagna, dove il cammino viene nascosto dall’ombra di un crinale: in pianura non vi sono ombre, e l’effetto per vi fa un po’ di attenzione è proprio quello di camminare sempre in piena luce. L’altro motivo è che lo abbiamo portato alla luce noi. Questo sentiero, infatti, in realtà non esiste: non è un sentiero segnato su qualche mappa ufficiale, o meglio, non esisteva finché non l’abbiamo percorso e tutt’ora non c’è ufficialmente.
Non abbiamo voluto tracciarlo perché chi vuole andare a piedi da Bologna a Milano come ho fatto io, è costretto a compiere numerosi reati: invasione di terreno, violazione di domicilio e quant’altro… e poi l’invito è quello di tracciare il proprio sentiero. L’invito offerto da questo libro è proprio quello di scoprire individualmente il proprio percorso. Soprattutto per chi abita in una grande città dovrebbe porsi il problema di uscire dalla propria città a piedi e magari raggiungere un’altra città attraverso il proprio percorso, tracciato secondo le proprie disponibilità di tempo e esigenze, andando a piedi anche laddove il territorio non sembrerebbe adatto a percorrerlo camminando. Questo perché dove non vi sono sentieri tracciati, a tutt’oggi sono disponibili strumenti digitali che permettono anche a neofiti di sperimentare il mondo della sentieristica, nella tracciatura di sentieri e nella lettura della cartografia.
Quando pensiamo alla montagna, si pensa subito al senso di scoperta, alla voglia di essere i primi a raggiungere la vetta, oppure per mettersi alla prova: perché una persona dovrebbe invece camminare da una città a un’altra?
Diciamo che c’è una componente di prova anche qui: c’è la sorpresa di vedere se il sentiero esiste realmente, e che cosa effettivamente si incontrerà. Nel tracciamento del sentiero ci si mette molti mesi, soprattutto perché c’è un grande lavoro di ricerca sul web e di persona, interrogando di abitanti del luogo anche solo per chiedere indicazioni sui sentieri da percorrere unicamente a piedi. La possibilità di percorrere sentieri già tracciati è legato al tema di sorpresa, fiducia e sì, una certa sfida con chi il sentiero lo ha tracciato. Le foto aeree e gli altri strumenti che si hanno a disposizione, danno la falsa percezione di controllo totale del territorio. Quando poi però si va a sperimentare il territorio stesso, spesso le cose cambiano sensibilmente: una rete che non vedevi, un canale più ampio di quello che sembrava e che ti mette alla prova per superarlo. In realtà gli imprevisti ci sono anche li e la sfida di andare da bologna a milano senza farsi schiacciare da un autotreno, è una domanda lecita che uno si pone.
Poi secondo me la spinta principale che penso possa muovere altre persone è di scoprire un territorio che di solito attraversi in un altro modo, facendosene un’immagine differente.
Noi abbiamo quasi tutti l’idea che la pianura padana sia un deposito ininterrotto di capannoni e infrastrutture ormai inevitabile e devastato. Questo perché la vediamo sempre dal finestrino di un treno o dalle strade principali che sono costeggiate da capannoni, fabbriche. Ma se usciamo da questi tragitti e soprattutto ci inoltriamo a piedi in mezzo a campi scopriamo che ovviamente in parte è così, e tra l’altro scopriamo quanto sono terribili certe strutture quando vai a piedi: l’autostrada finchè la fai in macchina è un conto, ma quando ti trovi a piedi da una parte e devi andare dall’altra scopri che è una barriera invalicabile, un confine di quelli che davvero sono difficili da superare, quasi come una parete di roccia. Dall’altra parte ti rendi conto invece che ci sono anche tanti altri spazi dove è piacevole camminare, dove ancora può aver senso fare un discorso di salvaguardia del territorio, del paesaggio, dove può aver senso cercare di leggere cosa c’è scritto nel paesaggio prima di cancellare del tutta questa scrittura. Nel caso in cui vi sia un’ulteriore proposta di creare infrastrutture nella pianura, puoi alzare la mano e dire “beh, non c’è un alternativa?” Perché in realtà non è che è tutta capannoni e infrastrutture, non è già distrutta.
Una volta intervistando un trail runner rimasi colpito da una considerazione: mi disse “ho fatto 6 o 7 volte il trail sul monte bianco ma non ho mai alzato lo sguardo, e solo alla nona volta quando finalmente lo feci, mi accorsi di quanto era bello” anche perché se ci si pensa anche negli sport di montagna la velocità è divenuta un must: si cerca di essere i più veloci a , i più resistenti in spazi lunghi. Di contro invece immagino che un percorso come il tuo sia basato sul vedere anche tutto ciò che anche la lentezza ci può regalare.
Sì io sono convinto che in parte noi non riusciamo più a leggere il “libro del paesaggio” che è appunto un libro scritto a 4 mani dall’uomo e dalla natura, che ha un suono, un alfabeto e una grammatica. Questo perché in parte non ne conosciamo proprio le regole, in parte anche perché sfogliamo quel libro come quando prendi le pagine col pollice e le fai scorrere troppo velocemente, e non riesci a coglierne nulla.
In parte effettivamente è legato alla velocità con cui attraversiamo il territorio. Dall’altra parte penso anche che sempre di più sia necessario cercare di sperimentare dei momenti in cui ci prendiamo un tempo diverso rispetto a quello che ci viene normalmente imposto. Anche se non riusciamo a darcelo per tutta la vita, perché molti di noi comunque sono costretti ad andare ai ritmi che vengono richiesti dal lavoro e le relazioni oggi, sperimentare momenti in cui invece questo tempo lo rompi e capisci quello che è possibile farne, beh in qualche modo te lo fa desiderare anche quando torni a casa. Penso che questo sia un aspetto che va sottolineato.
Molto spesso si chiedono spazi per fare esperienze alternative: chi ha idee, un altro modo di stare assieme, di produrre, di coltivare un terreno, chiede uno spazio per farlo. Ovviamente lo spazio ci vuole, ma secondo me dobbiamo ricordarci che abbiamo bisogno anche di un altro tempo, e che soltanto noi alla fine ce lo possiamo dare e rivendicare.
Prima del “Sentiero Luminoso” ho fatto il “Sentiero degli dei”, da Bologna a Firenze, e siamo stati sempre vicini all’alta velocità: io cerco sempre di contrapporre quel modo di viaggiare che pure ogni tanto sono costretto a sposare anche io, anche perchè non ti danno molte alternative se vuoi andare da Bologna a Milano, con un modo di viaggiare diverso che secondo me permette di capire altre cose.
Parlando proprio di percorsi di tempistiche, di avventure, a che punto è la vostra esperienza letteraria?
Siamo a un punto di svolta direi: nel senso che con l’uscita del nostro ultimo romanzo storico, intitolato l’armata dei sonnambuli, scritto a 8 mani, sentiamo il bisogno di provare a fare qualcos’altro. Riteniamo che quel tipo di romanzo storico, esplorato ormai dalla metà degli anni 90, sia stato frequestato da noi a sufficienza.
In qualche modo sentiamo di aver raggiunto il nostro massimo. E di non aver almeno noi altri margini di miglioramento in quel campo specifico. Ci piacerebbe provare a cambiare genere, tipo di narrazione e stiamo un po’ pensando a questo. Nel frattempo sicuramente abbiamo scritto un po’ di libri già diversi, che forse non sono la strada che definitivamente prenderemo
Da un lato “l’invisibile ovunque”, che è un libro che comunque ha a che fare con la storia perché riguarda la prima guerra mondiale, ma è raccontato in una maniera piuttosto diversa rispetto ai romanzi storici che di solito scriviamo, sia questa antologia di racconti per bambini, che si chiama “Canta la mappa”, dove si racconta anche di montagne, perché l’idea è quella di far raccontare i luoghi, e i luoghi raccontano le storie che se ne possono estrarre. Sono sicuramente qualcosa di piuttosto diverso da quello fatto fino adesso, ma siamo ancora in cammino.
Per rimanere in contatto con Wu Ming, visita http://www.wumingfoundation.com/