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3 Settembre 2015

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12 agosto, verso Smiojuvik

12 agosto, Furufjordur. Mi desto con la luce, benché sia ancora notte, un’oretta prima degli altri.

Esco dal giaciglio, mi stiracchio e faccio il giro delle tende. Tutto è a posto a parte una sacca di cibo che rischia di diventare spuntino per volpi. Lo segnalerò ad Andrea che lo dirà agli amici direttamente interessati.

Prendo pentole e thermos e mediante due o tre viaggi riempio tutte le stoviglie di acqua e preparo il preludio alla colazione. Poi toilette e “doccia” completa nel ruscello. Pian piano molte teste fanno capolino con un rumore di zip che corre, un suono a cui ci si affeziona e che manca al ritorno, una lancetta che scandisce la giornata.

Ci sarà una tempesta entro questa sera, dovremo oltrepassare due colli e superare un grande sviluppo, ma il primo ostacolo resta un guado percorribile solo con bassa marea.
Sappiamo che il picco negativo arriverà per le 11, dovremo essere nel posto giusto, al momento adatto.

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Rifocillati e puliti, dopo aver smontato il campo, partiamo. Un passo alla volta godiamo di questa natura potente e antica, sebbene giovanissima rispetto alla storia della Terra. Queste rocce sono infanti di 14 milioni di anni. Il nostro percorso ci porterà nel tempo a incontrare pietre sempre più recenti ed esse non sono l’unica cosa che vivremo.

Foto Andrea Gabrieli

Foto Andrea Gabrieli

Un’ombra scura sfreccia tra noi; la volpe artica è qui regina, in cima alla catena alimentare. Una coppia per ogni vallata e circa sei figli ogni anno, con una mortalità dell’80% per mantenere l’equilibrio, come natura vuole.
Tòfa per gli islandesi, alopex lagopus per i dotti… meraviglia e battito di cuore per noi.

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Le scogliere mi ricordano molto i paesaggi scozzesi che amo e perso nei miei pensieri, in coda al gruppo, continuo a esser pastore e nel mio silenzio esteriore ad ascoltare i tanti racconti degli amici che sopravanzano. Il guado di Bolungarvik compare e noi ci fermiamo. Non sto ancora bene, ma ho quasi recuperato la mia forma, abbastanza da esser d’aiuto in caso di necessità. In ogni caso nessuno se ne accorge e ciò è bene, perché la mia mente potrà servire a qualcuno sta sera. Andrea va a sondare il percorso; l’ora è perfetta ma la marea resta alta. Aspetteramo ancora un poco, poi passeremo ugualmente.

Unghie dei pollici saltate o meno, di fronte a queste rocce meravigliose non posso che provare a danzare ascoltandone la musica pietrificata. Scalare, arrampicare, farsi del bene, comunque lo si voglia dire. Anche il gioco finisce e si riparte; passo avanti e indietro due o tre volte nel guado, per aiutare a trasportare zaini o persone. Quando la risacca striscia, l’acqua arriva alle caviglie, quando ruggisce, bagna fino alla cinta. I vestiti asciutti sono preziosissimi in un trekking come questo in cui si è in balia del tempo e la conservazione è la ricervca principale.

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Il cielo è sempre severo, ma al momento non ci rovescia addosso particolari ire. Sto sempre in coda, qualcuno perde un bastoncino, qualcuno sorride di gusto, altri pensano, altri sognano. All’interno del gruppo accade sempre qualcosa.

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Osserviamo i primi dicchi, corpi rocciosi generati da un’intrusione di origine ignea. Il magma tende a salire spinto dalla pressione attraverso le fratture nelle sue camere e a solidificarsi. Il mare erode la roccia meno resistente intorno a tali formazioni. I piccoli uomini osservano a bocca aperta e con il fiato sospeso.

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I nostri passi ci precedono, invisibili, e noi semplicemente li calchiamo. Siamo stati qui tanti anni fa, senza ricordare, ma già lo sapevamo pensando al viaggio, in Italia, tra le nostre montagne prima della partenza. Ognuno di noi aveva ben chiaro che un giorno sarebbe tornato in queste lande, rincorrendo il cammino dei propri sogni che qui avevan vissuto storie e avventure, al di là di noi, molto prima di noi. Queste spiagge di sabbia sono il contrario del deserto, non cancellano orme ma le illustrano, spiegando a noi un futuro già avvenuto che semplicemente leggiamo con i nostri piedi per la prima volta.

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Con la mente che vive procediamo sul lido e saliamo quindi al primo passo, Skarosfjall. Mangiamo il nostro solito pranzo, con alimenti razionati ma buoni, tra pesce autoctono e formaggio gustoso. Un amico oggi fatica e mostra i primi cedimenti, fisici e mentali rispetto al momento, mi dedicherò quasi sicuramente a lui nelle prossime ore. Osservando la pressione in picchiata, basta uno sguardo tra Andrea e me, per comprenderci. Attacca il sentiero quasi verticale che punta al colle sulla linea della goccia. La tappa è ancora lunga e la tempesta sta arrivando. Il fronte freddo scende dall’artico, come un muro alla nostra destra che avanza celere e senza sconti.

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Ancora un guado e si continua, verso l’ultimo ostacolo della giornata, oltre Barosvik, il passo Smiojuvikhurhàls. Rimango indietro con l’amico che ora sta patendo, osservando da almeno un’ora altri tre, che pur gestendo la situazione son velati. Padre, figlia, un amico. Gestiscono, non hanno bisogno del mio aiuto; c’è un po’ di rarefazione negl’intenti e rimaniamo quindi solo in due, mentre il gruppo è scortato per intero sull’altro versante. Marco rischia di vomitare, è stremato. Gli insegno la tecnica alpinistica dei segmenti di percorso, spiego il respiro, e stando attentissimo ai picchi insulinici do un po’ di zucchero, acqua, e gioco con ciò che ho, esperienza, passione e parole. L’amico ha una gran anima e conclude il suo percorso. Prima che il cielo si adiri davvero oltrepassiamo nebbia e pioggia e tutto il gruppo trova al sicuro il suo campo serale.

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Il vento sale, la tempesta arriva. Gli amici hanno tende aerodinamiche mentre la nostra più alta, che in un caso come questo deve servire anche da cucina, rischia di spezzarsi. le palerie si abbassano e il telo, alto due terzi di me, mi avvolge come un lenzuolo a ogni raffica, scendendo a venti centimentri da terra.
Impieghiamo un’ora buona per cucinare, mentre gli amici attendono, ma riusciamo a portare a tutti la loro minestra calda.

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Foto Andrea Gabrieli - www.andreagabrieli.it

Foto Andrea Gabrieli – www.andreagabrieli.it

Tocca finalmente a noi, asciugarci e mangiare. Al solito, mentre la tenda decide se reggere o meno integra, mi volto, scrivo il mio diario e compongo pensieri, poi leggo un’oretta il mio libro. Domani sorgerà il sole e tutti saranno di nuovo carichi di energia. Oggi è vita pura.

Christian Roccati
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