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5 Settembre 2015

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13 agosto… attraverso raggi, di sole e di notte

Mi desto ancora… C’è stato un tempo in cui, ogni volta che aprivo gli occhi, mi veniva da sorridere: “Ancora vivo, anche questa volta”. Ora non è più così, eppure mi capita ancora, di rado. Non oggi.

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Sul campo c’è il sole, rara prelibatezza, piatto che non spesso vien servito, ma quando accade, letteralmente scintilla. L’euforia pervade la popolazione delle tende e il ciclo ricomincia. Gli affaticati sono freschi e pronti e gli esperti restan tali.

Preparo colazione, insieme ad Andrea, e mentre gli astanti terminano il pasto, vado a lavarmi a monte. Quanto adoro quando il mio soffitto si chiama cielo.

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Doccia completa e toilette; quanto ebbe ragione Remarque.

Quando inizio il cammino di ritorno vedo gli amici che puntano gli obbiettivi sulla piana di fianco a me. Una volpe artica girella in cerca di cibo. Certamente presto ne saremo circondati; so come avvicinarle acquistando un compromesso alla loro fiducia, ma già che c’è il sole, ora voglio giocare al ciclo naturale.

Mi appiattisco sul terreno avvicinandomi controvento sulla brughiera. L’animale non mi può sentire, con orecchie o naso, io avverto lei con il cuore. Mi libero del pile, rimanendo colorato soltando di nero. Copio il suo sistema difensivo.

Mi avvicino fino al punto in cui la distanza che ci separa rende la lotta pari e non di più, non sarebe giusto, non devo mica mangiare. Ha un vantaggio sufficiente a scappare, ma non sono così lontano da perderla. Ho le ciabatte di gomma ai piedi, quindi non rischio danni alla pelle, ma dovrò stare attentissimo alle storte, saltando i canali che ci separano. Scatto, lei mi vede e scappa.

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Cento stupendi metri, una misura che ho sempre coperto con l’anima. Non sfioro l’animale, non è il mio scopo, ma accorcio la distanza. La ringrazio. Ciò che volevo era sentirmi parte del luogo… correre con una volpe, secondo la legge che qui vige, prima che la regina di queste vallate sia abituasse a noi, prima dei parchi naturali e delle norme, come mamma natura, Gea, vorrebbe.

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La saluto e torno a ricoprire il mio ruolo, anche Lei resta se stessa. Mi guarda, senza timore, senza giudizio, solo volpe e …boh… ciò che sono.

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Si riparte… come di consueto, un passo dopo l’altro, mentre il tempo islandese impersona il suo di ruolo.

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Veglio sul gruppo, a mio modo; il racconto prosegue nella mia testa, ma non lo trascrivo. Gli spiriti sembrano esser usciti dalle montagne sotto forma di nubi, rappresentano il mondo come mi appare normalmente, ed ecco che “endo” ed “eso” divengono uno.

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Sull’altipiano Andrea si prodiga in spiegazioni, esplicando la sinergia tra muschi e licheni e l’evoluzione vegetale che qui riparte dopo ogni sconvolgimento autoctono, tra eruzioni e movimenti. “…è l’Islanda”, dicono gli islandesi, comprendendo appieno la loro terra tanto amanta; parole che erroneamente vengono percepite come rassegnazione, dagli stranieri.

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Dopo aver superato un facile guado prepariamo il pranzo e ognuno trova il suo conforto. Mostriamo piante alte 10 cm, i più grandi alberi di questa porzione di Iceland. I locali affermano… “se ti perdi in una foresta, alzati in piedi”.

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Tra nidi di gabbiani e piante acquatiche ci spostiamo ancora, oltre Almenningar eystri in vista delle coste di Digranes.

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Giungiamo a un difficile guado. Vorrei costruirvi un ponte con i tronchi norvegesi depositati a riva, ma perderemmo tempo, così vado avanti e indietro molte volte sempre restando in acqua, portando zaini e aiutando persone. Andrea si puntella all’inizio e io faccio la spola. Devo afferrare con forza e temo di far male, ma è questione di sicurezza. A Chiara lascerò un tatuaggio sul bicipite… Fosse sul mio direi “arte che entra”, invece chiedo scusa molte volte.. e lei per ognuna di rimando quasi ringrazia.

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Il panorama continua a esser incredibile. Dicchi formano barriere di grandi proporzioni e baie si creano da erosione e mareggiate. La mano dello scultore è qui pennello e scalpello al contempo.

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Giungiamo infine al campo, presso un faro, disabitato e chiuso, ma concreto. Axarfjiall… in cima al mondo.
Questo è l’unico punto in cui il cellulare prenderà… Lo accendo per quanto io possa, rispettando una promessa, e poi lo chiudo. Non sopravviverà alla notte, ma anche funzionando, non avrebbe campo in alcun posto. Mando dei messaggi e ho le mie risposte, a essi e a molto altro.

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Mi metto a far amicizia con le volpi.

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Vado a lavarmi, completamente come al solito, faccio il bucato personale, lavo i piatti del gruppo, stendo, vaglio ogni fabbricato e la zona… e…

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…e torno dalle volpi.

Una madre mi porta dal suo cucciolo.
Un cucciolo mi regala il suo ultimo sguardo.

…Ma di questo, parlerò un altro giorno.

Christian Roccati
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