Penisola dell’Hornstrandìr… oltre il 66° grado di latitudine, verso il polo nord. Dopo sei giorni di periplo in completa autonomia, ritorniamo alla civiltà. Arriviamo al primo villaggio, un rifugio a forma di cottage con 2 abitanti e 1 visitatore. Direi +300% nella scala della densità demografica…
Insieme al mio gruppo lascio uscire dalla bocca una sola parola: birra!
Il karma ha le sue strade e la lattina che mi viene presentata è la Viking.
La mia cervogia quindi?
Proseguo nel viaggio: carichiamo i bagagli. Andrea sale sul gommone con il primo carico, poi gli amici e infine io con l’ultimo. Il piccolo mezzo ci conduce alla barca e salpiamo. Aukur, il comandante, supera il fiordo e in mare scorgiamo delle balene. Ci fermiamo a vederle giocare per qualche minuto, poi proseguiamo verso terra.
Scendiamo a sud con un pulman direttamente giunto dagli anni ’70. Ci viene offerta altra birra che di certo non rifiutiamo… e infine aeroporto. Il mio cellulare non riceve campo da una settimana: lo accendo e va in corto. Non potrò usarlo per altri dieci giorni. Poco male. Mi guardo in faccia allo specchio, mentre mi risistemo, dopo essermi lavato in torrenti gelidi, alba dopo alba. Riconosco il mio viso. Dopo anni, son di nuovo io.
Non si torna indietro, la mia birra è nuovamente la Viking… per quante cose mi siano capitate, sono nuovamente qui, e non mancherò più. Non ho ancora recuperato l’uso dei pollici e per fare qualsiasi cosa sono costretto a usare i denti, ma con impegno vado avanti.
Atterriamo a Reykjavik e andiamo diretti al porto a mangiare al ristorante. Incontriamo altri gruppi di guide Kailas e la serata procede incantevole. Salutiamo e ci abbracciamo, una battuta dietro l’altra. Sembra strano ora poter ordinare del cibo senza razionarlo, avere un tetto sulla testa. Tutto ciò fa apparire per qualche ora la società metropolitana come un elemento accettabile e savio. Giusto per qualche ora…
Dopo il lauto pasto accompagnamo con i mezzi 4×4 gli amici in hotel e noi torniamo alla casa delle guide. Abbiamo poche ore per lavare tutta la roba, dormendo con il bucato steso sulle corde d’emergenza, a 10 centimetri dalla faccia. La mattina arriva in tre ore; andiamo al magazzino, carichiamo tutto il materiale e torniamo a prendere i clienti.
Si parte.
Inizialmente ci dirigiamo a Pingvallavatn, in vista di ghiacciai a calotta e di sterminate lande.
Poi proseguiamo verso Thingvellir. Piove, ma non ci preoccupiamo. Il gruppo che conduciamo è abituato a ben altro; sono quasi tutti alpinisti di grande storia, non aprono l’ombrello nemmeno sotto l’onda perfetta. Dopo aver lasciato la storica crack riprendiamo il nostro percorso islandese, in senso antiorario.
Prima visitamo l’area di Geyser, il luogo che dà il nome al fenomeno naturale, in tutto il mondo. In realtà qui è ora attivo solo Strokkur, in grado di generare una colonna di vapore di una ventina di metri. Quando Geyser ruggiva arrivava sino ad altezze pari a una settantina di metri. Oggi riposa.
Il viaggio prosegue con la visita della leggendaria cascata di Gullfoss. Ne approfitto per proseguire con il mio filmato, che presto monterò per regalarlo alla rete.
L’ambiente è quantomeno incredibile: la natura è qui potente e chiara. Gli islandesi l’amministrano alla perfezione, proteggendola senza nasconderla.
Ripartiamo nuovamente, perché la strada è ancora tanta e la giornata scorre al contrario, per lo meno rispetto alle nostre ruote.
Lasciamo le isolate strade per procedere nel deserto. Un senso di benessere infinito mi pervade. Mi diverto come un bambino guidando come se fossi in un grande gioco. Non sono mai stato qui eppure da quanto manco?
Il cielo sopra di noi ci racconta storie di antica speme. Come se fosse il riflesso di uno specchio d’acqua, asincrono rispetto al nostro tempo.
Le grandi montagne che attorniano Frostastaðavatn risalgono tra crinali e vulcani.
Gea è qui nuda e semplice, inconfondibile.
Mi guardo intorno e non riesco a parlare. Mi chiedo perché mai nel mondo gli uomini in qualsivoglia forma e società si sbranino a vicenda, in ogni manifestazione. Il mio pensiero va agli alpinisti che si crucciano per aggiogarsi la via di scalata più reputata, la montagna più conosciuta. Ogni cosa perde senso in questa meraviglia. Perché passare anni rischiando la vita per gli avanzi del tavolo del re, quando c’è un mondo intero da scoprire, geografico o interiore?
Risalgo sul 4×4 e il viaggio prosegue scendendo a Landmannalaugar.
Un ultimo guado e siam pronti per il campo, questa volta insieme a molti altri in un luogo “civile”, e non nel nulla totale, come finora è stato. Il luogo è meraviglioso, ma quanto mi mancherà quel niente…
La notte si avvicina mandando il suo araldo, il crepuscolo. Il nostro cuore è avvertito. Andrea e io prepariamo un tendone per la cena e poi iniziamo a cucinare. Pinzimonio, zuppa di porro e riso, salmone in padella con olive e capperi… e altra birra. Un dolcino… e discorsi.
Il deserto non dorme, ma in questo luogo non è l’unica anima a restare desta.
Anche questa notte ha il suo inizio che sopisce le nostre risate che come un eco lontano si ritanano negli anfratti, tenda per tenda, ognuno per sé ma tutt’insieme.
Non mi resta che scrivere il mio diario, legger qualche pagina, curare le mie ferite, e prepararmi al sonno.
Un sogno dentro un sogno.
La mia vita non è dentro di me, è qui di fianco, solo che ancora non lo so.