Mi sveglio, come al solito un po’ prima del necessario, e vado a lavarmi in fretta; gli amici necessitano la colazione. Un cenno d’intesa e ci troviamo ai fornelli, Andrea e io. Il pasto è lauto nel tendone e gli animi sono accesi. Landmannalaugar… campo base nel trekking più famoso d’Islanda. Ci troviamo tra minerali vulcanici di una varietà impressionante.
Il gruppo è composto principalmente da espertissimi alpinisti e in un attimo siamo in marcia. Risaliamo una colata lavica tra statue d’ossidiana, in vista di rioliti colorate. Gea ha qui creato antropomorfismi che ricordano il ciclo biologico.
Dalla terra all’uomo, dall’uomo alla Terra. Forse è per questo che noi arrampicatori scaliamo ricercando la parete perfetta; forse non stiamo andando da qualche parte, ma ritornando a ciò che eravamo.
Lo spettacolo che ci si pone in fronte è davvero incredibile. Mi sembra di correre in uno scenario estrapolato dal “Signore degli anelli”, insieme ad Aragorn, alla caccia degli orchi. Ciò che queste rocce mi inducono non è un sogno, ma un ritorno dentro me stesso al bambino che dalla natura voleva tutto e forse più.
Saliamo su un crinale scoprendo pianure che accedono ad altri crinali. Le fumarole producono nuvole dal basso e persino il cielo ci pare rivoltato. In un mondo in cui il sotto sembra il sopra, persino la vita è equa.
Intrusioni e ossidazioni fan danzare il rame e il ferro, il verde e il rosso si mischiano, e non-prati compaiono vicini a non-ex ghiacciai.
Il richiamo della montagna è troppo forte e ognuno di noi vuole scoprire cosa ci sia dietro, ancora un po’ più in là, ancora più in su… e ci ritroviamo sulla vetta di una montagna, un vulcano. Il vento è così forte che non riusciamo a stare in piedi…
…così corriamo per la sua accennata parete, sciando con i piedi e saltando svariati metri grazie alla pendenza, liberi, con il sorriso che proprio non se ne vuole andare dal volto. E poi nuovamente sentiero tra i detriti.
…e ancora ritorno, ancora paradiso rappresentato da inferno; questo luogo è la metafora della nostra stessa vita.
Scendendo incontriamo nuovamente le fumarole, con ombre esistenti in un mondo senza sole, fantasmi illusori nella dimensione da cui veniamo. Il vento sospinge i nembi, che si spostano e ci investono, attraversano e creano, con l’esistenza che viene e che va.
Percorriamo quindi una morfologia che richiama a quella di un canyon, osservando stratificazioni ed ere, in una geomacchina del tempo.
E mentre gruppi di sognatori ondeggiano verso se stessi, dopo aver salutato branchi di cavalli al pascolo…
…noi scegliamo di concederci quiete e serenità. Ci immergiamo in un torrente caldo con acqua a 42 gradi, risorta dalla lava; ci difende dal gelo, distende le nostre membra, abbatte le difese, ci crea quali siamo.
Mi rendo conto che, per la prima volta da quando esisto in quiesta forma d’energia, considero qualcosa “impossibile” mentre le parole e i miei pensieri corrono; ma non ho ragione, ce l’avevo in ogni altra occasione del mio cammino. Niente è impossibile e la mia storia è già materia.
Ci sono mie orme sul sentiero; non vi ho ancora appoggiato il piede, eppure son già lì.