Ogni tanto penso a quand’ero bimbo e giocavo nelle piazzette: era l’epoca adatta. Si, andavo in montagna, correvo per i sentieri e poi finivo per tuffarmi in mare… ma giocavo anche nelle piazzette.
I ragazzini arrivavano e ti chiedevano “come ti chiami e per che squadra tieni”. Era la tua introduzione nel gruppo, l’omologazione come biglietto d’ingresso. Intendevano calcio, era scontato. Dovevi per forza avere un team, uno dei due cittadini oppure eri uno strano, come quelli che parlavano di Fiorentina o di Inter, che erano ovviamente le squadre dei loro papà. I grandi facevano la stessa cosa con la fede politica o di qua o di là.
Da adulto ho lavorato per anni come educatore ed era interessante provare a dare il mio contributo alle menti dei ragazzini. Gli allievi mi chiedevano “Per quale squadra tieni?” e io rispondevo “Di quale sport?”
Veder gli occhi spalancarsi era una soddisfazione. (Ebbene si bimbo c’è un mondo gigantesco che ancora non conosci. Puoi essere del gruppo anche scoprendolo con gli amici e non solo omologandoti a essi).
“Calcio…”
“Ma quello è un “giuoco” non uno sport. Non lo seguo, a te piace?”
(Eh già… puoi anche non seguire il calcio e può anche non piacerti. Se al maestro non garba senti in qualche modo di avere il diritto a dire che non ti interessa se è così e che ti piace se invece lo gradisci.. tutto è più libero).
Erano risposte utili a loro e in quelle lunghe estati; alcuni ragazzini imparavano a giocare a basket, altri a nuotare, altri a fare atletica o pallavolo. C’era chi prediligeva andare a cavallo e chi preferiva fare giochi generici, da cortile, chi imparava a disegnare e chi a cucinare. E altri giocavano a calcio perché a loro piaceva. Ma tutti, tutti, provavano tutto.
Sarebbe curioso però ritornare indietro, di nuovo bimbo, avendo un maestro che mi desse quelle risposte… e poi mi chiedesse… “…e tu per quale squadra tieni?”
“…Iker-Eneko Pou, Alexander-Thomas Huber, Larcher-Vigiani… tante squadre!”…
Christian Roccati
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