Fotografia e montagna: un binomio interessante, appassionante, totalizzante. Man mano che fotografo, che entro dentro la fisicità di tanta magnificenza, più mi avvicino alla roccia, non (solo) fisicamente ma con l’animo e lo spirito, sento ancora più forte il bisogno di approfondire, di ricercare, di capire, di imparare, di confrontare, sempre e comunque. Man mano che approfondisco capisco quanto vasto e infinito sia questo mondo da esplorare, in lungo e in largo, senza dettami temporali da rispettare se non quelli che fanno la Storia. E allora salto cento e più anni indietro in un mondo fatto non più solamente di immagini in biancoenero ma anche di grandi uomini, protagonisti di grandiose imprese che vanno oltre il mero aspetto fotografico. Fotografia e montagna significa attraversare la storia recente dell’Uomo, delle scoperte, delle grandi esplorazioni e di valorose e drammatiche conquiste. Come su un kajak mi ritrovo a pagaiare risalendo da spettatore prima e studioso poi, il grande fiume della conoscenza per arrivare alla fonte da cui tutto è partito. E’ un percorso a ritroso, il mio, per trovare risposte al mio modo di fotografare, di percepire, di comunicare la Montagna, o il Sublime nella sua accezione più completa.
E più risalgo e più questo fiume si allarga invece di restringersi: più conosco e studio cose e fatti e persone ed eroi e protagonisti, e più queste mi appaiono come altrettanti rivoli e torrentelli che si aprono e prendono un loro corso che porta chissà dove. Forse verso le conferme e le risposte che sto cercando e altre possibilità confronto riguardo al mio personale percorso. Chi sono io? Che fotografo sono, io?
E’ cosi, dunque, che navigando i grandi fiumi della fotografia mi ritrovo a pagaiare il fiume Adams, dal quale io vedo poi dipartire un altro corso che risponde al nome di Edward Weston; ci tornerò sicuramente. Ora so dov’è. E poi ancora il fiume Brad Washburn da risalire anch’esso e tanti altri ancora che portano in qualunque parte del mondo: ecco il Fay Godwin inglese o l’impetuoso Emil Terschak austriaco, dal quale è nata la fotografia di montagna (suo il primo manuale dedicato al tema fotografia e montagna (“Die Photographie im Hochgebirg. Praktische Winke in Wort und Bild“). Che “torrente” fu Terschak. Da percorrere in ogni sua ansa; fotografo e alpinista ma anche pioniere dello sci. Nell’inverno 1893/94 prese parte, pensate, alla traversata con gli sci da Vent nell’Ötztal a Maso Corto-Kurzras in Val Senales.
Quanti fiumi, quante cose, quanta storia!!
E il grande fiume italiano? Il Grande fiume italiano da risalire per capire da dove tutto è partito si chiama Vittorio Sella ( foto a dx). Tanta, molta, forse tutta la storia della fotografia di montagna – che fu prima di esplorazione, poi scientifica e solo dopo prese coscienza di fotografia di montagna – parte da lui. Vittorio Sella era italianissimo, di Biella , nipote di quel Quintino Sella, Ministro delle Finanze, protagonista politico del neonato stato italiano,( siamo tra il 1820 e il 1870) che fu però anche attivissimo alpinista, fondatore del Club Alpino Italiano che “iniziò” Vittorio alla passione per la montagna. Vittorio Sella, dunque: il fotografo alpinista che ha tracciato le linee, l’artista pluripremiato e riconosciuto in tutto il globo terracqueo per i suoi contributi scientifici oltre che fotografici. Personaggio di indubbio valore al quale sicuramente la maggior parte dei fotografi si è rapportata per i primi lavori sul campo; impossibile non tenerlo in considerazione. Questo il fiume italiano da me percorso, per ora solo in parte per la sua vastità, e dal quale ho già visto dipartire altri torrenti. Tutti da esplorare. Ognuno interessante e degno di approfondimento; verrà il tempo per conoscerli
Ma ce n’è uno, in particolar modo, del quale voglio da subito parlarvi e che si lega a doppio filo ( artistico e parentale) a Vittorio Sella di cui sopra. E’ Guido Rey: “poeta del Cervino” e fondatore – tra l’altro – del GISM, Gruppo Italiano Scrittori di Montagna, Accademia di cultura alpina della quale faccio parte. Rey, come detto, è importante sia per parentela che per affinità artistiche. Alpinista anche lui, fotografo come lui ( seppur con stili e soggetti diversi dal cugino, ma non di minore bellezza) scriverà molto sia di alpinismo che di fotografia. “Guido Rey è stato autore di opere che segnarono profondamente la cultura alpinistica dell’epoca e influenzarono la letteratura dei primi cinquant’anni del XX secolo.”(cit. “ Alpinismo Acrobatico” – 1914). Guido Rey è quindi un post-it che ho sul desktop e del quale parlerò a breve.
Prima che ciò avvenga vorrei lasciarvi da soli a navigare questo fiume dandovi uno spunto per poi proseguire per vostro conto, ove lo vogliate, l’esplorazione; un suo interessante pensiero riguardo la fotografia e le macchine fotografiche, per certi versi opposto a quello di Adams. Quanto segue è un brano tratto proprio da “Alpinismo Acrobatico” citato poco sopra e fa riferimento alla sua necessità di ritrovare e rivivere sensazioni magari dimenticate o “non vissute” nei suoi momenti alpinistici nei quali lo sforzo e la concentrazione erano dedicati al gesto tecnico… oltre che al portare a casa la pelle. “ E anche perchè l’immagine fotografica, nella sua precisione, rispondeva ad un bisogno di limpida onestà ch’era fondamentale nell’animo suo” ( cit. Giuseppe Mazzotti – in “Guido Rey Fotografo” – rivista “Montagna – GISM” Ottobre 2009).
Ecco dunque cosa scriveva Rey: “ L’ antipatico gingillo meccanico che rechiamo sui monti attaccato alle spalle è divenuto per noi un compagno utile e fedele che, ad un nostro cenno, guarda e ritiene con memoria più sicura della nostra; un compagno che malediciamo le cento volte nella salita, che pesa, ci preme nel fianco o sbatacchia sulla schiena, squilibra i moti e c’impaccia nei momenti difficili ma che al ritorno benediciamo; e siamo lieti se con noi è uscito sano e intatto dalla battaglia. La piccola scatola* racchiude nel suo segreto alcune rapide visioni che sono tesori; e quando nella camera oscura assistiamo trepidanti al rivelarsi di minuscole immagini, rivediamo scomparire le rupi sfuggenti nell’abisso, le guglie terribili che salimmo ansanti, i luoghi aerei ove riposammo; ci riappaiono i nostri compagni sorpresi nel moto cosi istantaneamente che ci è dato di scorgere le contrazioni del volto, il loro sforzo nel trarre la corda, gli atteggiamenti curiosi nei passi difficili… Strana magia questa di fermare per sempre ciò che è stato un attimo fuggente della vita.” (Rey, Alpinismo Acrobatico – 1914) Splendida descrizione di cosa significhi “Fotografia”…
Ultima cosa: faccio presente che la”piccola scatola” della quale parla Guido Rey – e citata in altri suoi scritti come la “piccola kodak tascabile” – potrebbe essere con buone probabilità il modello Vest Pocket Kodak, prodotto in vasta scala e dai più utilizzata nel ventennio 1915/1935 tra i quali ricordo Andrew Irvine durante il suo tentativo all’Everest del 1924: macchina mai più ( non ancora) rinvenuta. Oppue da Amilcare Crétier che nel 1933 precipita al rientro da una nuova via sul Cervino; il suo sacco viene recuperato e proprio Giuseppe Mazzotti testimonia il ritrovamento della Vest Pocket Kodak con impressionate cinque fotografie prese durante la salita. Dopo alcune ricerche sono riuscito personalmente ad entrare in possesso di una di queste macchine in ottimo stato ( la mia è del 1915 – modello Autographic) e ad effettuare una serie di pregevoli scatti su pellicola 127mm ( Efke 127mm 100 asa) uno dei quali potete “ammirare” qui a fianco. E “ammirare” non è parola messa a caso: è proprio il caso di dirlo visto che si tratta di una macchina di quasi 100 anni fa che ancora oggi fa il suo dovere in modo eccelso e che nei grandi fiumi della fotografia è sempre rimasta, e ancora rimarrà, saldamente a galla. Un caro saluto e alla prossima! Alberto Bregani
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