MENU

7 Giugno 2016

Quattro passi nelle tenebre

Ultimi minuti al lavoro; parlo con Ale, uno dei più forti trail runner italiani, (anche se lui ovviamente mi direbbe che non è così) e, dopo anni che non faccio ultra, gli domando due consigli.

Esco, passo a prendere la fidanzata, e mi dirigo a levante. Nel tragitto proviamo a gestire alcune situazioni difficili e dolorose. Ho avuto due lutti in questi giorni, persone che non frequentavo spesso, ma a cui volevo molto bene, e ci sono diverse questioni da affrontare.

Dopo il “breve”viaggio son di nuovo solo. Esco dalla macchina e mi dirigo verso il Fasce, la montagna che sovrasta Genova e che usavo anni fa come test per capire il mio stato di forma. Prendo i bastoncini telescopici e senza cambiarmi parto a correre. Indosso capi di cotone, pesanti, suderò molto, purtroppo; ho anche uno zainetto tutt’altro che leggero… almeno è finita la moda del ferro da stiro!

Sulla sella terminale due amici di buona gamba stanno salendo: ho in mente di raggiungerli in discesa e fargli una sorpresa all’arrivo, che penso gradiranno.

Iinizio a correre mentre la notte cala e il sentiero di mille colori e cento profumi, scambia una tinta sola per mille essenze. I miei occhi da predatore diurno si abituano, scorgendo molte tonalità di un unico nero; il mio naso invece sboccia e alle nari giunge una molteplicità di gusti.

L’aria umida é fresca coda di pavone; le brezze m’appaiono come antiche lingue portate dal vento che carezza i miei pensieri, miscelati tra fantasie endogene e mesmerismi di sconosciute vite.

P_20160606_212754_HDR

Supero la prima cuspide arrotondata e osservo le vicine Alpi Liguri, incipit dalle grandi livree delle più severe Marittime. Uno sguardo al tempo: sono ampiamente sotto il limite che mi sono prefissato, benché molto più lento di ciò che ero anni fa, allenato e vestito di tutto punto. Qui venivo a correre, inseguendo mandrie di cavalli oramai abituate alla mia presenza, senza frontale, solo fiato e anima.

Mi fermo a fare qualche foto, un’imprecazione per un corridore, una necessità imprescindibile per me. Mando a Elena le immagini, perché siamo comunque insieme e ricomincio a salire. Corro ancora fino all’accentuarsi della pendenza, dopodiché marcio svelto e costante.

Arrivo all’unico bivio della salita: tiro dritto sul crinale, evitando il taglio basso che a sinistra mi condurrebbe a mezzacosta: affronto la diretta, il percorso integrale. Dall’anticima scendo alla sella e risalgo ancora; poco sotto la vetta scorgo due luminescenze, i miei amici.

Saluto, un bacio a testa, e via verso la cima che in breve “conquisto”. Grazie amica mia di avermi permesso di ascendere ancora una volta. Non è ancora il tempo di scambiarsi la stretta di mano, nemmeno con me stesso: le salite in montagna finiscono a casa, mai darsi la mano prima o si perde concentrazione.

IMG-20160607-WA0035

Scrivo a chi sta giù, altre foto e via di corsa. Questo itinerario è studiato tra le 2 ore o al massimo le 2 ore e mezza a salire e altre 2 scarse a scendere. Mi sono prefissato di farlo in un ora e mezzo fra andata e ritorno: prima impiegavo meno tempo; ora non sono in condizione, ma mi conosco e so dove possa spingermi.

Scendo in picchiata, cabro risalendo sulla prima cuspide e volo sul primo ghiaione; procedo sulle lastre di marna che su queste pendenze, con l’umido serale, sono come saponette. Sorrido pensando che qui venivo anche in bici, rimanendo proprio sulle pietre, evitando i solchi che purtroppo le gomme delle moto da trial creano.

Accendo la frontale e acquisto ulteriore velocità: supero gli amici e in picchiata deliro nel bosco; mi sento un lupo ed è un modo di vivere che adoro, che mi fa stare bene.

Le roverelle son zitte: piene di linfa, non vibrano al vento fischiando come in autunno. Il sentiero senza foglie è sordo, ma rimbombante e i bivi muti attendono; scorro su di essi come una folata e sparisco quasi ch’io non sia, come dovrebbe essere.

Arrivo all’asfalto, di nuovo in città, ma non mi fermo: corro, più veloce che posso, ma arrivo tardi!
Non son stato abbastanza veloce: volevo comprare tre pizze e tre birre e festeggiare il momento nel bosco, ma così non è. Questa era la sorpresa. Ritorno indietro e raggiungo l’attacco del sentiero e lì mi fermo.

Tempo? Un’ora e mezzo tra andata e ritorno. 56 minuti per salire, pause fotografiche, e il resto per far cifra tonda: nessuna mancia. Per tornare com’ero ce ne vorrà, ma la base è buona e sono molto più addestrato. Ora devo solo mixare tutto e ricominciare a scalare, se il gomito è guarito, o quasi sano. Quasi è sufficiente.

In orario con il cronometro e in ritardo con la cena, torno indietro con i miei amici. Un’altro momento che nessuno potrà togliermi da inserire nel logbook della vita. Alla prossima.

Christian Roccati
SITOFollow me on FACEBOOK

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *