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5 Agosto 2015

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Nuovi occhi dove non vi sono occhi

Quand’ero un ragazzino, vivevo per otto mesi all’anno alla base di queste liguri montagne erbose, a poca distanza dai flutti. Dato che gli altri quattro mesi, a spizzichi e bocconi, li respiravo in Valle d’Aosta, esse mi apparivano niente altro che magnifiche colline tutte da scoprire.

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Non so quante avventure io abbia vissuto grazie a questi crinali, anno dopo anno, tra corse, pareti, grotte, canyon, discese ciclistiche, ciaspolate, camminate… Da ragazzino però non avevo la percezione di questa grandezza, e ciò mi garantiva la ricerca dell’oltre solo nei limitrofi bunker e in qualche sparuta vetta.

Spesso guardavo il mare: il deserto blu che mi arginava. Non potevo andare in alto, perché l’alto in Liguria non c’era, esisteva il celato, il nascosto, il selvaggio, il verticale ed aereo, il profondo… ma non l’alto.
I flutti erano invece mistero e magia, ma anche barriera.

Questa sera ho guardato qulle colline dalla superficie dorata al crepuscolo… E mi sono immerso. Quel mare lontano l’ho galleggiato e poi sono andato laggiù, dove mi chiedevo cosa potesse esserci… Sono sceso con la stessa sensazione di un paracadutista che piomba verso terra. Una sorta di polvere di stelle contro di me, sino a raggiungere il relitto prescelto a quasi quaranta metri o poco di meno. Eccolo il fondale, ecco la grande imbarcazione, un cacciamine affondato.

Abbiamo girato intorno alla vasta carena: finalmente vedevo il mistero di quel blu in cui i miei occhi si perdevano da bambino, cercando una fuga diversa, una via che non c’era. E poi la risalita, pian piano, fino alla superficie, fino al “centro del mare”, una tavola a specchio riflettente gli ultimi sguardi di un tramonto scintillante.

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Occhi posati attraverso l’acqua e le decadi, collegati a quelli di un bimbo che già sapeva che avrebbe non guardato ma visto.

Christian Roccati
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