Il tempo oggi non è certo dei migliori… Kirkjubæjarklaustur sotto un nubifragio. Ci dirigiamo ancora a est, verso Hvannadalshnúkur. Raggiungeremo il Vatnajokull, il quarto ghiacciaio per estensione al mondo, la montagna più alta dell’Islanda. Oggi Andrea guida il pulmino 4×4 mentre io gioco con il Defender. La strada ha proprio voglia di correr via all’indietro.
Impieghiamo qualche ora, parlando di salite alpinistiche e possibili sogni. Tutto è vero, tutto è forte.
…Ed ecco di fronte a noi la grande seraccata.
Il leviatano che non dorme mai, che corre verso valle portando seco racconti congelati di altre epoche, fusi verso il mare, pronti a miscelarsi nel mondo fra i flutti, invisibili ma essenti.
Ci stacchiamo dalla piana, dalla moltitudine di persone che si radunano qui alla base, tutte vicine, lontane dal tutto.
Il gruppo insegue le linee di Gea, in una bolla d’alta pressione che tiene la tempesta prima e dopo di noi, ma non sopra al nostro capo.
Incontriamo gruppi di viaggiatori; faccio amicizia con una moltitudine di nazionalità, e in particolare con un gruppo di spagnoli capitanati da un italiano. Chiedo il suo nome: Paolo. Così non potrò scordarmi di te amico mio, perché ora sei un qualcuno.
Osservo, penso, sento, e tutto il mio mondo, quello che è sempre stato, quello che poteva essere, quello di questi ultimi tre anni… ogni cosa vacilla e sbatte, e ribatte, e cresce ed esce, e ribolle, e sale, urla, e strilla. “Lo Spirto ch’entro mi rugge”. Perché tutto sia, ogni cosa deve essere, e poi accada quel che accada. “Il vento fa il suo giro”… anche io.
Osservo la seraccata che si trasforma e ricordo gli stessi identici colori in una foto che appesi in camera venticinque anni fa, raffigurante il Gran San Bernardo, sotto un cielo plumbeo. Lacci asincroni che oltrepassano il tempo e mi guidano di loco in loco, attraverso la vita.
Non sono da alcuna parte e sono ovunque. Nessuno è con me e ci siete tutti.
Osserviamo una piccola vita, nell’unico vero bosco di questa nazione nel parco dello Skaftafell.
Sembra davvero più rara dell’acqua nel deserto, ma i valligiani direbbero… “è l’Iceland”.
Proseguiamo il nostro viaggio tra cascate con il potere di arrestare il nostro fiato, come se riversassero in noi la loro emozione fluida.
…e poi di nuovo la piana…
…poi ancora la seraccata.
Siamo qui e non possiamo farne a meno… Attraversiamo la tempesta e andiamo ancora a est, verso la laguna degli Iceberg. Non andiamo nel classico luogo, ma entriamo per sentieri laterali e raccordi direttamente a Jökulsárlón.
E poi un passo dopo l’altro continuiamo.
Proseguo con le mie riprese, superficiali e subacquee, saltando tra roccia e ghiaccio. Poi, non ci resta che tornare. Come in discesa, ma nella tempesta. Di nuovo nella bufera, di nuovo raffiche di vento e nubifragio, fino al campeggio, con la sola finestra concessa dal ripassare nella bolla d’alta pressione.
Il pomeriggio scorre piacevole… prima piscina, tra nuoto e rilassamento nelle vasche a 40°, secondo la tradizione islandese. Qualche dialogo con altre guide: l’antropologo, il mago dei fuoristrada, il naturalista. Infine birre al pub, cena in tenda e Brennivin per benedire la giornata.
Il mio amico Andrea, scialpinista estremo, mi disse una volta che l’acqua e neve nello stato fisico sbagliato. Oggi io mi chiedo se noi uomini, non siamo forse spiriti nello stato trascendente sbagliato. Nel dubbio, brindo un’altra volta, Skàl!