Siamo nel 1952. Amedeo Costa di Rovereto, professione imprenditore con marcato interesse verso il mecenatismo e il volontariato, occupava a Milano la poltrona di Consigliere Centrale del Club Alpino Italiano e dal 1953 di vice Presidente Generale. Assunse in questa data la responsabilità dell’organizzazione logistica della grande spedizione italiana al K2.
Dal 13 al 21 settembre del 1952 si tenne a Trento, in coincidenza con le celebrazioni dell’80° della Società Alpinisti Trentini – la gloriosa Sat -, il 64° Congresso Nazionale del Cai. Fu durante l’organizzazione di questa manifestazione che proprio ad Amedeo Costa si accese la lampadina della creatività. Da quel bagliore nacque un’idea geniale che dopo 57 anni brilla ancora, più vivida che mai: il Festival Internazionale del Cinema di Montagna di Trento.
A dire le cose come stanno, già nel 1946 si era costituita in seno al Cai una Commissione Centrale per la cinematografia alpina presieduta da Guido Maggiani di Torino. È di quell’anno il “Primo Concorso nazionale di Cinematografia alpina a passo ridotto”, senza dubbio l’antesignano del Festival di Trento. Dei venti film in concorso molti erano prodotti dal Cai-Uget di Torino, dall’Ical di Erba, dalla Sezione di Milano. Il primo premio toccò a Botanica a corda doppia del Cai-Uget. Virtuosismi dello sport bianco fu considerato il miglior film sulla tecnica dello sci. Acque il miglior documentario. Scuola di roccia a Merano il migliore per l’alpinismo.
Dall’anno seguente il Cai organizzò nelle varie città d’Italia proiezioni di film alpinistici. Nel 1948 si propose anche l’Istituto Luce con un parco-noleggio di dodici film di montagna. Altre pellicole, intanto, venivano distribuite dal Cai-Uget e dalle Sezioni di Milano, Treviso e Roma.
Nel 1951 la direzione centrale del Cai riorganizzò la propria Commissione cinematografica, scelse Torino come sede (in seguito si trasferì a Milano) e la Presidenza, purtroppo breve, fu affidata ad Ettore Giraudo e poi ad Enrico Rolandi. Si pensò che la cinematografia di montagna poteva contribuire a diffondere gli ideali del Cai. Sorse una prima modesta cineteca con l’intento di procurarsi film di ambientazione alpina e proiettarli nelle Sezioni e negli ambienti alpinistici in genere.
A questo punto, coadiuvato dal fido Rolandi, si inserisce Amedeo Costa, uomo Cai per eccellenza, ma con il dono dell’operatività trentina. Alla Sat, che si era assunta l’organizzazione del 64° Congresso del Cai, propose di indire per l’occasione una rassegna di film di montagna.
Fu così che Costa “inventò”, con l’aiuto di alcuni suoi amici, il Festival del Cinema di Montagna “Città di Trento”.
Sullo storico manifesto della neonata Rassegna si legge “C.A.I. FILM – Primo Concorso Internazionale della Cinematografia Alpina a passo ridotto. Trento 14-18 settembre 1952”. Era nato il primo festival del genere al mondo, secondo come nascita solo a quello di Venezia. Si costituì subito un comitato direttivo composto da Amedeo Costa Presidente, Sergio Tei vice Presidente, Enrico Rossaro Segretario-Direttore, Mario Pedrotti, Remo Pedrotti, Ettore Scotoni, Enrico Stefan e Giovanni Strobele Consiglieri. Non mancò la diretta ed entusiastica partecipazione del Comune di Trento. Fu un colpo grosso l’accoppiata con quest’ultimo. Senza togliere nulla a nessuno ci chiediamo ancora: quale città italiana, quale provincia italiana, quale regione italiana avrebbero potuto garantire al Cai un matrimonio così proficuo, leale, fedele e duraturo? È sacrosanto vero che il Festival è una affiliazione del Cai (che, peraltro, lo ha sempre sostenuto sia economicamente che attraverso i suoi tecnici), ma va sottolineato che senza un “padre” quale il Comune di Trento e un “nonno” quale la Provincia autonoma, il Festival – probabilmente – non avrebbe avuto vita lunga. Ciò, soprattutto, per scontati problemi economici.
Torniamo al 1952. Trovata l’idea bisognava passare alla fase organizzativa ed artistica, poi al traguardo più spettacolare, quello delle proiezioni di film di alpinismo e di montagna in genere. Rolandi andò a Parigi ad incontrare Samivel, quindi si mise in contatto diretto con alpinisti-registi di Innsbruck, Monaco e Zurigo che l’intraprendente Costa invitò. Erano pochi, a dire il vero, ci stavano sulle dita di una mano quelli con una buona esperienza, fra cui l’atletico attore-alpinista gardenese Luis Trenker (che non presentò alcun film), il romantico e fantasioso alpinista-scrittore-regista vicentino Severino Casara (presente con Il Campanile più bello del mondo e Le imprese di Emilio Comici), l’ottimo operatore e regista bolognese Mario Fantin (con Abbecedario di pietra) e il regista-scrittore-disegnatore francese Samivel – pseudonimo di Paul Marcel Gayet-Tancrède – in concorso con Cimes et merveilles.
Gli altri, forse meno noti seppur bravi, erano l’austriaco Theo Hörmann presente addirittura con tre film; il belga J. Jongen; i francesi Roger Frison Roche, Gorge Strouvè, J.J. Languepin, Iean Michelon e Guy Poulet oltre al già citato Samivel; gli italiani Fosco Maraini, Vincenzo Gatti, Adriano Zancanella, M. Alberini, Renato Gaudioso, Rizzotti-Depaoli, Giuseppe Marzani, Leone Donò, Renzo Zampiero, Gastone Capitano, Ghedina-Menardi oltre alle tre case di produzione Incom, Dolomiti Film, Solaria Film e ai già menzionati Trenker, Casara e Fantin.
Il Presidente Boni della Sat mise a disposizione un po’ di fondi; il vice Sindaco Ducati “fu largo di incoraggiamenti” e la cronaca non dice altro, ma pensiamo fossero “incoraggiamenti” in carta moneta; alle proiezioni parteciparono massicciamente i cittadini di Trento e parecchi giunsero dai paesi vicini tanto che l’avvenimento fu definito testualmente “meraviglia delle meraviglie”.
Il battesimo doveva aver luogo nel più bel salotto di Trento, il Teatro Sociale, invece i film furono proiettati “in un cinematografo di periferia”, l’Astra. Solo nel 1955 si passò al Teatro Sociale dove il Concorso divenne Festival e lì restò fino al 1987. I festeggiamenti furono impreziositi da prodotti tipici di quella terra: un ottimo bianco demi-sec e “un corposo teroldego d’annata da accompagnare a un piatto di carne salada”. Il tavolo della frutta non poteva che essere “ricolmo di squisite mele del trentino”. Il Sindaco Nilo Piccoli e la sua Amministrazione accettarono senza indugio la nuova paternità e mamma Cai ne fu felice. Va detto, sfidando i sorrisi di qualche scettico, che quel matrimonio fu d’amore vero – per la montagna – e non ha segni di cedimento.
(to be continued…)