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6 Ottobre 2009

Memorie · Racconti · storia

VANDALI NEL SANTUARIO!

bivacco-con-scritte.JPGParliamo del Bivacco “ai Mascabroni di Cima Undici” in Popèra per ricordare le gesta di ieri e la vigliaccata di oggi. Un bivacco che ho sempre considerato il più bello delle Dolomiti per la sua storia e la sua posizione a quasi 3000 metri.

Il plotone della 75ª compagnia alpini, comandata fino al dicembre 1915 dal Tenente De Zolt e poi dal Tenente Antoniutti, rimane a svernare sul cupolone della Cresta Zsigmondy. L’ordine era giunto direttamente dal Generale Fabbri che già meditava di compiere l’occupazione del Passo della Sentinella durante l’inverno.
Di fronte alla Cresta stanno i giganti che dominano il Passo della Sentinella: “la Undici” e “la Rossa”, come venivano familiarmente chiamati.
Restare qui nella stagione delle nevi poteva sembrare una follia, invece fu tattica raffinata, profondamente logica e saggia; chi conosce la zona sa che la traversata dalla Punta Sud alla Punta Nord di Cima Undici è più facile da compiersi proprio quando le piccole cenge e gli anfratti della montagna sono abbondantemente coperti di neve. Nella stagione estiva, invece, l’estrema friabilità, tipica di questa montagna, e la ripidezza delle rocce rendono tutto dannatamente complesso.

Il Generale Venturi, completati gli studi di fattibilità della traversata, il 30 gennaio 1916 affida al Capitano Giovanni Sala del Battaglione Cadore il comando delle operazioni da compiersi per la conquista del Passo della Sentinella. Con Sala c’è l’Aspirante Italo Lunelli, irredento trentino e ottimo alpinista, arruolatosi nel 7° Alpini del Battaglione Belluno con il nome di guerra di Raffaele Da Basso.
Per passare dalla postazione della Cresta Zsigmondy alla Punta Nord di Cima Undici che incombe sul Passo della Sentinella, esiste una sola via “logica” da seguire: raggiungere la Forcella Alta di Cima Undici a 3030 metri d’altezza, scendere un po’ a nord sul versante opposto, traversare a sinistra per cenge e pareti assai difficili, salire alcuni camini ghiacciati fino a sbucare nei pressi della Punta Nord.

Detto così sembra tutto normale per un alpinista; in realtà è maledettamente difficile e pericoloso. Per avvicinarsi alla meta i soldati italiani dovranno percorrere il primo tratto della Cresta Zsigmondy, in vista degli osservatori austriaci di Croda Rossa, vestiti di bianco, tassativamente di notte, cancellando di volta in volta ogni traccia sulla neve.
Un secondo tratto, facile e quasi in piano, è nascosto alla vista degli austriaci e porta alla base della Punta Sud Est; qui i nostri avevano costruito una baracca, su uno scaffale di roccia parzialmente riparato da uno strapiombo, chiamata “la Mensola di Cima Undici”. Da qui, da questo santuario della natura, i “Mascabroni” iniziarono la grande traversata verso la Punta Nord di Cima Undici. E lo fecero nei primi mesi del 1916, in pieno inverno, uno dei più nevosi e rigidi del secolo scorso.

All’alba del 16 aprile 1916 tutte le bocche da fuoco italiane intonano d’improvviso un canto infernale. È un coro possente che l’eco diffonde sinistramente per il vallone. Sono l’artiglieria da campagna del Crestón Popèra, le mitragliatrici e i fucili del Sasso Fuoco, il cannone “che sparava dalle stelle” del Monte Popèra ma che ora spara dalle nuvole, le due mitraglie di Forcella della Tenda, il lanciabombe e la fucileria di Cima Undici, le bombe a mano e la fucileria del Pianoro del Dito…
Tutti su un unico obiettivo: il Passo della Sentinella.
I difensori austriaci rimangono inchiodati nelle trincee di neve e nelle caverne in roccia o nel modesto alloggiamento del Passo, sbigottiti dalla sorpresa, increduli.
Ma è solo l’inizio.

La caverna di guerra e la baracca austriaca che stanno poco oltre il Passo sono battute dagli uomini di Lunelli inerpicatisi sul Pianoro del Dito.
Verso il Passo della Sentinella, intanto, sta salendo dal Vallón Popèra il Sottotenente Piero Martini con due piccole squadre; avanzano per il ripidissimo imbuto che precede il varco quando sono le ore 13 del 16 aprile 1916. Gli austriaci non si fanno vedere. Se uscissero dai loro buchi non ci sarebbe scampo per gli uomini di Martini. Forse si sono accorti che gli italiani stanno salendo dal Vallón, ma non osano metter fuori il naso perché hanno scorto i “Mascabroni” che stanno scendendo scivolando per il lungo nevaio della Cima Undici. E quelli sparano, mica scherzano…
Per primi sul Passo giungono Martini e il soldato Bourset, un patriota venuto dall’estero per arruolarsi. Poi arrivano gli altri al grido di “Savoia”. Martini si china a comporre il comandante austriaco morto da eroe, poi penetrano tutti nella galleria di neve. Non c’è nessuno. Quindi scorgono una porticina, la spalancano, si arrendono sette militari esterrefatti. Gridano: «Boni taliani, non amazateci».

C’è un ferito, uno parla italiano, è di Colle S. Lucia. Vengono trattati con rispetto. Poco dopo, a scivolo e rotolando lungo il ripido nevaio per 343 metri, cioè dai 3060 metri della cresta di Cima Undici Nord ai 2717 metri del Passo, planano i famosi “Mascabroni” del Battaglione Cadore con in testa i soldati Dal Canton e Zandonella, uno alpino del Comélico Superiore. In tutto sono 3 ufficiali e 36 fra sottufficiali e soldati al comando del Capitano Sala con i Tenenti De Poi e Jannetta.
Sono vestiti di bianco come i folletti dei ghiacciai.

Il termometro segna 30° sotto zero.
Questa vicenda ha avuto il suo giusto riconoscimento il 30 giugno 1968 con l’inaugurazione del Bivacco fisso “ai Mascabroni di Cima Undici”, quota 2990 m, eretto il 14 ottobre 1967 ad opera della Giovane Montagna di Vicenza proprio là dove sorgeva l’antica baracca degli alpini detta “La Mensola”.
Andrea Carta ha scritto pure un interessante libro, uscito nel 1993, nel quale racconta storia e vicende. Lo stesso Carta, nell’agosto di quest’anno, ha fatto una macabra scoperta. Il 25 giunge al bivacco, cosa che fa spesso per controllo e manutenzione, e scopre che il manufatto è coperto di scritte rosse e da un disegno che con la montagna non ha nulla a che fare. Una vergogna! Una vera vergogna! Due giorni prima ero in zona con amici sulla vetta del Monte Popèra; nulla abbiamo notato di strano sulla vicinissima Cresta Zsigmondy e sulla Cima Undici. Tutto era meravigliosamente calmo. Invece proprio in quei giorni “ignoti artisti” hanno compiuto “l’opera”.
La cosa è stata denunciata ai Carabinieri di Sesto, alle guide alpine locali, ai gestori dei rifugi di zona. Per ora tutto tace e i vandali se la ridono sotto i baffi. A meno che non siano dei giovinastri e allora non hanno neppure quelli.

Italo Zandonella Callegher