È un toponimo “inventato” lì per lì il 2 agosto 1915.
Un conducente di mulo sale lentamente la costa erbosa diretto alla Forcella Rìghile (v. disegno), allora chiamata Forcella Houbolt, nel Gruppo del Rinaldo (Comélico-Sappàda).
Fischietta, è calmo lui, è calmo l’ambiente, è calmo il mulo che lo segue mansueto. Non ci sono Austriaci intorno, sono sull’altro versante; qui la zona è sicura, protetta. Lassù sulla cresta i suoi commilitoni aspettano viveri freschi e una marmitta per cucinarli. L’animale, docile e paziente, porta in groppa un bel po’ di vettovaglie destinate ai fanti che “dovrebbero” difendere l’importante valico che separa la conca di Sappàda dalla Val Visdende e dal Peralba. È la prima linea italiana, questa. Oltre la valle, sulla Cresta di Confine, c’è quella austriaca. In mezzo, apparentemente tranquilla, si stende la fantastica conca alpina che è un grido di gioia tant’è bella e romantica. In seguito un fantasioso realista la chiamerà: “Inno al Creatore”.
Nel frattempo un plotone austriaco, dimostrando un bel fegato, si è spinto fino a ridosso della linea italiana. Probabilmente vuole controllare le forze in campo, vuole conoscere per poi riferire al proprio comando; in cambio riceverà un fiasco di vino, com’era in uso fra gli Standschützen.
Un urlo in idioma che non conosce fa sussultare il fante a stento trattiene il mulo spaventato. Vede uomini strani, che parlano in modo altrettanto strano. Intuisce subito chi sono! Se l’urlo è uno, gli Austriaci sono quattro e intimano la resa. Il fante non ha scampo. Si lascia fare prigioniero; cos’altro può fare ‘sto poveretto?
« Porco can. Me tocarà magnar patate fin a la fine de la guerra, se tuto và ben.»
«Was !?»
«Mi no ghe no vas; quela l’è na marmita par la pastasuta, no ‘n vas. Se proprio orbi voialtri cruchi.»
Così, senza colpo ferire, gli Austriaci si trovano fra le mani, più che un prigioniero impaurito, un soldato da far “cantare” per avere notizie fresche del fronte italiano. Il suo mulo è un valore aggiunto.
Poi i soldati austriaci, aiutati da una complice nebbia fitta e malandrina, salgono indisturbati le ultime rampe della mulattiera. Nessuno si accorge di nulla. Giungono al pertugio fra le rocce, un minuscolo varco sulla cresta poco a occidente della Forcella Rìghile dove stanno gli Italiani. Qui fanno passare l’animale con cautela perché, al di la, il canale precipita e si fa pericoloso, poi lentamente fanno scendere soldato e mulo e passano incolumi nella terra di nessuno. Tutto tace, le sentinelle non si sono accorte di nulla. Giungono così al Passo del Roccolo, poi al Col di Càneva. Passate le sorgenti del Piave, risalgono il vallone a est del Peralba e rientrano nelle loro linee al Passo dell’ Oregόne sulla Cresta di Confine. Una impresa fortunosa e audace. Una traversata ritmata dal suono degli zoccoli di un mulo consenziente e di un fante impaurito.
Ma la storia non finisce qui.
Alcuni soldati austriaci, in seguito fatti prigionieri, raccontarono che quel mulo alpinista aveva sì cambiato padrone, ma non abitudini e fatiche. Era stato assunto in piena regola dal presidio austriaco del Monte Peralba e adibito al servizio regolare di rifornimento della prima linea. Dalla pentola alla brace, insomma! Dissero che ragliava spesso, che scalciava, che protestava sempre, che era un mulo sindacalista, che odiava le patate e i crauti, che ogni tanto si rifiutava di lavorare e altre angherie del genere. Insomma era “un sangue caldo”, un mulo italiano.
Nessuno lo capiva, eppure sembrava ben addestrato! A Sappàda raccontavano che il suo conducente “sapeva leggere e scrivere e di professione faceva il fabbro”, che gli sussurrava spesso parole dolci all’orecchio, che non gridava come fanno tutti i mulattieri, che gli si rivolgeva con educazione sia in talian che in veneto e lui lo capiva. Ora il soldato suo amico era stato internato e lui era rimasto solo con quei magna capuzi che, inconcepibile, non erano in grado di capire un mulo.
È pur vero che il povero mulo, a modo suo, si lamentava del vitto, ma vai a capirli i muli. Non comprendeva perché bisognava mangiare poco e male, perché sempre e solo patate e foglie lessate di cavoli, perché altre cose barbare del genere. Comunque, bene o male, gli toccò di lavorare, proprio “come un mulo”, per tutta la guerra. Si presume che nel 1919, quasi certamente, avrà chiuso la sua laboriosa vita infelice in qualche decantato salumificio austriaco.
In seguito a questa disavventura la guardia delle forcelle del Rinaldo fu affidata ai Volontari Alpini del Cadore. Vi rimasero dal 15 agosto 1915 fino alla primavera del 1916, spesso isolati, spesso privi di rifornimento a causa delle valanghe che battevano in continuazione quel tratto ripido, quello sperone che da Sappàda porta ai Laghi d’Òlbe.
Quel passaggio angusto fra le rocce del Rinaldo si chiama da allora Passo del Mulo.
Italo Zandonella Callegher