La lunga e straordinaria avventura umana di Cino Boccazzi, alpinista accademico degli anni d’oro, medico, giornalista, inviato speciale, scrittore, esploratore, uomo di grande cultura e altro ancora, si è conclusa nel 2009 all’età di 93 anni.
Nato ad Aosta nel 1916, Cino si sposta a Treviso dove praticherà con grande competenza e serietà la professione di medico urologo. Nel 1937 scopre il canottaggio e si cimenta ai Littoriali con l’armo di Jelmoni, Moschini e Smaghi. Nel 1940, appena ventiquattrenne, presentato da celebri “padrini” alpinisti del calibro di Aldo Bonacossa, Attilio Tissi e Raffaele Carlesso, viene ammesso nel Club Alpino Accademico Italiano con alle spalle un’ importante serie di arrampicate e di esplorazioni alpinistiche, specie nel Gruppo del Popèra e in generale nelle Dolomiti dove aveva iniziato la carriera in cordata con Giuseppe “Bepi” Mazzotti (con lui fece la prima invernale del Cimon della Pala nel 1936) e la sua nutrita e agguerrita “squadra” composta, oltre Boccazzi e Mazzotti, da Enrico Reginato, Arturo Dalmartello, Renzo Smaghi, Carlo Gera, Umberto Calosci, Nerina Cretier Mazzotti moglie di Bepi, il fratello Luigi Boccazzi, Carlo Tomsig e altri.
Nel suo curriculum alpinistico troviamo 40 vie nuove, di cui 38 da capocordata e numerose ripetizioni classiche, anche invernali.
Nel 1941 dirige la Scuola Nazionale di alpinismo invernale dolomitico “Emilio Comici” a Plan de Gralba organizzata dai GUF (Giovani Universitari Fascisti) di Treviso e dove figurano come istruttori anche Severino Casara ed Enrico Reginato (quest’ultimo, subito richiamato come ufficiale medico, viene spedito a Rikovo in Russia dove viene fatto prigioniero nel 1942. Rientrerà in Italia solo nel 1952 ricevendo una medaglia d’oro al V. M.).
Lo spirito avventuroso e un po’ guascone di Bocazzi lo porta a diventare nel corso dell’ultima guerra mondiale il mitico “tenente Piave”. In questa veste “opera” per conto dei servizi segreti alleati e, quale ufficiale paracadutista volontario aggregato alla “Folgore”, viene “lanciato” in Friuli dietro le linee nemiche dove combatte contro forze tedesche e cosacche guadagnandosi una medaglia d’argento e una di bronzo al Valor Militare. Trovatosi infine davanti al plotone d’esecuzione, riesce a cavarsela in modo rocambolesco e per il rotto della cuffia…
La passione per l’arrampicata lo porta su altri lidi; scopre il Sahara. Su quelle montagne apre 15 nuovi itinerari assieme ai noti Accademici del Cai Paolo Consiglio, Bruno Crepaz, Carlo Claus … Dirà di questa esperienza: «Durante una spedizione alpinistica nelle montagne ignote dell’Aïr nel Sahara centrale (Niger), dalla cima di una montagna sconosciuta, raggiunta dopo una arrampicata di venti ore di grado estremo su vertiginose pareti di granito, ho visto un’immensa distesa di cime sconosciute e, in fondo, oltre le onde di sabbia, l’oceano. Ho ricordato tutte le leggende, l’Atlantide, Anderbouka – l’oasi fantasma che appare soltanto nei miraggi – la presenza di extraterrestri raffigurati nei graffiti e ho cominciato a percorrere il deserto che avrei poi attraversato 22 volte.»
E ancora: «… Il deserto mi ha dato una dimensione tale da farmi dimenticare molte cose, fra cui una operazione per un tumore da cui sono guarito… Viaggiare mi ha cambiato, mi ha permesso di percorrere sentieri di libertà, di trovarmi in mezzo a rivoluzioni – Algeria, Ciad, Ungheria -, dove uomini generosi combattevano per la libertà. Ne ho scritto in Il cimitero dei dinosauri, Sabbie d’Africa, Il fiume scomparso, Il condottiero dei Tuareg, Sahara, Vento sabbia e solitudine…». E poi ancora La via dell’incenso e Le donne blu, ma anche romanzi come La bicicletta di mio padre (Premio Selezione Campiello 1999) e Il diavolo custode, storia di uno strano diavolo che afferma con convinzione di provenire dalle grandi montagne himalayane.
Passato, ma non dimenticato, il forte sentimento per l’alpinismo che l’aveva comunque ben forgiato, diventa esploratore e archeologo. Effettua, come dice lui stesso, 22 spedizioni nel Sahara, spesso traversandolo, trasferendo poi in libri divenuti famosi le scoperte sui resti pietrificati dei dinosauri, sui graffiti, sulla condizione delle donne sahariane, sulle culture arabo-islamiche… Una mole cartacea impressionante; 28 volumi, affascinanti per argomento e per lo stile assai piacevole e brillante. Purtroppo uno solo di questi è dedicato alla montagna: Il nomade delle rocce (Nuovi Sentieri, 1998) ed è un peccato, considerata la vasta attività dell’illustre alpinista.
Alle arrampicate e alle esplorazioni sahariane vanno aggiunti 18 viaggi di studio nello Yemen, in Arabia Saudita, Siria, Giordania, Sudan, Heggiaz, Rub al Kali, Hadramauth e Iran. Cosa che gli ha permesso di scrivere anche tre straordinarie biografie di personaggi altrettanto straordinari: Padre de Foucauld, Kaosses il condottiero dei Tuareg nel corso della Prima Guerra mondiale e il leggendario Lawrence d’Arabia.
Ora l’alpinista accademico, l’esploratore, il viaggiatore, lo scrittore fecondo (padre della scrittrice Kuki Gallmann che vive in Kenia ed è autrice di Sognavo l’Africa, 1993 – da cui è stato tratto un celebre film – e Notti africane, 1995), il dicitore incantevole e incantato, l’operatore culturale, l’uomo che nessuno dovrebbe dimenticare (specie a Treviso dove fu anche co-fondatore, direttore, componente e anima delle giurie del “Premio Mazzotti” e del “Premio Comisso” oltre ad aver svolto molteplici altre attività) sta scalando altre montagne, sta attraversando altri deserti. E chi non l’ha conosciuto resterà sorpreso nel constatare la mole incredibile della sua attività. Una “produzione” da autentico stacanovista dell’alpinismo e dell’avventura. Un vero diavolo e angelo custode, un viaggiatore instancabile. Proprio come quello del suo ultimo libro.
Italo Zandonella Callegher
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