Mi hanno sempre affascinato le valli selvagge.
Quando capito in valli più “affollate” invece mi piace esercitare l’immaginazione pensandole diversamente, senza alcuna presenza umana o, al limite, con pochi uomini e donne che si aggirano per luoghi ancora ricchi di vegetazione ed animali allo stato naturale.
A volte questo mio gioco risulta molto difficile poiché ormai la presenza umana ed il presunto progresso sono talmente radicati in alcuni luoghi da rendere la cosa davvero impegnativa; altre volte invece è davvero facile ricreare dei panorami primitivi immaginari e trovarsi in diretto contatto con l’essere incontaminato di certi luoghi.
In Ossola è stato davvero un gioco molto facile, quasi immediato, diretto.
Ho potuto esplorare alcune delle sue valli e mi ritengo fortunato ad aver incontrato persone con una profonda passione per i luoghi in cui abitano.
Parlare con rifugisti, nonni, guide, ristoratori, scrittori ed accorgersi che una delle espressioni più ricorrenti sembra essere “la leggenda dice che” lascia intendere che la storia di questo territorio è in parte sconosciuta e misteriosa.
I popoli che vi hanno vissuto, le loro usanze i loro modi di integrarsi con il territorio i loro spostamenti tra queste selvagge valli si trovano al limite tra la ricostruzione storica e la supposizione.
Il fascino delle valli, il fascino delle persone che vi abitano, l’orgoglio nel mostrare le tradizioni locali.
Ad ogni luogo sono collegate preziose persone in grado di portare con sé tutta la particolarità e la bellezza di questi luoghi.
Natale è un anziano signore originario di Anzuno, località non molto distante da Domodossola, è presidente di un’associazione che cerca di mantenere in vita la storia di questo piccolo gruppo di baite e delle usanze delle persone che le abitavano.
Natale ha dei folti capelli bianchi e si ricorda perfettamente di quando tutto il territorio che circondava Anzuno era coltivato a viti e di quando suo padre – “che era del 1900” – accompagnava lungo la mulattiera l’unico medico di Domodossola disposto ad arrivare fino a queste case. Mi mostra un torchio del 1712 dicendomi che fino al 2005 era ancora in funzione, ancora a disposizione degli abitanti di Anzuno.
Purtroppo ormai più nessuno vive qui, vi arriva qualche turista tedesco o qualche italiano in villeggiatura ed il bosco sta piano piano inghiottendo il borgo. Natale ricorda in modo limpido le vendemmie di una volta, la brenta per trasportare calcolati quantitativi di vino utili per scaldarsi durante l’inverno e lo tsebrat, il falegname dalla folta barba bianca che le costruiva.
Mariano invece, gestisce un rifugio a Cheggio nell’alta valle Antrona, una valle caratterizzata da profondi laghi verdi, da sentieri che portano direttamente alla vicina Svizzera e da paesi anticamente rasi al suolo da imponenti frane ma subito ricostruiti dalla volontà di persone che non volevano abbandonare questi luoghi.
Mariano è uno che ha quella passione lì per la montagna e per la gestione dei rifugi, quella passione che gliela puoi leggere in faccia, nelle rughe del volto, nelle vene delle braccia e negli occhi che lasciano trasparire un entusiasmo fanciullesco mentre parla delle montagne da cui è circondato.
Questo non è l’unico rifugio che ha gestito, ne ha gestito altri; per quasi tutta la vita ha fatto il rifugista.
Mariano mi racconta le storie dei primi abitanti della valle e mi fa immaginare di essere solo, sconfitto e di decidere di infilarmi in una valle aspra e selvaggia dove poter finalmente costruire una casa ed una famiglia. Una piccola comunità alla ricerca della calma e della pace, della solitudine e dell’autosufficienza.
In due parole, orgoglio e passione.
Negli occhi di Mariano leggo la speranza di poter valorizzare le cose semplici e profonde di cui mi ha parlato, di poter ospitare persone desiderose di ascoltare e conosce, di potersi aprire maggiormente al mondo pur mantenendo intatte queste tradizioni.
In Devero si respira un’aria magica, piccoli laghi alpini si insinuano in conche circondate da boschi di larici, grandi piane ad alta quota fungono da alpeggi per bestiame che solo qui produce particolari tipi di formaggi a causa dell’erba che cresce a questa quota.
Qui, in Devero, capita di incontrare uomini come Mari che hanno avuto il coraggio di vivere tre vite, ripartire da zero tre volte e decidere che la terza sarebbe stata dedicata all’insegnamento dell’educazione ambientale ai bambini dell’Ossola. Mostrare la bellezza della natura nelle scuole e nei parchi naturali e soprattutto insegnare, tramite l’esempio, come uomo e natura possano e debbano coesistere.
Maria Giuliana invece ha ristrutturato, insieme a suo marito, un vecchio fienile e ne ha ricavato una casa da sogno; esattamente una casa ed una stanza, dedicata al servizio di bed&brekfast.
Maria Giuliana scrive favole per bambini, forse perchè vive vicino ad un lago incantato. Scrive libri al cui interno è facile riconoscere i luoghi ed i personaggi di questa valle e quando ride si illumina di tutto l’entusiasmo dei suoi lettori.
Passando di qui non si può resistere a sedersi un secondo nella zona di lettura per bambini, sfogliare uno dei suoi libri e rituffarsi per un po’ nel passato.
Non molto lontano dalle favole di Maria Giuliana si trova un’altra storia, quella di sua sorella Maria Rosa e di suo marito Bruno.
I due hanno comprato una casa del 1925 proprietà dell’ingegnere che aveva progettato la diga presente al Devero.
Lei è originaria della zona mentre lui è Svizzero. Prima dell’acquisto lavoravano entrambi oltre il passo del Sempione.
Per dodici anni, hanno trascorso tutta la settimana lavorando oltre la frontiera ed il week-end lavorando alla ristrutturazione della loro nuova casa/”ristorante con camere”.
Bruno dice di essere “stregato” dal Devero, questo lo ha spinto ad abbandonare il proprio lavoro di informatico ed investire tutto insieme a Rosy in questo progetto.
Quando scavi la roccia con le tue mani, quando fai tornare il legno alla vita, quando dormi per terra su un materasso appena dopo aver chiuso il tuo ristorante, quando fai tutto questo perché sei innamorato di un sogno allora puoi star certo di essere stregato e di stregare chi ti sta in torno.
Realizzato un sogno se ne materializza un altro, quello cioè che hanno i due – insieme ad altri qui al Devero – di riuscire a tutelare il territorio e promuovere un turismo ecosostenibile ed attento.
Stanno provando a sensibilizzare le persone alla conservazione di un territorio così speciale promuovendo un’economia a basso impatto ambientale.
Senza dubbio l’Ossola nasconde tra le proprie valli numerosi tesori paesaggistici e culturali di indubbio valore ma quello che mi ha colpito maggiormente di questi luoghi è stata l’autenticità delle persone che, nel bene e nel male, sanno trasmettere l’essere reale dei luoghi da cui sono circondate.
Il bello sta nel cercarle.
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