Sei sempre stato qui… è il libro di Eugenio Gardella che ho appena finito di leggere.
Forse “leggere” non è il verbo giusto: sarebbe più corretto dire “vivere”.
Sapevo che avrei affrontato la storia di un uomo e della sua compagna, la ricerca di una famiglia, della salute, di un futuro, ma non immaginavo con quale intensità mi sarei confrontato.
Ho impiegato tre settimane per finire il libro, perché ogni volta che m’immergevo tra le sue pagine provavo dolore con il protagonista e respiravo la sua speranza e non tutte le sere avevo voglia di soffrire.
Il lettore si trova di fronte alla storia di un arrampicatore che deve affrontare tremendi ostacoli per poter guarire e ricominciare ad arrampicare con la punta delle dita su microappigli sfuggenti in sequenze dure e armoniche.
Eugenio non è solo un bravo scalatore, è soprattutto un uomo acculturato, umano e sensibile, disposto verso il mondo, gli altri, e verso se stesso; il suo percorso lo porta a evolversi, ad accettare le sue debolezze. Il protagonista impara a piangere e ad aver bisogno, e non solo a essere un “cavaliere invulnerabile”.
Roberta ed Eugenio apprendono come essere una famiglia, come diventare genitori, molto prima di aver figli. Scoprono che la vita è la vita, non l’archetipo di essa. La loro storia si tesse di trame inaspettate e il sentiero della loro vita ricalca un dedalo che mai avrebbero immaginato, un ordito vero ed estremamente vivido.
A ogni bivio corrisponde una crescita personale: quante cose vorrei dirvi di ciò che ho provato confrontandomi con questo meraviglioso volume, ma non lo farò per non roivinare la vostra sorpresa. Dovete affrontare quest’opera …on sight!
…ma non posso non chiedere ancora qualcosa all’autore che come sempre si è dimostra una grande persona.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
In questo momento l’avventura di questo mio romanzo sta cambiando le cose, soprattutto sta cambiando me. Diciamo che sono uscito dalla zona di conforto e sto vivendo un percorso di crescita. Vorrei poter scrivere di più, perché scrivere è una passione che mi fa viaggiare da sempre.
Comunque non perdo i vecchi sogni. Dopo aver raggiunto il 7c+ di blocco a 47 anni vorrei aggiungere mezzo grado e fare l’otto. Ma al momento mi sto allenando pochissimo e mi dispiace perché allenarmi mi diverte e adoro i miei compagni di scalata.
Poi c’è il progetto più grande e riguarda i miei bimbi, progetto di renderli felici.
Quanti anni hanno ora i tuoi figli?
Mario 11 ed Elena 9. Sono ancora piccoli e innocenti eppure già grandi. Stiamo assieme, giochiamo, scherziamo, ogni tanto li sgrido un po’, ci lasciamo i nostri spazi, ma ci baciamo e abbracciamo tantissimo. Li amo follemente.
Scalano?
Eccome! Scaliamo assieme e si allenano in una palestra con un mio caro amico. L’arrampicata è socialità e un modo di vivere, questo volevo trasmettere.
Mario è un genio della scalata. Si muove benissimo, è una specie di Bruce Lee in miniatura. Quest’anno a Magic Wood dove abbiamo fatto le ferie, noi family, ha chiuso una raffica di blocchi fino al 7a.
Elena si sta facendo. E’ meno tecnica del fratello, un po’ più “Ciapa e tira” per capirsi, ma ha una forza notevole diciamo che stringe le prese e chiude basso. L’anno scorso ha ottenuto un bronzo nel boulder ad Arco campionati italiani. Certo erano solo gli under 10…
Cosa hanno detto loro di quest’opera?
Quando Mario ha compiuto gli undici anni, proprio quel giorno, mi sono arrivate le prime due copie da Frassinelli.
Ovviamente una l’ho regalata subito a lui, al mio bambino magico, il figlio migliore e più grande che avrei mai potuto desiderare. E lui, letta la dedica, ha commentato.
“Ma papà, siamo troppo piccoli per un libro così!”
Cosa vuoi che ti dica, mi guardano in tv, ascoltano distrattamente le interviste, e mi seguono spesso alle presentazioni. Trovo utile che i figli partecipino alle cose dei grandi. Ma alla fine facciamo le stesse cose, ci si alza alla mattina, loro a scuola e noi a lavorare.
Cosa pensi che loro pensino di te e della loro mamma?
Bella domanda. Di me credo pensino che papà è superforte e invulnerabile, ma ridono come dei matti quando vedono che invece sono come tutti gli altri, forse un po’ più sognatore e indaffarato.
Della mamma penseranno che è una super mamma che si allena con ragazzi di vent’anni e che per fortuna c’è lei che pensa a tutto così loro possono stravaccarsi sul divano e farsi gli affari loro. Con me per forza di cose devono essere più autonomi.
Cosa vorresti che pensassero di te?
Domanda ancora più difficile. Cosa vuoi che ti dica, caro Christian, a loro come figli affido la memoria di me. Spero che mi ricordino come un buon padre. Spero che quando penseranno a me ricorderanno il calore dei miei abbracci, la mia ironia, l’amore per la natura, la mia voglia di un mondo migliore, la mia voglia di lottare per i miei sogni, il mio amore per loro e per questo mondo un po’ disgraziato.
Christian Roccati
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