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4 Marzo 2017

Dell’amore freddo

Il “ghiaccio d’acqua” non è mai stato il mio elemento. Ho sempre preferito che deriva dalla lenta trasformazione della neve nel tempo. Forse perché, inconsciamente, mi piacciono le cose che hanno solide radici nel passato. Il ghiaccio d’acqua è materia temporanea, rappresenta l’incostanza, eppure il suo fascino sta proprio lì. Non mi sento per niente a mio agio e si può dire che il mio rapporto con esso sia stato sempre tormentato, d’amore e odio. Forse, è proprio quel sentimento che si deve a un amante esigente. Sai che non durerà, che sarà un rapporto pericolosamente instabile. Cerchi di liberartene ma ricaschi sempre in quell’abbraccio effimero. Da amante inesperto, la prima volta, presi un blocco in testa staccato da uno scalatore malaccorto che aveva deciso di superarci a tutti i costi e, in discesa, il mio discensore “robot” non adatto per le corde che allora ghiacciavano senza scampo, mi fece restare a penzoloni in uno strapiombo. Dovetti succhiare le corde strette nella mostra del piastrino metallico che per il freddo mi si appiccicava alle labbra. Era novembre, del 1984. Il ghiaccio d’acqua in quegli anni era una presenza costante sul fondovalle per almeno quattro mesi. Oggi se va bene, lo è per quindici giorni. Picchiavi e salivi, mentre le nocche si martoriavano per gli urti e, davvero, piangevi per le “bollite” quando il sangue riprendeva a scorrere nelle dita biancastre e indurite. Sofferenze di un amore perverso e pericoloso, appeso a due cordini e a due attrezzi, mentre con due mani tentavi di infilare nel ghiaccio quelle maledette viti “polacche”. Curioso, quando sul Monte piuttosto raramente Bianco incontravo dei polacchi, avevano il sacco a pelo fatto in casa con la lana di roccia, sacconi dell’immondizia e spago, però avevano le viti … Quando si doveva recuperare mezzo metro di chiodatura e la paura si faceva sotto, ti ritrovavi a battere con il “terzo attrezzo” i “wart dog” oppure gli “snarg”. No, non mi sono mai sentito a mio agio sul ghiaccio d’acqua. Eppure, per oltre vent’anni con gli amici Roberto, Luca e Paolo, abbiamo scorrazzato sulle goulotte del Monte Bianco e delle Alpi Francesi e ci siamo messi in coda nei più celebri santuari del ghiaccio d’acqua, per prenderci la nostra dose di “bombardamento” dall’alto e per condividere spazi esigui alle soste. Quante corse per arrivare alla base e attaccare per primi. Eravamo piuttosto lontani come tecnica dai “maghi del ghiaccio”. Siamo sempre stati dei pessimi amanti, di quelli che si possono rimorchiare per due soldi nei luoghi più malfamati e nascosti delle valli alpine. Piuttosto infedeli. Eppure, sul ghiaccio, talvolta ci siamo portati a casa delle prime salite difficili in alta montagna, alcune ancor oggi non ripetute. Sono lontani i tempi delle piccozze diritte, dei cordini, della dragonne, delle viti polacche, DSCN1682eppure, io, continuo a non sentirmi a mio agio. La grandezza di questo maltrattato, idealizzato, travagliato alpinismo sta tutta qui: nella gratuità di scelte illogiche. Specie quando queste si compiono senza un rapporto mercenario, lontani da fama e riflettori. La mia stagione di “ghiaccio d’acqua”, quest’anno, si discosta in modo abnorme dagli anni della ricerca delle “candele” e delle cascate cosiddette “difficili”, e la testimonianza è che durante le mie uscite non ho mai incontrato anima viva. I ghiacciatori “seri” hanno ben altri terreni come obiettivo. Del resto, però, la solitudine era ciò che cercavo e a due passi da casa. Non ho mai inseguito il “difficile” ma mi sono imposto una regola ben precisa: non avere mai con me la corda, neppure per le discese, spesso rischiose e complicate. Inoltre, se questo può aggiungere un elemento dal sapore antico, ho raggiunto sempre l’accesso alle cascate in bicicletta. Mi resta il ricordo di un inverno davvero particolare, suggellato da qualche autoscatto con facce po’ ridicole e volutamente irriverenti e provocatorie (credetemi, ci va più tecnica a fare un autoscatto in cascata che sfoderare una progressione evoluta) ma anche di silenzi ovattati e di lievi chiacchierii d’acqua, di cenge sospese di stambecchi un po’ stupiti. Soprattutto, la consapevolezza che la montagna per fortuna ci offre ancora la possibilità di essere liberi di scegliere e di spezzare le catene di un dubbio “buon senso collettivo”, che a ben vedere tale non è. Comunque no, non mi sono mai sentito a mio agio sul ghiaccio d’acqua…