La valle si apre a ventaglio dalle montagne di confine, raccogliendo come fosse tela da pittura l’azzurro dei torrenti che ne bagnano i prati. Siamo in alta Val Veny, in un soleggiato giorno di metà agosto, lungo il frequentato sentiero che porta al rifugio Elisabetta. Sulla destra spuntano fiere le granitiche forme del Monte Bianco, avvolte da scenografiche nuvole bianche. Davanti a noi invece, due insolite piramidi argentee si innalzano verso il cielo. Sono le Pyramides Calcaires, due vette gemelle formate da rocce calcaree che in questo mondo di granito riecheggiano come note dissonanti, ma dotate di un forte senso proprio, all’interno di un’articolata composizione musicale.
In questa giornata di riposo dalle più impegnative salite in alta quota, la nostra attenzione si è posata proprio sulla cresta Nord-Est della cima Sud. Si tratta di una semplice salita tracciata nel 1894 che, seguendo il profilo affilato della cima Sud, ne raggiunge la vetta con tratti aerei e panoramici senza mai andare oltre il III° grado. Avremmo potuto scegliere di allenarci in falesia o di fare una passeggiata in paese, ma il richiamo di questa splendida valle e la voglia di un ritorno alle origini dell’alpinismo ha prevalso su tutto il resto.
Così, mentre un gruppo di grifoni volteggia alto sui ghiacciai attorno a noi, attacchiamo in conserva il caratteristico diedro da cui ha inizio la via. Guadagniamo velocemente il profilo della cresta che in certi punti, affilata come una lama, taglia l’azzurro del cielo senza provocargli violenza. In questi luoghi la tensione tra gli elementi è governata da un intreccio di variabili in lento ma costante mutamento. Il tempo assume un nuovo valore, si espanda e si dilata, così come l’animo dei frequentatori di qualsiasi montagna, più o meno alta che sia.
Un ampio ripiano erboso a metà via interrompe la continuità della cresta che intervalla tratti di calcare compatti ad altri in cui è necessario prestare maggiore attenzione. La progressione risulta sempre facile e divertente, una sorta di lungo traverso ascendente verso sinistra caratterizzato da placche molto appoggiate e da facili roccette.
Un caratteristico passaggio di 5 metri da affrontare in discesa ci conduce quindi ad un intaglio da cui in breve raggiungiamo la vetta. Qui, in zona di confine tra due paesi, oltre che tra cielo e terra, una breve frase di Erri De Luca mi risuona in mente più forte che mai: “Una cima raggiunta è il bordo di confine tra il finito e l’immenso”.
Raccolta tutta la bellezza possibile con gli occhi e con lo spirito, ci concentriamo nuovamente per raggiungere il fondovalle. La classica discesa prevede di aggirare la montagna da Nord-Ovest seguendo degli ometti lungo un tratto di sfasciumi piuttosto ripido e franoso. Decidiamo quindi di seguire un invitante freccia disegnata nella roccia che ci conduce ad una sosta su fix con anello di calata. Effettuata però una prima discesa a corda doppia, ci ritroviamo a fare i conti con un canale altrettanto friabile e poco sicuro. Continuiamo a scendere fino a che, raggiunto un pianoro detritico, diventa impossibile continuare. Intorno a noi si affacciano soltanto pareti di rocce verticali dalle quali è impossibile scendere a piedi. Ragioniamo qualche attimo sul da farsi finché notiamo uno spezzone di corda su uno spuntone. Decidiamo quindi di calarci sperando così di raggiungere terra.
Purtroppo però la nostra corda non è abbastanza lunga. Improvvisiamo una sosta su una fettuccia abbandonata da qualcuno che si è ritrovato nella nostra stessa situazione. Appesi ad un piccolo masso “ballerino” in un mare di rocce rotte, cerchiamo di annullare il nostro peso rimanendo quanto più possibile incollati alla parete. Quando il primo di noi si cala il respiro si ferma per un attimo che sembra un’eternità. Il silenzio si interrompe solamente quando tutti e tre tocchiamo terra, l’adrenalina in circolo fluisce dai nostri corpi attraverso battute e risate. Chi avrebbe mai immaginato che una salita tanto facile e classica avrebbe presentato una discesa così avventurosa?
Riprendiamo così il lungo cammino verso valle, con il sole che inizia ad abbassarsi lentamente verso l’orizzonte. Le piramidi di calcare sono ormai alle nostre spalle e questa volta, mentre alterno i passi sul sentiero polveroso, mi sovviene il titolo di un’intervista a Zygmunt Bauman che recita: “Le emozioni passano, i sentimenti vanno coltivati”. Ecco, forse in futuro il ricordo delle emozioni provate durante questa giornata sfumerà col tempo, ma quel profondo sentimento di meraviglia e di amore nei confronti delle montagne sarà cresciuto e non smetterà mai di farlo, anche quando arriverà il momento in cui limitarsi a guardare le cime dal basso, continuando sempre e comunque a sognare.