Qualche anno fa, quando iniziai a scalare, il CAI di Forlì e in particolare il gruppo dei Ghiri di Romagna rappresentarono per me la porta di accesso a ciò che sognavo da tempo, vivere la montagna nella sua forma più verticale. Ricordo bene il primo giorno in falesia alla gola del Furlo così come la prima via, il “Grande traverso” alla Balza della Penna (Marche), salita in compagnia di Nicola ed Eleonora. Non avevo ancora stretto amicizia con persone aventi la mia stessa passione e le uscite dei Ghiri erano (e continuano ad essere) un bellissimo pretesto per conoscersi e condividere salite.
Tra i primi a farsi avanti per un’uscita personale ci fu Ivano, che in una giornata di inizio Giugno mi propose di andare a scalare a Bismantova. Non conoscevo il luogo e tantomeno le vie, ma ovviamente accettai subito, emozionato ed impaziente di mettere mano sulla roccia. Quel giorno ripetemmo le classiche “Mussini-Iotti” e “Oppio” e nel momento in cui arrivai in cima alla Pietra capii anche, una volta aperto lo zaino, che portarsi dietro una banana durante la salita di un camino non è proprio una grande idea! A parte il divertente inconveniente, la grande felicità per le vie salite fu ampliata dai racconti di Ivano sulla nascita e sull’evoluzione del suo amore per l’arrampicata. Le prime esplorazioni della falesia di Rio dei Cozzi, le scarpette da ginnastica a sostituire i vecchi scarponi e l’utilizzo dei nut oltre che dei chiodi, furono tutti aneddoti che mi emozionarono molto, soprattutto perché raccontati da chi li aveva vissuti in prima persona.
Quando mesi dopo il gruppo dei Ghiri organizzò la serata di presentazione dell’attività svolta da Ivano non potei fare a meno di partecipare. Alla narrazione delle storie e delle salite si aggiunsero anche bellissime fotografie scattate negli anni della sua attività e mi fu ancora più chiaro quanto ciò che faceva fosse importante e di livello. Tra le cose che più mi colpirono, oltre alle salite compiute in Dolomiti, ci furono l’apertura della “Via Verde” e quella dei “Caschi Rossi” alla Gola di Frasassi.
L’idea di vivere piccole avventure sul nostro Appennino ha sempre suscitato un forte interesse su di me ed è per questo che il pensiero di ripetere una via aperta da Ivano, non troppo lontano da casa, mi entusiasmò moltissimo. Il pensiero iniziò poi a prendere forma concreta quando fu annunciata la sistemazione e la pulizia della via da parte del gruppo dei Ghiri, così, quando il lavoro fu ultimato e la relazione resa pubblica, comunicai subito a Ivano l’intenzione di andarla a ripetere. Nel frattempo però l’arrivo dell’inverno e il giudizio espresso da alcuni amici Ghiri sull’impegno richiesto dalla Via Verde, mi fecero rimandare a data futura l’idea di una possibile salita.
Con l’arrivo della primavera, qualche mese di allenamento sulle spalle e un po’ di esperienza alpinistica in più, non ho potuto fare a meno di accettare la recente proposta di Ivano di tornare sulla Via Verde. Radunato un bel gruppetto di otto persone grazie all’uscita sezionale, ci siamo ritrovati a percorrere il sentiero che conduce verso l’attacco, in una domenica di metà Maggio. La Via Verde accoglie subito con una sorpresa, un arco che fa da entrata ad una grande grotta sormontata da un enorme strapiombo, ma fortunatamente non si attacca da quest’ultimo!
Nonostante questo, dopo aver superato facili rocce e un traverso elementare, la via mette subito in guardia eventuali ripetitori, una bella placca liscia difende il diedro che conduce alla prima sosta. Decidiamo quindi di lasciare a Ivano l’onore di partire sulla via, 37 anni dopo la sua apertura, e mentre supera i primi metri guadagnando faticosamente il diedro, l’emozione e la gioia è forte fra tutti noi.
Nascosto dallo spigolo, Ivano raggiungere la prima sosta, recupera le corde e finalmente inizio anch’io ad arrampicare. Come previsto i primi passi sulla placca mettono subito alla prova, piccoli appoggi per i piedi, movimenti da effettuare in maniera precisa e un ultimo passaggio ostico prima di entrare nel bellissimo diedro che si segue fino in sosta. Questa prima lunghezza è “addomesticata” dall’abbondante presenza di spit della variante di attacco della via “Lo spigolo delle aquile”, ma fa subito intuire il carattere della Via Verde.
Raggiungo Ivano alla sosta seguito da Gabriele in cordata con Patrizia e Chiara. Dietro di loro Michael, Paolo e Daniele aspettano il loro turno per attaccare. Ci siamo, finalmente è il momento di condurre la cordata! Parto risalendo il pulpito sopra la sosta per poi entrare in un altro bel diedro proprio sullo spigolo della parete. Rinvio un chiodo e continuo a salire piazzando qualche friend dove possibile. L’idea di salire “pulito” utilizzando in prevalenza protezioni mobili fa parte di un’etica alpinistica che condivido fortemente e che porta il controllo della propria mente allo stesso piano, se non maggiore, del controllo del proprio corpo. Rimontato il divertente strapiombino su buone prese, scalo la bellissima placca lavorata arrivando in sosta, pronto a fare sicura a Ivano che appena arrivato riparte per il breve terzo tiro. Un’altra bellissima quanto, purtroppo, breve placca conduce a due chiodi con clessidra dai quali si riparte per il quarto tiro. Anche qui si arrampica lungo una successione di diedri contornati da boschetti dove si nota il grande lavoro di pulizia effettuato in precedenza. In certi casi anche i vecchi tronchi degli alberi tagliati fungono da ottime protezioni, rinviabili grazie all’utilizzo di un cordino. I chiodi infatti non sono mai numerosi e mentre continuo la salita mi accorgo sempre più di quanto essa risulti essere “alpinistica”, seppure situata in un contesto diverso da quello che nell’immaginario collettivo si ha di tale accezione.
Giunti all’ultimo tiro chiedo ad Ivano se vuole salirlo da primo, ma ormai stanco e fiducioso di me lascia che sia io a proseguire sino al termine della via. Parto, non privo di timori per quello che so essere un tiro impegnativo, superando uno strapiombino con bei movimenti fino ad andare a reperire un chiodo e il famoso nut incastrato ormai da tanti anni. Continuo a salire fino a raggiungere la base del diedro che conduce in cima, a Ivano dovevano proprio piacere queste formazioni rocciose! La scalata si fa impegnativa e molto psicologica, metto giù un friend e successivamente un nut. Finalmente arrivo ad un chiodo quando mancano ormai pochi metri alla fine della via. Gli ultimi movimenti sono veramente delicati, ma proprio al termine del diedro ecco che andando leggermente a destra arrivo ad una buonissima presa grazie al quale tiro un sospiro di sollievo e rimonto sulla cengia finale. Felicissimo faccio sosta su albero e inizio a recuperare Ivano mentre il mio sguardo ricade sul vecchio tubo contenente il libro di via originale.
Il sorriso di Ivano è raggiante quando anche lui arriva in sosta. Si precipita sul libro di via, raccogliendo un flusso di ricordi che posso soltanto immaginare essere la culla di una stupenda stagione alpinistica da lui trascorsa in passato. Non arriviamo a contare le ripetizioni che fece della sua stessa via, quasi a volerla custodire come fosse una vera e propria figlia.
Dopo aver ripercorso la storia, Ivano decide di sporgersi per controllare la situazione. Gabriele tarda ad arrivare e iniziamo a preoccuparci. Proprio in quel momento un urlo interrompe il silenzio, Gabriele è volato! Preoccupato, Ivano chiede informazioni sulle sue condizioni e decidiamo di calare una corda per assicurarlo dall’alto, in modo da riuscire a fargli terminare la salita senza ulteriori intoppi. Per fortuna sta bene, qualche graffio sulla schiena e qualche piccolo dolorino non pregiudicano il buonumore e presto siamo tutti a fine via, contenti di aver potuto godere di un’itinerario tanto bello quanto mai banale.
Cominciamo la discesa in doppia facendo la spola con le varie corde in modo da essere più veloci, ma purtroppo, proprio alla fine ecco che le corde si incastrano. Ormai tutti a terra, guardiamo Paolo e Daniele faticare enormemente per riuscire a tirare giù le corde. Dopo quasi un’ora di lavoro e diverse manovre effettuate eccoli riuscire nel recupero e iniziare anche loro l’ultima calata che li deposita a terra.
Ripercorso al contrario il sentiero di salita, arriviamo alle nostre macchine dalle quali partiamo in direzione del classico bar degli arrampicatori della zona. Così, davanti a qualche birra media e a cresce ripiene, brindiamo alla salita appena compiuta, merito di Ivano ma anche dei Ghiri. Perché d’altronde anche il motto dei Ghiri recita proprio: “Mangiare quando ce n’è, dormire quando si può, scalare tutto il resto”!