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8 Aprile 2018

“Totem – tanz”

La giornata è bella e calda. Questa mattina l’indecisione ha preso il sopravvento per un paio d’orette buone. Ho messo la sveglia alle 6,30 con l’idea di partire direttamente dalla porta di casa con gli sci in spalla, macinare 500 metri di dislivello di “portage” e poi collegare due vette con relative discese. Faticare è il motto di oggi, continuare l’allenamento per qualche progetto estivo ambizioso che ho nel cassetto. Ho nei piedi un paio di scarpe leggere stile “approach” e ho sistemato gli scarponi direttamente sugli attacchi degli sci. Così combinato, sembro un curioso “totem” in movimento.  Non sono però molto convinto della scelta della meta, perché un lungo e ripido tratto orientato a ovest che mi toccherà superare, può presentare diverse insidie. Il pendio è ripido e gli strati del manto poggiano su erba secca. La quota bassa (2200 metri) e le alte temperature dei giorni scorsi che hanno intriso gli strati di acqua, cui s’aggiunge lo scarso rigelo notturno, sono le condizioni ideali per una potenziale valanga di fondo. Così tentenno e rientro nel cortile di casa, deciso a cambiare attività. Mentre smonto lo zaino, penso però che questa sia forse l’ultima occasione della stagione per salire e scendere in sci le due vette in questione…Un attimo di riflessione e il “Totem” è di nuovo in spalla. Forse potrei seguire interamente l’itinerario di cresta, sia in salita sia in discesa. Sarebbe certamente sicuro ma ne varrebbe davvero la pena? Rieccola, la “danza” dell’indecisione. Questa volta, però, non dura a lungo : smonto definitivamente lo zaino da skialp e ne preparo uno per la scalata. Decido di raggiungere la mia nuova meta in mountain – bike, quindici chilometri più in su, e di ripetere per la prima volta in solitaria una difficile via che ho aperto lo scorso anno. Non ho perso molto tempo e dopo un’oretta di pedale sono al cospetto del fondovalle. Il sole e caldo e la neve fonde a vista d’occhio. Senza rigelo, fatico un’altra ora nella neve fino al ginocchio, nel pianoro all’imbocco del vallone di Gura. La giornata è magnifica e il silenzio totale è spezzato soltanto dal rombo delle valanghe e dallo scorrere del torrente alimentato dalla fusione. Finalmente m’innalzo sullo zoccolo alla base della ripida parete rocciosa, dove le pietraie, con buona esposizione, sono ormai sgombre dalla neve. Una vipera, ancora intontita dal letargo, si crogiola al sole ed è il segnale che la natura davvero si sta risvegliando tutta. E’ curioso: la via che intendo attaccare è “Totem – tanz”. L’avevo chiamata così perché sulla terrazza del secondo tiro, un larice secco ormai privo di rami, rimaneva aggrappato a una fessura della roccia ondeggiando paurosamente sotto le sferzate del vento. Una specie di “totem danzante”, quale era il sottoscritto stamattina: avanti e indietro con sci e scarponi sulle spalle in preda all’indecisione. Questa, dunque, non poteva che essere la via giusta per oggi. I primi due tiri filano via veloci, fino alla terrazza del “Totem”. Preparo l’ancoraggio della corda alla sosta e attacco il diedro -camino strapiombante, quasi interamente da proteggere. Il tetto che lo difende è duro e sbaglio a darmi corda con il mio sistema di assicurazione, ma mi risistemo meglio e rimedio scomparendo sul fondo del profondo imbuto con un passo deciso. Qui è decisivo non avere fretta, girarsi come una serpe nella fessura di fondo, e passeggiare con i piedi su un’esile cornice che permette di abbandonare quell’angolo angusto e inospitale. Un altro passo in opposizione e finalmente vedo uno spit. Mi ringrazio per averlo messo durante l’ apertura. Incastro di pugno a destra e tengo una tacca svasata a sinistra. La “Danza del totem” si compie nel suo punto chiave, 7a. Oltre, la via scorre via impegnativa ma piacevole. Un tempo, quando ero alle prime armi con le solitarie, una volta autoassicurato in sosta mi capitava di girarmi verso il basso e urlare: “molla tutto”. Il compagno però non c’era e una strana sensazione prendeva il sopravvento. Mi sentivo davvero solo. Oggi la solitudine non è più un peso ma quasi una liberazione. Ridiscendo alla sosta sulla corda bloccata libero il mio compagno inesistente e risalgo rilassato lungo la corda passata nei connettori, come se un altro compagno immaginario mi stesse assicurando. Getto le doppie nel vuoto e scendo, godendomi metro dopo metro il mio riavvicinamento alla “terra”, come un’astronauta che rientra dopo un lungo volo nello spazio. Quando approdo sul pianoro innevato, però, il sole ha fatto la sua parte e la neve è una specie di polenta fredda che m’inghiotte fino oltre le ginocchia. Il peso della corda di traverso sullo zaino, anch’essa piuttosto appesantita dalla neve su cui è rimasta deposta sulle cenge, di certo non aiuta. Uno stambecco, meno in difficoltà del sottoscritto, attraversa il pianoro una ventina di metri più avanti. Si ferma e osserva incuriosito il profilo di quel totem barcollante, poi riprende la sua pista immaginaria. Anch’io riprendo la via del ritorno cercando di ripercorrere al meglio le orme della mattina. Il sole è magnifico, la solitudine appagante e non desidero null’altro. Totem-tanz…