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6 Giugno 2018

LUCIANO ORSI: intervista di Christian Roccati

Far West… L’arco montuoso occidentale, nella cronaca alpinistica, è stato sovente considerato esattamente a questa stregua. La storia delle grandi scalate europee, dopo le classiche citazioni di Petrarca, Bonifacio Rotario D’Asti e Antoine De Ville, passa per l’Alpibus Commentarius e arriva alla prima ascensione di sua maestà il monte Bianco.

Da questa chiave di volta, la grande storia, si muove dapprima al nord ovest e poi all’estremo est, in Dolomiti, con i viaggiatori inglesi e tutto il leggendario plot che conosciamo.
Mi chiedo io: l’ovest, dove rimane?

Ogni giorno è parte del grande racconto e, per questo, ho deciso di seguire una serie di interviste che possano effettuare una fotografia in chiave moderno-contemporanea di questa selvaggia area di confine.
Le anime che hanno influenzato con la propria opera l’occidente alpino sono incredibilmente variegate e diversificate e leggerne vita e opere appare quasi come discorrere di discipline completamente diverse ed è proprio questa grande varietà a creare un potente e intenso valore. L’oggi non è da meno dello Ieri e quindi riformulo: oggi, l’ovest, dove rimane?

Non è possibile rispondere a questa domanda, ma lo è tentare di seguirne i molteplici protagonisti, uno per volta. Questo sarà il primo appuntamento di una serie e per l’occasione ho provato a incontrare con penna e foglio un artista del verticale, il bravo alpinista e sagace uomo Luciano Orsi, classe ’55, conosciuto ed esperto scalatore. Un fervente appassionato che, come lui stesso afferma, visse la montagna fin da bambino, in colonia a S Giacomo di Entracque, iniziando a scalare ai “venerandi” 32 anni “per sbaglio”…

Quante vie hai aperto e dove?
Circa 55 vie prevalentemente in valle Stura e una decina in Marittime, ma li purtroppo c’è l’Unione Sovietica e il KGB cioè il Parco e io giro alla larga.

Quali sono le tre linee che ami di più?
62 anni e non sentirci, L’aragn rusulent, Lavori socialmente inutili.

Qual’è il tuo stile di chiodatura o apertura?
Il 90% delle vie le ho aperte calandomi da sopra; scalandole in auto assicurazione, segnandole e poi trapano e tasselli. E mia opinione: se la via la fai per te, la chiodi dal basso e prendi quello che trovi (teoricamente non dovresti neanche pubblicarla, perchè e un’avventura che hai vissuto tu), se la fai per il pubblico, allora devi calarti per poter prendere il meglio della parete e non sciupare la roccia e farla il più omogenea possibile e poi fare anche delle vie per quelli che scalano una volta all’anno (devono stare a casa?) che sono le piu difficili da fare; di vie per quelli bravi c’è ne sono già fin troppe…
Quando si chioda dobbiamo sempre ricordarci di non dover dimostrare quanto siamo bravi, ma che chi le ripete deve divertirsi senza rischiare l’osso (chiodature troppo lunghe).

Qual’è stato il tuo più grande exploit?
L’Aragn rusulent, una bella faticata, ma ne e valsa la pena sono andato su e giu circa 16 volte.

Cosa cerchi in montagna?
Io sono un curioso prima di tutto, divertimento e appagamento personale, cosa che secondo me non ci sono parole per descrivere e infine di essere ancora capace a far qualcosa. E poi in fondo chiodare una via: si costruisce qualcosa, ricognizioni, logistica, valutare se il gioco vale la candela e non montarsi la testa…

Il prossimo progetto?
Due progetti verso il Colle della Lombarda poi si vedrà

Cosa davvero è importante in montagna?
Giocare! Mia opinione che la piu bella via di questo mondo, ripetuta con uno stronzo altezzoso e primadonna, non ti lascerà nessun ricordo, come una via di terzo grado ripetuta con una persona simpatica e al mio piano, avendo riso e fatto gli scemi tutto il giorno.

Quanto e come ti alleni?
Mai… non ci penso proprio …non fa parte del mio modo di vivere

Qual’è il tuo mestiere?
Artigiano costruivo aratri adesso sono in pensione (Orsi Aratri)

Com’è la tua giornata?
Di sicuro non monotona, ma di certo senza stress, poi essendo artigiano ho molti altri interessi vedi tutta l’attrezzatura per poter chiodare senza tribolare, piccozze per il ghiaccio, attrezzatura varia, soste, ecc…
Questo è il mio secondo divertimento, far lavorare la “Krapa”.

Cosa diresti a un ragazzo che si avvicina alla montgana?
Non bruciare le tappe, umiltà e sopratutto il divertimento personale, lo stare bene con amici sinceri e la competizione lasciarla a casa e se gli altri fanno il 9c+++ chi se ne frega!
E la cosa più importante Pensare con la propria Testa e non lasciarsi condizionare dagli altri e quando non ti diverti più cambiare gioco.

Christian Roccati
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