50 anni fa Reinhold Messner raggiungeva per la prima volta la vetta di un Ottomila, il Nanga Parbat. Con lui c’era suo fratello Günther che purtroppo morì due giorni dopo, travolto da una valanga
Nell’autunno del 1969 Reinhold Messner, classe 1944, venne invitato ad una spedizione austriaca al Nanga Parbat, organizzata da Karl Maria Herrligkoffer.
A fine anno, in seguito alla rinuncia di un altro membro della spedizione, l’invito viene esteso anche a suo fratello Günther, classe 1946.
La spedizione ebbe luogo nel 1970; oltre ai due fratelli Messner, vi parteciparono Max von Kienlin, Hans Sale e Gerhard Baur.
Parete Rupal del Nanga Parbat
L’obiettivo era aprire la prima via sull’inviolata parete Rupal del Nanga Parbat. Si trattava di una spedizione pesante, nella quale era previsto abbondante uso di corde fisse e ausili tecnologici, secondo lo stile dell’epoca, ma senza ossigeno supplementare.
Il 27 giugno Messner si trovava col fratello Günther e con Gerhard Baur al campo V, l’ultimo campo. Ricevuta notizia che il tempo sarebbe peggiorato il giorno successivo, era stato deciso che sarebbe partito da solo dal campo senza usare corde fisse, sperando così di raggiungere velocemente la vetta prima della fine del bel tempo. Nel frattempo Gerhard Baur e Günther avrebbero attrezzato il canalone Merkl con 200 metri di corda, per facilitare la discesa.
Reinhold venne, invece, raggiunto dopo 4 ore dal fratello Günther, che aveva deciso di seguirlo di propria iniziativa. Gerhard Baur era tornato indietro a causa di un mal di gola che gli impediva la respirazione.
I due fratelli Messner raggiunsero la vetta nel tardo pomeriggio. Si trattava della terza salita di questa montagna. Era ormai il tramonto e non essendo in grado di ridiscendere per la via di salita, poiché non era stata attrezzata e perché senza corde necessarie per affrontarla, i due furono costretti ad un bivacco d’emergenza. Il giorno successivo (28 giugno), decisero di scendere per il versante Diamir, senza attendere Felix Kuen e Peter Scholz che stavano salendo con le corde e che usarono per ridiscendere in corda doppia. Günther morì quasi alla fine della discesa (29 giugno), travolto da una valanga. Reinhold, creduto morto, arrivò a valle sei giorni dopo, trasportato prima a spalle e poi in barella dai valligiani.
Reinhold riportò gravi congelamenti a 7 dita dei piedi e alle ultime falangi della mani, subendo una parziale amputazione delle dita dei piedi.
Reinhold Messner, che durante quell’episodio estremo perse il fratello, diventò per anni oggetto di polemiche infamanti. Lo accusarono di aver abbandonato Günther in cima al Nanga Parbat, ben prima della discesa, sacrificandolo alla propria ambizione di attraversare per primo il versante Diamir. Solo a distanza di 30 anni sarà dimostrata l’infondatezza di tali critiche, grazie al ritrovamento del corpo del fratello dove Messner aveva sempre affermato fosse scomparso.
Nel 2010 venne girato un film sulla tragedia, intitolato Nanga Parbat, diretto da Joseph Vilsmaier.
Le polemiche sulla morte
Reinhold Messner cercò invano il fratello per tre giorni, riportando numerosi congelamenti che gli impedirono di camminare, poi a fatica scese a valle, dove venne salvato dagli abitanti del luogo. In modo fortuito incrociò i componenti della sua spedizione che nel frattempo avevano smantellato il campo base ritenendo morti i due fratelli altoatesini, senza aver effettuato alcun tentativo di ricerca o di soccorso.
Successivamente Herrligkoffer lo accusò di aver causato la morte del fratello sacrificandolo per la propria ambizione, sostenendo che Reinhold avesse abbandonato Günther, ormai allo stremo delle forze e in condizioni di salute precarie, sulla parete Rupal, per poter raggiungere comunque la vetta. Gli altri componenti della spedizione, Max von Kienlin e Hans Saler, pubblicarono in seguito un libro in cui sostennero che Reinhold avesse fatto scendere il fratello dalla parete Rupal, riservando per sé la discesa dal versante Diamir per diventare così il primo alpinista a scendere in solitaria per quel versante attraversando il Nanga Parbat.
Reinhold, sconvolto dall’accaduto, l’anno successivo organizzò una spedizione alla ricerca dei resti del fratello, ma senza successo. Nel 2000, alla base della parete Diamir, fu ritrovato un osso umano, che successive analisi del DNA dimostrarono appartenere a Günther. Il corpo di Günther fu ritrovato dalla popolazione locale nel 2005, sulla parete Diamir, a 4600 metri di quota. La posizione del corpo confermava il racconto di Reinhold sulla morte del fratello.
Reinhold, recatosi sul posto, riconobbe il corpo dai capelli e dall’abbigliamento. I resti furono bruciati, secondo l’uso tibetano, ma Reinhold riuscì a far uscire dal paese uno scarpone contenente alcune ossa, nascosto in uno zaino; l’analisi del DNA su queste ossa confermò che si trattava proprio dei resti di Günther. (Fonte)
Reinhold Messner: “Quel primo Ottomila mi cambiò la vita”
Reinhold Messner ha raccontato in un’intervista realizzata da Alessandro Filippini i fatti di mezzo secolo fa e cosa hanno significato per lui.