MENU

8 Marzo 2021

Alpinismo e Spedizioni · Vertical

Donne e Ottomila

Nives Meroi, fonte: TFF

Oggi, 8 marzo, si celebra la Giornata internazionale della donna. In questo articolo,  alcune figure femminili che hanno fatto la storia degli Ottomila

Tradizionalmente, la storia dell’alpinismo sulle montagne più alte del mondo è stata scritta da uomini, con le prime spedizioni e le prime ascensioni degli ottomila. Tuttavia, nel corso dei decenni, alcune donne si sono distinte in questo ambito, scrivendo pagine importanti della storia dell’alpinismo.

Oggi 8 marzo, si celebra la Giornata intenazionale della donna. Ne approfittiamo per ricordare le loro imprese…

Le pioniere giapponesi

Alla vigilia dell’Anno internazionale delle donne dichiarato dall’UNESCO nel 1975, tre donne giapponesi Naoko Nakaseko, Masako Uchida, Meiko Mori   divennero le prime alpiniste in vetta a un ottomila: il Manaslu.
Era il 1974. Le tre giapponesi raggiunsero la cima con Jambu Sherpa.

La  spedizione femminile, formata da 12 donne, era guidata da Kyoto Sato.

Junko Tabei, 1985. Fonte: wikipedia/Foto:Jaan Künnap

Al di là di quel primo ottomila, l’himalayismo giapponese degli anni ’70 vide una scalatrice ancora più importante in termini di rilevanza storica e popolarità. Fu Junko Tabei, che nel 1975 divenne la prima donna a scalare l’Everest impresa che fece di lei una leggenda dell’alpinismo femminile. Successivamente realizzò anche la prima ascensione femminile  dello Shisha Pangma nel 1981.
Tabei ebbe una straordinaria carriera alpinistica. Nel 1966 fondò il Ladie’s Climbing Club nel suo paese e nel 1970 aprì una nuova via sulla parete Sud dell’Annapurna III (7.555 m). Attivista ambientale, fu la prima donna a completare le Seven Summits (1992) e la prima a ricevere lo Snow Leopard (1995).

Le polacche e le loro imprese senza ossigeno supplementare

Sempre nel 1975, l’Anno Internazionale delle Donne, una forte spedizione femminile polacca ai Gasherbrum,  portò alla prima salita di un ottomila senza ossigeno supplementare effettuata da donne. A firmare l’impresa furono le polacche Halina Krüger Syrokomska e Anna Okopinska, che riuscirono a raggiungere la vetta del Gasherbrum II, senza bombole di ossigeno. Furono anche le prime donne sugli ottomila a non essere accompagnate da uomini.

Wanda Rutkiewicz, 1989. Fonte:mountainsoftraverphotos.com

La suddetta spedizione polacca ai Gasherbrum fu guidata da Wanda Rutkiewicz, una delle figure più importanti della storia dell’himalayismo. Durante quell’estate del 1975, Rutkiewicz e Alison Onyszkiewicz effettuarono la prima salita assoluta del Gasherbrum III (7.952 m), che all’epoca era considerata la vetta inviolata più alta.

Wanda Rutkiewicz è ritenuta da molti la più importante himalayista del XX secolo o addirittura di tutta la storia. Fu compagna di avventura di grandi scalatori come Krzysztof Wielicki o Jerzy Kukuczka e firmò salite eccezionali come la prima femminile del K2 (1986), la prima salita femminile senza ossigeno supplementare dell’Annapurna compiuta in solitaria attraverso la parete Sud (1991) o la prima del Nanga Parbat (1985) realizzata con una squadra tutta al femminile, insieme a Krystynaa Palmowska e Anna Czerwinska. È stata anche una delle prime donne a scalare l’Everest (1978). Salì anche Gasherbrum II (1989), Gasherbrum I (1990) e Cho Oyu (1991).

Scomparve all’età di 49 anni sul Kangchenjunga, nel 1992.

Spiriti liberi

Alison Hargreaves Fonte: Gripped.com

Alison Hargreaves,  scomparse prematuramente sul K2 nell’estate del 1995.  La britannica arrivava dalle grandi montagne delle Alpi, dove nel 1993 scalò in solitaria tutte e sei le classiche pareti Nord  in una sola stagione. Nel 1995, aveva in programma l’Everest in primavera, il K2 in estate e il Kangchenjunga in autunno.
Conquistò l’Everest senza ossigeno supplementare e senza l’aiuto di sherpa. Fu una delle salite femminili sugli Ottomila più rilevanti.
Raggiunse la vetta del K2, insieme agli spagnoli Javier Olivar, Javier Escartín e Lorenzo Ortiz, all’americano Rob Slater e al neozelandese Bruce Grant. Tutti morirono durante la discesa, così come il canadese Jeff Lakes.

L’anno successivo, nel 1996, ebbe luogo un’altra grande impresa femminile sugli ottomila, compiuta da Chantal Mauduit. L’alpinista francese realizzò la prima salita femminile del Lhotse, salendo in solitaria e senza ossigeno supplementare da C4 (7.800 m). I suoi compagni di spedizione Tim Hovarth e Mike Pearson si ritirarono a causa del freddo eccessivo.
Morì travolta da una valanga sul Dhaulagiri nel 1998, dopo aver scalato sei ottomila senza ossigeno supplementare, compreso il K2 nel 1992.

Edurne Pasaban, sull’Annapurna nel 2010. Foto: arch. E. Pasaban

La prima donna a salire su tutti i quattordici ottomila del pianeta fu Edurne Pasaban. L’alpinista di Gipuzkoan iniziò con l’Everest (scalato con l’ossigeno supplementare) nella primavera del 2001 e per tutto il decennio si dedicò anima e corpo alla corsa ai 14 Ottomila.

Li completò con l’Annapurna e lo Shisha Pangma nella primavera del 2010.

Gerlinde Kaltenbrunner. Fonte: sito G. Kaltenbrunner

Un’altra alpinista in corsa  per diventare la prima a salire i 14 ottomila è stata Gerlinde Kaltenbrunner. L’austriaca li completò dopo Pasaban, ma non utilizzò mai ossigeno supplementare. I suoi primi ottomila furono il Cho Oyu nel 1998 e l’ultimo, il K2, che dovette tentare quattro volte fino a quando non lo conquistò nel 2011. Stava per rinunciare, dopo aver perso il suo compagno di cordata Fredrik Ericsson nel 2010, evento che la portò a non la voler più tornare in montagna sullo stesso versante. Scalò il K2 dalla più dura parete Nord, accompagnata dai kazaki Maksut Zhumayev, Vassili Pivtsov e dal polacco Darek Zaluski, mentre suo marito Ralf Dujmovits si ritirò.

Nives Meroi, K2 (Nord). Fonte: N. Meroi/sito

L’alpinista italiana Nives Meroi partecipò alla corsa agli ottomila fino al 2008, quando ne aveva già conquistati undici su quattordici. L’anno successivo, un grave problema di salute colpì il marito Romano Benet, con il quale aveva sempre scalato le grandi montagne. Questo evento la spinse a sospendere il suo progetto. Attese la completa guarigione di Benet  e insieme a lui riprese l’attività sulle montagne nel 2014. Nel 2017, Nives Meroi e Romano Benet hanno celebrato la loro grande carriera alpinistica  in vetta all’Annapurna, diventando  la prima coppia  a scalare insieme tutte le quattordici vette di oltre 8000 metri, senza ossigeno supplementare e senza il supporto di sherpa.

Alla corsa agli ottomila prese parte anche la sud-coreana Eun-sun Oh. Scalò tredici ottomila e le Seven Summit. Sembrava aver raggiunto  l’obiettivo il 27 aprile 2010 con la vetta dell’Annapurna. Tuttavia i suoi 14 Ottomila furono contestati perché la scalatrice non  provò di aver raggiunto la cima del Kangchenjunga, nel 2009. Quando fu chiaro che le foto da lei presentate non la raffiguravano in vetta, Oh Eun-sun ammise di essersi fermata alcuni metri sotto la cima del Kangchenjunga. Per questo motivo la Federazione Alpina Coreana non gli riconobbe quella vetta.

Le invernali

Marianne Chapuisat, 2008. Foto: Frank Bruno

L’alpinista svizzera Marianne Chapuisat, classe 1969,  è stata la prima donna a conquistare un ottomila in inverno, il Cho Oyu, nel febbraio 1993. Lo fece a 24 anni, senza usare ossigeno supplementare, nell’ambito di  una spedizione spagnola guidata da Lolo González. Il primo gruppo (González, Manuel Morales, Manuel Salazar e Fernando Guerra) giunse in vetta l’8 febbraio, mentre Marianne Chapuisat, con Miguel Angel Sanchez e Luis Arbues, il 10 febbraio. Per un quarto di secolo rimase l’unica donna ad aver scalato un ottomila in inverno. Conquistò anche Gasherbrum I e  Gasherbrum II nel 2003 e il Nanga Parbat  nel 2005.

Elisabeth Revol al Manaslu in inverno. Foto arch. E.Revol

Nel gennaio 2018, la francese Elisabeth Revol  è diventata la seconda donna a scalare un ottomila in inverno, e l’ultima fino ad oggi. Lo ha fatto aprendo una nuova via sul Nanga Parbat insieme al polacco Tomek Mackiewicz, che morì sulla montagna, durante la discesa.
Denis Urubko e Adam Bielecki, quell’anno impegnati sul K2, andarono  in loro soccorso. Salvarono Elisabeth Revol, a circa 6000 metri, ma nulla riuscirono a fare per Mackiewicz.

Fonte