Al centro, le vite di frontiera: 24 film nel Concorso Internazionale, tra i quali 16 anteprime italiane, per raccontare le storie di chi vive al “limite”
Alla Cittadella dei Giovani di Aosta è tutto pronto per la decima edizione di FrontDoc, il festival cinematografico dedicato ai documentari che raccontano le storie dimenticate, quelle al confine, geografico, fisico e sociale. Dal 4 al 6 e dal 9 al 12 novembre 2021 il pubblico sarà guidato in un viaggio tra le culture del mondo, alle frontiere di quei Paesi dimenticati, tra disagio, povertà, cambiamento climatico e ovviamente la pandemia, ma anche ai margini della società, scavando nell’oscuro di quelle realtà che copriamo con strati di indifferenza, quelle di cui non vogliamo sentir parlare ma che sono lì e in continuo movimento.
Delle 24 pellicole selezionate nel Concorso Internazionale ben 16 sono anteprime italiane, lavori che toccano temi di scottante attualità e di interesse collettivo: dalle guerre alle conseguenze psicologiche sui bambini prigionieri dell’ISIS, dalle battaglie sociali delle nuove generazioni – tra identità di genere e lotta al cambiamento climatico – alle fragilità umane fatte di incapacità relazionali e di eterni confronti con il proprio io disfunzionale. E ancora il grande tema della fede, le carceri argentine, il turismo sessuale, la pandemia di chi l’ha vissuta costretto a vivere per strada e tanto altro. Senza dimenticare gli appuntamenti di approfondimento sui temi dell’attualità e gli ospiti che accompagneranno i film in concorso, tra i quali Sabina Guzzanti e Daniele Ciprì.
Ingresso gratuito per tutti gli appuntamenti.
Il Concorso Internazionale
Il cuore della manifestazione sarà il Concorso Internazionale, che quest’anno trova una selezione particolarmente ricca, qualitativamente e quantitativamente: 24 film e 16 anteprime italiane, tra corti, medi e lungometraggi, tutte opere selezionate e premiate nei più importanti festival mondiali.
Tutte le pellicole affrontano temi di scottante attualità, visti con gli occhi di chi li vive ai margini della società. “Dear Future Children” e “Tracing Utopia” sono due documentari dedicati alle lotte sociali delle nuove generazioni che scuotono il mondo di oggi. Il primo, del giovanissimo regista tedesco Franz Böhm al suo lungometraggio di esordio, è il ritratto di tre ragazze decise a far valere le proprie ragioni e cambiare la politica mondiale: Rayen protesta per la giustizia sociale in Cile, Pepper combatte a favore della democrazia a Hong Kong e Hilda lotta contro le conseguenze devastanti del cambiamento climatico in Uganda. Un gruppo di adolescenti che discute le proprie idee su un’utopia queer è, invece, al centro del documentario dei portoghesi Catarina de Sousa e Nick Tyson. Costruiscono spazi sicuri online all’interno di un popolare videogioco e creano un manifesto per un mondo più equo e giusto, in cui tutti possano essere davvero se stessi.
Ma sono tante le storie dei ragazzi e delle loro piccole e grandi battaglie quotidiane raccontate in questa edizione, come Delphine, giovane donna camerunense protagonista di “Les Prières De Delphine”, che oppressa dalla società patriarcale in cui è cresciuta finisce, come molte ragazze della sua generazione, gettata in pasto alla colonizzazione sessuale occidentale. Oppure Stefanin, un ragazzino di Chioggia tuttofare che durante le sere d’estate, per divertirsi, va in giro con i suoi amici su barchini con motori da quaranta cavalli, tra musica reggaeton ad alto volume e luci led decorative, illusioni e ironia, ma anche sogni e speranze per il proprio futuro narrate da Luca Ciriello in “Quaranta cavalli”. “A comuñón da miña Prima Andrea”, dello spagnolo Brandán Cerviño, è un brillante e acuto cortometraggio, vincitore a Visions du Réel 2021, che affronta in maniera originale la questione della fede attraverso Andrea, che ha vissuto la sua prima comunione delusa dalla mancanza di glamour.
Un gruppo di adolescenti parla di cambiamenti personali, amore e ricerca della propria identità in “The Voice Break Choir”, nome di un “coro da quarantena” per ragazzi dai 12 ai 17 anni: l’obiettivo è diventare adulti, il punto di rottura è l’adolescenza, quando la voce si spezza e la vita ondeggia. In “Tendre”, mediometraggio della regista francese Isabel Pagliai, è la fine dell’estate e quella dell’infanzia per Mia, 11 anni, una ragazzina fin troppo sveglia per la sua età che chiede a Hugo, 15 anni, di raccontarle la sua storia d’amore con Chaînes, vissuta qualche mese prima nello stesso luogo. Un film delicato in cui il tempo sembra non esistere.
FrontDoc è anche un viaggio intorno al mondo, per togliere la polvere da quelle storie dimenticate fatte di guerre ormai endemiche e per questo uscite dalla cronaca, di culture arcaiche, di povertà e sfruttamento, ma anche di affascinanti tradizioni secolari che continuano a tramandarsi di generazione in generazione. Imad, protagonista di “Imad’s Childhood”, è un bimbo yazida che ritorna a casa dopo 5 anni di prigionia da parte dell’ISIS, incattivito dal trauma e dal lavaggio del cervello subiti. Un viaggio di sola andata nel sud-est asiatico, fra droghe, turismo sessuale e criminalità: è “Lost Boys”, uno dei documentari finlandesi di maggior successo di sempre, un trip lisergico in prima persona, che attraversa il backstage del paradiso turistico per condurre lo spettatore fino al cuore dell’oscurità.
Tra le pellicole in concorso anche “Divinazioni”, un viaggio, fisico e spirituale, nel Sud del nostro tempo in un meridione ancora ricco di magia che vive nelle storie parallele di Moka, giovane artigiano di origini marocchine, e Achille, un vecchio cartomante reso un tempo celebre dalle tv regionali. Ci porta in Iraq “Ali And His Miracle Sheep”, trionfatore a Sheffield DocFest, il lirico ritratto di un paese le cui uniche speranze rimaste sono un bambino muto e la sua pecora “miracolosa”, che percorrono 400 km attraverso i paesaggi devastati dalla guerra per condurre l’animale in sacrificio. È ancora un teatro di guerra, quello delle Yemen, che fa da cornice alla missione di due donne, la Dott.ssa Aida Alsadeeq e l’infermiera Mekkia Mahdi, che lavorano nei reparti specializzati di due grandi ospedali e lottano per salvare i bambini malnutriti, raccontata da “Hunger Ward”, candidato all’Oscar per il miglior corto documentario.
Sarah, Nelson e Katia, protagonisti di “Confinés Dehors” (Premio del Pubblico al festival di Clermont-Ferrant), sono tre “fantasmi urbani” che durante il lockdown in Francia non hanno altra scelta che essere “rinchiusi” fuori e ci buttano in faccia la realtà di chi è stato quasi dimenticato dalla crisi sanitaria. “Mission: Hebron”, è la cruda testimonianza delle esperienze di alcuni ex soldati israeliani, reclutati all’età di 18 anni, mandati a compiere missioni che possono includere l’irruzione nelle case o l’arresto di bambini palestinesi, violando apertamente i più elementari diritti umani. “Nsenene” è il ritratto, poetico e splendidamente fotografato, di una tradizione ugandese, quella dei i cacciatori di cavallette che escono la notte illuminando il cielo come stelle.
L’Iran è la sua realtà in bilico tra tradizione e modernità è al centro di “The Doll”: un padre di 35 anni acconsente al matrimonio della figlia di 14 anni ma la famiglia, composta da individui con prospettive e valori diversi, si confronta con la sua decisione.
Da sempre l’Argentina è anche tristemente sinonimo di violenza: da quella nelle carceri di massima sicurezza, raccontata in “Rancho”, in cui i detenuti costruiscono il loro prototipo di utopia: un ambiente chiuso con regole e codici creati da loro, alle oscure tragedie, come quella dell’esplosione della fabbrica militare di Río Terzo a Cordòba, rivissuta nelle immagini, registrate casualmente dalla regista del film “Esquirlas (Splinters)” Natalia Garayalde, all’epoca dodicenne.
E poi le fragilità umane, dentro e fuori da se stessi, la risposta disfunzionale a ciò che ci circonda o che ci rende vittime. È un punto di vista nuovo quello utilizzato per raccontare la transizione di genere di un ragazzo, quello della madre che in “Limiar (Threshold)”, diventa anche un delicato dialogo sulla storia del femminismo in Brasile, le criticità dei generi e gli stereotipi in cui tutte e tutti sono coinvolti.
Selezionato al Locarno Film Festival, “And then they burn the sea” è la riflessione sull’esperienza di assistere alla graduale ma irreparabile perdita di memoria della propria madre, in una contemplazione elegiaca fatta di sogni e rituali, che prendono a prestito il cinema come mezzo di trasmissione dei ricordi, anche quelli più difficili da recuperare. Fragilità e umanità sono protagoniste anche in “Come il bianco”, della regista Alessandra Celesia che racconta con estrema delicatezza la storia di una donna che porta con sé un grande dolore e cerca di esorcizzarlo dipingendo ogni giorno i vulcani.
Richard Ramirez, celebre serial killer degli anni ’80, sta scontando la sua pena in carcere. Qui conosce tre donne che iniziano con lui una relazione epistolare: il documentario animato “Just a guy” racconta l’amore e i suoi confini attraverso le loro emozioni ma anche i drammi familiari che ne segnano le vite e le azioni. È il male del secolo, si narra, ma la depressione può essere raccontata anche in maniera autoironica: ci ha provato Chad Sogas in “Rat Tail”, che da commedia su un codino portato dal regista per dieci anni si trasforma in un viaggio alla scoperta di sé e verso la guarigione.
Venite a “Icemeltland Park” e non ve ne pentirete”: è lo slogan recitato nella pellicola che ha ricevuto una menzione speciale a Locarno, Trento Film Festival e Cervino CineMountain, una originale e ironica riflessione sui cambiamenti climatici che racconta il nostro Pianeta, nelle tragiche immagini delle conseguenze del riscaldamento globale, come un parco di divertimenti “da incubo” pensato per le famiglie, le coppie, gli amici e tutti coloro che vogliono visitarlo.