Carlos Soria è rientrato in Spagna qualche giorno fa, dopo il suo 13mo tentativo al Dhaulagiri (8.167 m).
Quest’ultima esperienza, Carlos la riassume con questa frase: “È stata una spedizione fantastica senza una vetta”.
E’ la prima intervista a Carlos, rilasciata a Dario Rodriguez della testata Desnivel, dopo poche ore dal suo arrivo all’areoporto di Madrid.
Nel video, l’alpinista spagnolo, 83 anni e una protesi al ginocchio, parla delle sensazioni provate durante questa sua ultima avventura himalayana.
Il racconto
Quattro giorni dopo l’arrivo di Carlos Soria e del suo compagno di cordata Sito Carcavilla al Campo Base del Dhaulagiri, ci sono stati alcuni giorni di bel tempo, con la montagna in buone condizioni che i due alpinisti hanno cercato di sfruttare. Dopo una buona salita al Campo 2, il tratto che conduce a Campo 3 è stato pessimo. Sono arrivati molto tardi, quindi hanno riposato poco e male.
“Abbiamo impiegato molto tempo. Il giorno in cui ci siamo trasferiti dal Campo 2 al Campo 3, abbiamo trovato la parte inferiore della salita, che non è molto ripida, con corde profondamente interrate, e la parte superiore, per raggiungere i 7.300 metri, ghiacciata con neve farinosa in cima, per cui è è stata dura e molto faticosa da scalare, ma siamo saliti. Siamo arrivati al tramonto, due sherpa completamente di notte. Abbiamo bivaccato, quasi senza mangiare, come meglio potevamo, perché c’era vento. Avevamo fatto uno sforzo tremendo quel giorno. La salita al Campo 3 è sempre dura, ma questa volta è stata un po’ più difficile. Non abbiamo avuto altra scelta che scendere al Campo Base il giorno successivo e attendere un altro momento per tentare di raggiungere la vetta. Eravamo molto ben acclimatati”.
“Avevamo una buona occasione per il 9; ci sarebbe stato poco vento. Si prevedeva una leggera nevicata. Il meteorologo ci aveva già avvertito che queste nevicate potevano essere più importanti del previsto. Il giorno in cui siamo partiti dal Campo Base per la vetta, nevicava. Di notte è nevicato e ha continuato a nevicare tutto il giorno. Il giorno dopo siamo andati al Campo 2, sempre con neve e vento. …”
«C’era la norvegese Kristin Harila, che è una fantastica scalatrice, con tre sherpa al Campo 2. Erano due giorni che c’era maltempo. Erano dovuti scendere dopo un tentativo a Campo 3. Dato che stava ancora nevicando, abbiamo deciso che non c’era niente da fare. La parte bassa stava diventando molto brutta, con i crepacci ricoperti di neve, che rendevano molto difficile la discesa al campo base.
“Pensavamo che Kristin Harila e gli sherpa non sarebbero saliti, ma hanno raggiunto Campo 3 e sono arrivati in cima…”
«Siamo scesi anche perché, nonostante la prima previsione per il 9 fosse di assenza di vento, il meteorologo ci aveva avvisati che nel pomeriggio ci sarebbe stato vento a 40 km/h. “Il pomeriggio – inteso tra le 11 o 12 del mattino o le 18 di sera. E vedendo com’era la montagna, abbiamo deciso di scendere. Non c’era altra scelta.”
“Ancora una volta il Dhaulagiri ci ha voltato le spalle. Ci siamo trovati molto bene. Abbiamo scalato molto. E ci siamo divertiti un mondo il giorno in cui siamo saliti al Campo 3, e quando siamo scesi dopo l’ultimo tentativo dal Campo 1 al Campo Base. Abbiamo fatto bene e in sicurezza”.
«Quando la montagna è difficile si combatte, ma quando è pericolosa è un’altra cosa. Per me e per il mio compagno Sito, la montagna era pericolosa. Ed è per questo che ci siamo ritirati di nuovo”.
“Non voglio pensare che non tornerò in Himalaya. Voglio tornare al Dhaulagiri. Non so se sarà questo autunno o la prossima primavera, ma voglio tornare al Dhaulagiri perché mi sento ancora abbastanza in forma per scalarlo, altrimenti non ci proverò mai più. Continuerò ad allenarmi come al solito e vedrò cosa accadrà questo autunno o la prossima primavera.