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14 Settembre 2022

Senza categoria

Smart Walking: Cammino Minerario di Santa Barbara

Mi accoglie la Sardegna. Gli spiriti della ex miniera di Rosas mi terranno compagnia nella prima tappa. Il rosso marrone della ruggine di un mondo che non c’è più contrasta con il verde della natura che si riprende i suoi spazi.
Evviva la Sardegna, evviva i posti che ancora hanno una forte identità e non si omologano.

Il Cammino Minerario di Santa Barbara è un itinerario storico, religioso e culturale che si sviluppa lungo un anello di circa 500 km nella regione del Sulcis-Iglesiente-Guspinese, nella terra più antica d’Italia.

L’itinerario – lungo gli antichi cammini minerari – è stato suddiviso in 30 tappe non troppo lunghe per lasciare il tempo di ammirare i paesaggi, le particolari formazioni geologiche, i siti di archeologia classica e industriale di particolare fascino e bellezza.

Tappa n. 18 Rosas → Nuxis 12,5 km Durata: 4 ore – Dislivello: Salita 297 m – Discesa 348 m

La Rivolta di Palabanda
Nuxis mi accoglie con uno scenografico murales dedicato a Salvatore Cadeddu e la rivolta di Palabanda.
Nel 1812 la Sardegna fu colpita da una grande siccità che distrusse i raccolti e provocó una grave carestia. Quell’anno diventerà proverbiale ed è ancora ricordato col detto popolare: “Su famini de s’annu doxi”.
Il popolo era esasperato e il gruppo di Palabanda decise di passare all’azione.
L’insurrezione fallí e Cadeddu e i suoi furono condannati a morte. Le sue ceneri sparse nel vento ci parlano ancora della perenne lotta per la libertà.

Sono partito dalla ex miniera di Rosas; dopo una salita che mi ha portato a godere di un super panorama sulle pianure del Basso Sulcis.
A destra e sinistra del sentiero numerose testimonianze dell’attività estrattiva: adesso al naso arrivano tutti gli odori della macchia mediterranea ma fino a qualche decennio fa i minatori erano impregnati di piombo, zinco e rame.
Merita la visita il sito della miniera di Sa Marchesa che per un secolo ha portato centinaia di uomini a trasformarsi in formiche e scavare le viscere della terra.
Siamo a fine estate e dopo due anni torno ad assaporare il gusto del fico colto dall’albero: che bontà, quanto mi siete mancati!

Tappa n. 19 Nuxis → Santadi 15,3 km Durata: 4 ore – Dislivello: Salita 390 m – Discesa 457 m

Il Cammino è perfettamente segnalato sul terreno e mai ho avuto bisogno del gpx. All’inizio di ogni tappa è stato posto un cippo che indica le due località di inizio e fine con la distanza chilometrica parziale e totale. La fondazione del Cammino è composta da tutti i comuni attraversati e c’è quindi una forte volontà di valorizzare il territorio attraverso un turismo lento. Complimenti davvero!

Tappa da Nuxis a Santadi, oltre 15 chilometri su strade secondarie e bianche. Il silenzio dell’enorme cava di barite, del pozzo sacro di Tattinu e della chiesa bizantina di Sant’Elia.
L’epopea mineraria, le testimonianze archeologiche e le chiese dedicate al culto di Santa Barbara, la patrona dei minatori.
La pianura del Basso Sulcis dove i territori di Santadi fioriscono grazie ai prodotti di eccellenza dell’attività agropastorale: formaggio, olio ma soprattutto spicca il vino della Cantina Santadi, il cui presidente – il novantenne Antonello Pilloni – è un’istituzione.
Il Carignano del Sulcis matura in barriques di rovere francese e, dopo l’imbottigliamento, si affina in vetro per diversi mesi.


 

Tappa n. 24 Tratalias → Sant’Antioco 16,9 km Durata: 5 ore e 30 min. – Dislivello: Salita 199 m Discesa 179m

17 km di terra sarda scorrono sotto i miei piedi dalla piazza del borgo antico di Tratalias al lungomare di Sant’Antioco.

Chissà se suonano ancora le campane della chiesa romanica di S. Maria di Monserrato intorno alla quale tace il vecchio borgo di Tratalias. Fino al 1954 era un centro ben sviluppato: poi fu realizzata la diga per aiutare le attività agricole e l’acqua – che prima scarseggiava – divenne troppa. Le infiltrazioni provocavano danni agli edifici e problemi igienico-sanitari.
E nel 1971 il paese fu ricostruito poco più in alto. Dopo anni di abbandono il vecchio borgo medievale e la chiesa romanica sono stati parzialmente recuperati ma la notte rimangono solo i ricordi di una vita che fu.

La Chiesa romanica di Santa Marias di Palmas è l’unica sopravvissuta di un altro borgo abbandonato. Questo paese è invece stato letteralmente spostato e neppure le ossa del camposanto sono rimaste.

Un esercito rosanero presidia le Saline del Golfo di Palmas: da una parte i fenicotteri che elegantemente ma senza pausa cacciano il piccolo gamberetto rosa Artemia salina, dal quale ottengono i carotenoidi, cioè i pigmenti che conferiscono alle penne il caratteristico colore rosa.
Dirimpettai, disposti in 4-5 file di decine di esemplari, riposano sornioni i cormorani, tante macchie nere sul mare blu.

Al MuMA Hostel di Sant’Antioco ho il piacere di conoscere i ragazzi di questa struttura che è anche Museo del Mare e dei Maestri d’Ascia e Centro di Educazione Ambientale alla Sostenibilità!
Incontri interessanti che generano altre conoscenze: aperitivo vista mare a cui partecipano i rappresentanti della Fondazione Destinazioni di Pellegrinaggio in Sardegna. Smart Walking cresce e si circonda sempre più di belle persone!

Tappa n. 28 Carloforte → Portoscuso 18,8 km Durata: 6 ore e 30 min.  – Dislivello: Salita 412 m – Discesa 412 m

La mia quarta tappa ha il sapore del basilico e il suono della cantilena genovese.

Mi sono spostato da Sant’Antioco – che alba e che silhouette sulla laguna! – all’isola di San Pietro. Carloforte – U pàize – è un enclave ligure in Sardegna: conserva la lingua e la cultura delle famiglie che l’hanno fondata.
I fondatori sono pescatori originarie di Pegli e provenienti dall’isola tunisina di Tabarka. I tabarchini nel 1738 ottennero dal re Carlo Emanuele III il permesso di colonizzare l’isola di san Pietro, all’epoca disabitata.
Carloforte e i suoi seimila abitanti sono tuttora strettamente legati a Genova che nel 2004 lo ha riconosciuto come comune onorario della sua provincia.

Tra i caruggi percepisco i sapori della cucina “tabarchina”: leggendario è il “cascà” o “cous cous tabarchino”. L’altro elemento centrale della cucina tabarchina è il tonno, che io provo su una melanzana alla parmigiana divinamente cucinata nel ristorante La Lanterna, il cui nome e simbolo sono il richiamo al famoso faro di Genova.
E c’è anche molto rossoblu, ma non quello del vicino Cagliari. Anche il calcio risente delle origini e il rossoblu è quello del Genoa CFC.

Tappa n. 30 Bacu Abis → Iglesias 14,7 km Durata: 5 ore – Dislivello: Salita 491 m – Discesa 386 m

Carloforte si risveglia dopo un venerdì sera vissuto e cantato. Sono da poco passate le sette e mi avvio verso l’imbarco; tra i pochi mattutini incontro Assuntino con la sua inconfondibile vespa rossoblu e il faccione di Gigi Riva sul fianco.
Dal traghetto vedo rimpicciolirsi l’isola di San Pietro mentre le ciminiere e le gru del porto di Portovesme crescono la loro silhouette nel controluce.
Percorro l’ultima tappa del cammino da Bacu Abis a Iglesias.
Per quasi metà dei chilometri i miei piedi seguono il tracciato della vecchia ferrovia che evoca ricordi di una vita che non c’è più. Attraverso anche alcune gallerie, spettrali, su cui è calato un sipario nero bordato dal bianco di ragnatele senza soluzione di continuità. Rimane l’archeologia industriale dei luoghi abbandonati.


Nella miniera dismessa di San Giovanni indosso il casco, salgo sul vagone 5 del trenino a scartamento ridotto e mi infilo nelle viscere della terra. Scavando alla ricerca del metallo nel 1952 fu scoperta un’enorme grotta, a cui fu dato il nome di Santa Barbara.
A Monteponi il percorso lambisce un’altra vecchia miniera abbandonata i cui resti sembrano navi appoggiate dallo spazio.
Poco dopo entro a Iglesias, inizio e fine del Cammino Minerario di Santa Barbara.