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15 Dicembre 2022

Alpinismo e Spedizioni · Vertical · Cultura · Saggistica

Paolo Ascenzi, Alessandro Gogna

Quando l’alpinismo parlava tedesco

1919-1931

Introduzione di Andrea Gobetti

E’ in libreria per i tipi della Casa Editrice Edizioni del Gran Sasso, il volume “Quando l’alpinismo parlava tedesco. 1919-1931”, opera di Alessandro Gogna e Paolo Ascenzi, due delle firme più autorevoli della storiografia dell’alpinismo.

Di seguito, la magistrale introduzione di Andrea Gobetti:

‘Lo Zoo germanico’

“L’hanno chiamata “scuola”, ma a me, considerata la varietà dei cosiddetti allievi e insegnanti, più che un’istituzione scolastica sembra un circo equestre, uno zoo a cui hanno aperto le gabbie come accade nei film di Emir Kusturica o Terry Gillian e i fantastici esemplari galoppano liberi per le città e lanciano grida altissime mentre vanno oltre la fantasia degli spettatori.

Sono le storie d’una vasta costellazione d’alpinisti germanici, come forse mai più ne vedremo di pari, che giusto dopo la fine della prima guerra mondiale si levò dai multiformi, bianchi “gebirge” d’austriaco calcare, invase le Dolomiti appena perse in guerra, ma irrise quel che prima era detto impossibile e lasciò il segno su roccia e su ghiaccio dalle Alpi, al Caucaso, all’Himalaya.

Gli storici dell’alpinismo accettando il suggerimento del mistico ed ispirato alpinista veneziano Domenico Rudatis la definirono una scuola, ma l’idea di scuola suggerisce la presenza d’un maestro, di quattro mura, d’allievi nei banchi, nonché d’una specializzazione, d’un titolo e di un traguardo comune tra gli allievi. Niente di tutto ciò scopro nella conclamata “Scuola di Monaco” inventrice peraltro del sesto grado, nonché della scala per misurarlo.

Il prezioso scrigno di memorie che avete fra le mani non pare essere stato facile da comporre, dietro le sue pagine s’intuisce un lavoro di ricerca e traduzioni faticoso e complesso, che se taluni di questi spregiudicati protagonisti avevano dato alle stampe le loro relazioni alpinistiche (in caratteri gotici naturalmente) per altri la divulgazione dei propri successi non era assolutamente necessaria, né desiderata.

Così in margine alle più note vicende gli autori esplorano luoghi e personaggi notevoli quanto poco conosciuti, taciturni, diffidenti delle luci della città, indifferenti alle sirene della fama, gente che non è andata oltre il libro del rifugio per dare alla storia le proprie imprese.

Generalmente fieri d’una povertà da dopoguerra, in dichiarato contrasto con i mezzi dei nobili turisti inglesi che li hanno preceduti, i personaggi d’un riscatto privato alla catastrofe bellica viaggiano su fragili quanto appesantite biciclette, (quelle sì che erano mountain bike), nel mare agitato delle Dolomiti e quando guarderanno oltre i più bei muri del mondo ecco i primi uomini del sesto grado dire la loro sui graniti e le pareti di ghiaccio del Monte Bianco e delle Alpi Centrali. Un passo più tardi e saranno a segnare nuove prime ascensioni nel Caucaso, nel Pamir e in Himalaya.

La loro è certamente una nuova pagina nella storia dell’alpinismo e sarà stimolo per la nascita d’un grande alpinismo italiano.

Fra le righe di questa accurata ricerca sono raccolti vita e miracoli d’un gruppo di personaggi leggendari che non s’assomigliano per niente l’uno con l’altro, che dell’individualismo, se non nella scelta e piccola compagnia, hanno fatto una regola d’azione; talvolta questi precursori s’incontrano tra loro facendo scoccare mirabili scintille che segneranno pagine di gloria, ma chiamarli gruppo sembra una contraddizione in termini, come citare un branco di lupi solitari e forse per questo si preferì una parola come “scuola” più seria, blanda e generica nel tratteggiare l’intensità dei rapporti reciprochi.

Luogo fisico non fu neppure la sola Monaco che pur vantava tre sezioni del club alpino tedesco, la capitale della Baviera non era l’unica città di lingua tedesca dove si inventasse un nuovo modo d’intendere l’alpinismo, c’era anche Vienna, con la sua nobile tradizione e la vicinanza del calcare alpino, e di importanza pari se non maggiore fu la più lontana Dresda, forte delle torri di arenaria sul fiume Elba.

Ad accomunare i nostri eroi è periodo eccezionale, un momento unico che si stende sul mondo germanico dal Mar Baltico alle Alpi.

Sussiegosi, presuntuosi e prepotenti, gli Imperi Centrali si sono appena presi una bastonata storica, fame e morte sono il frutto della loro sete di preda e di gloria.

Trascinati dai loro imperatori, generali e industriali in una guerra definita Grande senza che della grandezza abbia avuto né la moralità, né l’intuizione, ai popoli germanofoni viene presentato il conto dei danni e delle vittime: hanno assassinato “la belle époque”, all’umiliazione deve seguire la miseria.

L’impero è crollato su se stesso, i soldati del Kaiser hanno risalito in disfatta le valli che avevano disceso con tanta orgogliosa sicurezza, le Dolomiti sono diventate italiane, Hans Dülfer è stato ucciso da una granata sul fronte francese, l’inflazione dilania gli stipendi, ogni mestiere è buono pur di sopravvivere.

Nell’immediato dopoguerra Emil Solleder, che fu uno dei rocciatori di maggior talento (e coraggio) dell’intera storia dell’alpinismo, è talmente squattrinato da andare a cercare oro in Alaska pur di sopravvivere. Hans Steger, il futuro compagno di Paula Wiesinger, la prima campionessa italiana di discesa libera, diventerà divo del cinema, ma al momento, già campione tedesco di pugilato, sbarca il lunario scaricando le navi nel porto di Genova e poi come portiere a Napoli.

Otto Herzog, fra l’altro inventore dell’uso del moschettone, è un rivoluzionario “rosso”, partecipa alla repubblica dei lavoratori e dei soldati che scaccia l’ultimo re bavarese, organizza una spedizione proletaria al Caucaso e quando il tribunale, di tutt’altra ideologia armato, vorrà incarcerarlo sarà difeso con successo dall’avvocato Paul Bauer, alpinista che tenterà in seguito nientemeno che il Kangchenjunga, nonostante fosse un nazionalista d’idee assai differenti da quelle dei “vagabondi” dell’arrampicata.

Per molti è tempo di pochi soldi e grandi scelte, e nell’alpinismo che fu già degli scienziati, poi dei nobili e quindi dei borghesi irrompe il proletariato conquistando d’acchito un posto di tutto riguardo.

Al posto della bella società, infestata da prolissi prosatori e colonialisti dalle belle maniere, ora in testa alla cordata ci sono degli operai che san piegare il ferro. Non misureranno l’altezza del cielo, non struggeranno le belle anime in salotto, ma inventano il chiodo col buco in testa, il moschettone, nonché il rampone a dodici punte. Puoi impedire a un tedesco di fare le cose per bene? La tecnica è la nuova frontiera, il nuovo stile di scalare le pareti. La vocazione germanica per la meccanica d’avanguardia si esalta sugli strapiombi, ma va detto che pur inventando l’arrampicata artificiale questi alpinisti non esagereranno mai nell’utilizzare le nuove invenzioni. Hanno inventato sì dei bei chiodi, ma rimangono “oltremodo parchi nel loro utilizzo”, così come fu scritto del triestino Enzo Cozzolino qualche decennio dopo.

Sul palcoscenico dell’arrampicata compaiono boscaioli che con la corda ne sanno una più del diavolo, ci sono gli studenti e funzionari pubblici che prima di diventare nazisti o ritirarsi nel silenzio dei monti sono animati dal coraggio, dall’ansia di superarsi; in alcuni di loro abita l’anelito nietschiano al superuomo, in altri piuttosto quello della libertà naturale, semplice, vagabonda, anarchica.

Sono spiriti diversi, profondamente convinti di sé e della propria strada, cosa che talvolta li ha portati a posizioni ideologiche diametralmente opposte, tanto da sentirli ancora litigare nelle pagine di questo libro per cui credo che venire imbalsamati in un’unica pagina di storia sarebbe stato l’ultimo dei loro desideri.

Sta di fatto che con loro, secondo la mai abbastanza riletta Storia dell’Alpinismo di Gian Piero Motti, comincia il lungo percorso di chiodature che porta l’arte di arrampicare a derivare dal purismo di Paul Preuss sino all’apogeo dissacratorio della famosa compressorata di Cesare Maestri al Cerro Torre per poi tornare indietro.

Con vena profetica Motti scrive che, in seguito a quella profanazione estrema, l’orbita dell’alpinismo ritornerà alle mani nude di Preuss e in effetti, più di 40 anni dopo la sua intuizione, le gesta odierne di Alex Honnold e dei nuovi scalatori paiono dimostrarlo. Cosa verrà dopo? Quali appigli ancora invisibili, come lo erano quelli del sesto grado degli anni ’20 e quelli di 9A solo qualche anno fa, compariranno sulle pareti e nella mente di chi le scala? Cosa e chi succederà all’odierno purismo?

Lasciamo l’argomento ai profeti e a chi trova relazioni fra il mondo dell’arrampicata e quello che pieno di contraddizioni continua a girare intorno al sole, certo che è curioso, forse notevole come contemporaneamente alle invenzioni straordinarie della “scuola di Monaco” il grande regista tedesco Friedrich Wilhelm Murnau stia facendo fare al cinema delle acrobazie inaudite, nel ’22 filma il celeberrimo Il Vampiro portando per la prima volta le macchine da ripresa (al tempo colossali) in ambienti naturali per captarne l’essenza e quattro anni dopo supera se stesso e tutta la cinematografia mondiale nel crudelissimo L’ultima risata (la tragedia del portiere d’albergo sgallonato e privato dell’uniforme in cui si riflette lo stato d’animo della detronizzata Germania). In quel film, ancora muto, la tecnica di ripresa tocca e supera ogni limite precedente con l’invenzione del binario e della gru a cui appendere la cinepresa. E’ la rivoluzione tecnologica del punto di vista.

Al cinema si rivolgeranno più d’uno fra i migliori alpinisti di Germania proprio negli anni in cui l’innocente, o ingenua, esaltazione della forza e del coraggio diventerà arma della propaganda nazista e non ci sarà più posto per i “vagabondi della montagna”, ma solo per sguardi eroici e miti di vittoria.

Così nella cinepresa di Leni Riefenstahl, il cui cameraman preferito era l’alpinista Hans Ertl, vincitore della parete nord del Gran Zebrù, si immortalano i momenti in cui da un disperato ma glorioso dopoguerra si passerà a un tremendo anteguerra capace di oscurare, di far dimenticare quello slancio all’impossibile che aveva elettrizzato, galvanizzato la Germania all’indomani della grande sconfitta militare.”

 

Gli Autori

Paolo Ascenzi. Nato a Roma il 13 aprile 1953, laureato in Medicina e Chirurgia, è professore ordinario di Biochimica presso l’Università Roma Tre, Socio Corrispondente dell’Accademia Nazionale dei Lincei e Socio Accademico dell’Accademia Medica di Roma. Socio Accademico del Gruppo Italiano Scrittori di Montagna e in passato Direttore Editoriale della rivista l’Appennino della Sezione del CAI di Roma ha svolto intensa attività alpinistica soprattutto sulle Alpi Occidentali e salito le cime e i vulcani più elevati dell’Africa, delle Americhe, dell’Europa e dell’Oceania. Storico dell’alpinismo, ha pubblicato e tradotto numerosi libri fra cui: Guide-Clienti – Stessa corda, Stessa Passione (con Alessandro Gogna, 2015, Nuovi Sentieri), L’Alba dei Senza-guida (con Alessandro Gogna, 2018, Nuovi Sentieri), Sul Trono degli Dei (2019, MonteRosa Edizioni), Kangchenjunga 1989 – La Grande Traversata (2020, MonteRosa Edizioni), Makalu (2021, MonteRosa Edizioni), Zenit (2022, Edizioni del Gran Sasso).

Alessandro Gogna. Nato a Genova il  29 luglio 1946, è alpinista di fama internazionale, storico dell’alpinismo, guida alpina e opinion maker (problematiche turistico-ambientali della montagna e tema della libertà in alpinismo). Ha al suo attivo 500 prime ascensioni nelle Alpi, Appennini e in altre catene montuose, e diverse spedizioni extraeuropee. Tra le prime ascensioni: Scarason, parete nord-est (1967), Naso di Z’mutt al Cervino (1969), Marmolada di Rocca, parete sud (1970), quattro grandi vie alle Pale di San Lucano (1970-74). Ha salito in prima invernale la via Cassin alla parete nord-est del Pizzo Badile (1967-1968) e in prima solitaria lo sperone Cassin alla Punta Walker delle Grandes Jorasses (1968). Ha partecipato a storici tentativi in Himalaya (Annapurna, 1973 e Lhotse, 1975). Nel 1979 ha fatto parte della vittoriosa spedizione al K2 (4a ascensione). Da protagonista e divulgatore dell’alpinismo ha pubblicato 62 libri. Direttore di GognaBlog, si occupa a tutto campo di comunicazione della montagna (azione e ambiente).

 


Quando l’alpinismo parlava tedesco

Autore: Paolo Ascenzi, Alessandro Gogna

- Roma - 2022

Prezzo di copertina: € 15


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