Mario Vielmo- foto di vetta, Nanga Parbat 3 luglio 2023. Fonte Mario Vielmo facebook
Vielmo: “È stata una delle esperienze più difficili della mia vita alpinistica in Himalaya e Karakorum”
Mario Vielmo ha recentemente pubblicato sui suoi canali social la foto di vetta e la relazione della scalata del Nanga Parbat (8.126 m), in Pakistan, compiuta senza l’ausilio di ossigeno supplementare, attraverso la via Kinshofer, lo scorso 3 luglio.
L’alpinista vicentino descrive nei dettagli la spinta al vertice effettuata con il suo team e la lunga e difficile discesa.
Il racconto di Vielmo
“Rientrato a campo base il 26 giugno, dal primo giro di acclimatazione a Campo 3, quando le prime spedizioni commerciali erano riuscite a raggiungere la cima, ho sofferto di una forte infezione intestinale, che non mi ha dato tregua fino al giorno prima della ripartenza pianificata dal gruppo il venerdì 30 giugno. Ero molto demoralizzato e stavo pensando di rinunciare e tornare a casa. Il Normix e il Dissenten non facevano più alcun effetto, era la terza volta che stavo male. Grazie al contatto da casa e grazie ai compagni, sono riuscito a cambiare antibiotico che mi ha fatto sentire un po’ meglio.
Il 30 giugno con molta fatica e ore di ritardo rispetto agli altri sono riuscito a salire dal CB fino a C2, scalando la via Kinshofer, la parte più tecnica e verticale.
Il 1° luglio raggiungo Campo 3, non mi sentivo ancora al 100%. Lì decido insieme ai compagni Nicola Bonaiti, Valerio Annovazzi, Tarcisio Bellò, Juan Pablo Toro e Muhammed Hussein, di pianificare la tattica di salita alla vetta, spezzando la lunga via di 1300 metri di dislivello sopra i 7mila metri, montando un Campo 4 dove fermarci a riposare il 2 luglio e da lì partire per l’attacco alla vetta alle ore 22.
Questo a differenza delle spedizioni commerciali capitanate da Nirmal Purja e dagli sherpa e da altri alpinisti senza bombole di ossigeno, che la notte tra il 1° e 2 luglio partivano da C3 per arrivare direttamente in vetta il pomeriggio dopo.
Il mattino del 2 luglio Tarcisio decide di non partire con noi, ma di rimanere a C3 perché non si sente in buona forma fisica.
Con gli altri, lungo la conca del Bazhin abbiamo dovuto tracciare nuovamente la via perché il forte vento aveva già cancellato le tracce degli altri alpinisti. Si tratta di un traverso non difficile ma molto lungo.
Portiamo con noi una tenda da 3 e una tenda da 2, che Muhammed aveva depositato a 7mila metri alla precedente rotazione.
Lungo la via incrociamo tutti gli sherpa che scendevano verso C3 con i clienti, tra cui Nims. Arriviamo sotto al trapezio sommitale a 7350 metri alle quattro del pomeriggio, quando scoppia un vento fortissimo. Proviamo a montare la tenda da 3 alla buona, mentre Nicola e Valerio iniziano a montare la tenda da 2, che però si spezza a causa del forte vento.
Ci siamo trovati perciò in 5 in una tenda da 3 posti, con tutti i nostri zaini. Si fa buio e per tutta la notte il vento è fortissimo a 45kmh con raffiche a 70km/h almeno. Il vento da nord trascina la neve addosso alla nostra tenda da tutti i lati, fino a riempire anche l’abside davanti. Siamo incastrati dentro la tenda, non riusciamo a muoverci e a sciogliere la neve per fare acqua per tutti. Siamo spaventati, disidratati e alcuni di noi hanno freddo ai piedi.
A un certo punto un polacco si avvicina alla nostra tenda dicendoci che Pawel, in discesa ancora dalla vetta si sente male e ha bisogno di aiuto, è in edema. Gli offriamo il desametasone, che però ci dicono avergli già somministrato. Avrebbe bisogno di ossigeno, ma nessuno di noi lo ha. Più tardi ci chiedono di andare ad aiutare per portare Pawel in tenda. Noi non abbiamo posto in tenda ma ci prepariamo comunque con fatica per uscire. È però troppo tardi. Il primo a uscire è Muhammed che torna poco dopo. Pawel non ce l’ha fatta.
Poi ci racconteranno che Pawel era in edema ancora dalla cima. L’unica cosa che avrebbe potuto, forse, salvarlo, sarebbe stato dell’ossigeno supplementare che solo gli sherpa a Campo 3 avevano.
Provati, stanchi e disidratati, schiacciati nella tenda, vogliamo solo scendere. E così alle prime luci dell’alba iniziamo a prepararci. È stato complicato, ci abbiamo messo 2 ore per riuscire in cinque, uno a uno, a vestirci, calzare gli scarponi, quindi liberare la tenda dalla neve depositata durante la notte. Persino gli absidi erano pieni di neve.
Quando siamo usciti, dopo un po’ ci siamo guardati e ci siamo fatti coraggio. Essere in cinque a fare gruppo dall’inizio della spedizione ci ha aiutato. Al limite, ci siamo detti “siamo qui, facciamo un tentativo e se non va torniamo indietro”.
Sotto al trapezio sommitale il vento era calato, però sentivamo tanto freddo mentre salivamo.
Solo verso le 10.30 è arrivato il sole perché la parete è rivolta a ovest. Ci siamo scaldati un po’ e piano piano siamo saliti.
Siamo arrivati in vetta tutti e cinque, tra le 16 e le 17.30 del 3 luglio.
C’era un po’ di foschia sopra che andava e veniva. Abbiamo iniziato la discesa e abbiamo raggiunto di nuovo Campo 4 verso le 22 del 3 luglio, dove abbiamo solo riposato un po’, ancora in 5 in una tenda da 3. Anche stavolta non siamo riusciti a fare abbastanza acqua per tutti.
La mattina del 4 luglio smontiamo il campo e ci dirigiamo verso Campo 3. C’era nebbia e non si vedevano più le tracce. Mi sono messo in testa ad aprirla. Era rimasta solo una bandierina lungo la via. Con un po’ di fortuna e intuito, oltre al gps, sono riuscito a proseguire e andando avanti la visuale si è aperta.
Arriviamo a C3 alle 12, dove Valerio Annovazzi e Juan Pablo Toro si fermano per riposare. Nicola ed io scendiamo a C2, dove troviamo Tarcisio, che ci racconta che nel pomeriggio del 2 luglio aveva tentato di raggiungerci a C4, ma poi tornato indietro. Se fosse arrivato ci saremmo trovati in 6 e avevamo solo la tenda da 3. Però lui non lo sapeva perché era saltata la comunicazione via radio.
Sono le 6 del pomeriggio e avendo letto i messaggi di Francesca che ci preannunciava l’arrivo di venti ancora più forti e brutto tempo il giorno dopo, Nicola, Muhammed ed io decidiamo di scendere, mentre Tarcisio preferisce passare la notte a C2 e scendere con gli altri il giorno dopo.
Affrontiamo al buio il canale Kinshofer. Da una parte abbiamo fatto bene a scendere quella sera, dall’altra è stata molto dura. C’era la tempesta e solo dopo il muro Kinshofer è calata. Io che scendevo per primo ho trovato tutte le corde ghiacciate. Non ho potuto usare il discensore per calarmi. Ormai potevamo solo scendere. Ho cercato di sciogliere più ghiaccio possibile dalle corde per gli altri due compagni. Ci ho messo 5 ore al posto di 2 ore a scendere, è stato molto impegnativo. Eravamo tutti molto disidratati, erano 3 giorni che non mangiavo e non riuscivo a bere.
Arrivati a Campo 1 ci viene incontro il bravo Ganì con la coca cola. Nel frattempo, veniamo a sapere dopo, Tarcisio accoglie in tenda C2 il polacco Mariusz e gli dà da bere. Scenderanno il giorno dopo insieme a Juan e Valerio.
Nicola ed io arriviamo alle 2,40 di notte sani e salvi a campo base. Ganì mi aveva procurato anche due acque in bottiglia per aiutarmi a reidratarmi, sapendo che ero stato male per l’acqua contaminata.
È stata una delle esperienze più difficili della mia vita alpinistica in Himalaya e Karakorum. Non solo perché il Nanga Parbat ha il più alto dislivello, di 4mila metri, ma anche perché è veramente una montagna pericolosa, complicata e difficile, lunga e impegnativa, che ti mette alla prova. Ritornare salvo dalla montagna insieme ai miei compagni è stata la cosa più emozionante.
Grazie a tutti per la comprensione e il sostegno.”
Mario Vielmo in vetta al Nanga Parbat, luglio 2023. Fonte M.Vielmo facebook