Care amiche e amici, appassionati di avventura,
in questa “puntata” ho il piacere e l’onore di intervistare un caro amico, un fotografo incredibilmente capace e sensibile e un grande viaggiatore alpinista. C’è stato un tempo in cui quelli come lui li chiamavamo “esploratori”… Oggi si è quasi perso il significato reale di certe parole, perché tutti sono legati principalmente a cronometro e scale di classificazione, ma fortunatamente, a mio parere, gli esploratori sono sopravvissuti.
Andiamo a conoscere Andrea Gabrieli, 50 anni, nato a Sestri Levante, nella riviera genovese dell’est, e residente a Pavullo nel Frignano, nel modenese.
Come posso descrivere in poche righe chi è Andrea e che cosa fa?
Si tratta di un grande appassionato per il mondo della fotografia paesaggistica e di montagna che lo accompagna nei trekking, che siano quelli dietro casa o negli angoli più remoti del pianeta. “Amo entrare in contatto con le realtà locali per scoprire e salvare, con la documentazione fotografica, paesaggi e culture che stanno scomparendo”. Date le premesse è evidente la profonda persona con cui stiamo dialogando. Andrea è impegnato in un grande progetto ed è su questo che voglio centrarmi, perché mi permette di andare al di là della lente fotografica e scoprire che immensità c’è in Andrea.
Parlaci del libro: di cosa tratta? Come è nata l’idea?
L’idea è venuta perché… be’, sento di fare un punto di dove sono arrivato. Dopo tanti scatti ed esperienze, mi piace fermarmi un attimo e avere anche un minimo di riconoscimento sociale; non che io brami di avere like, anche perché il mondo dei social tradizionali è sempre più apparenza che sostanza, per questo mi trovate più spesso su un altro tipo di social in blockchain per esempio Hive. Però penso di meritarmi un po’ più di visibilità, anche per la mia autostima, ma soprattutto perché in mondo sempre individualista, quello che vivo può essere di ispirazione per altre persone.
La strada ha una direzione, tante direzioni diverse, ma non ha mai una fine. C’è tantissima gente più brava di me, da quale imparo moltissimo e che ringrazio. Quindi il libro non è un punto di arrivo, ma un punto di sosta e di ripartenza.
E quindi, sempre parlando del libro, cosa puoi dirci del poi?
In futuro spero di scattare foto migliori di oggi, di crescere sia dal punto di vista tecnico ma, soprattutto, di far sì che le esperienze vissute dentro di me facciano germinare i semi che già portiamo dentro dalla nascita. La fotografia è espressione di sé, per dirla alla Hillman è manifestazione del proprio daemon personale. A volte scherzando parlo della mia passione fotografica come “possessione” e il libro vuole mostrare il mio cammino di crescita interiore. Il corpo muore giorno dopo giorno, mentre lo spirito, lo insegnava Spiro, (Spiro Dalla Porta Xydias n.d.r.) ha una crescita senza limiti, ma va coltivato, deve “mangiare” anche lui.
L’idea è nata banalmente dal desiderio di fare un piccolo portfolio con le mie foto migliori. Ho iniziato a sceglierle e ogni foto ne richiamava un’altra. Inizialmente erano tutte mischiate: una foto di montagna, un ritratto africano… Poi ho trovato più sensato dividerle in categorie: bosco, nebbie, montagna ecc… ecc… Raccogliendo le impressioni che avevo scritto negli anni, recuperando alcune informazioni dai diari. Successivamente questa categorizzazione mi è sembrata banale, e, aiutato dalla mia compagna, che ringrazio per la sensibilità comune, l’aiuto e l’instancabile ispirazione che mi regala ogni giorno, ho deciso categorie più ampie e accattivanti, come “la preghiera della Terra” (omaggio a Spiro), “la spiritualità dell’uomo”, “echi dell’Oltre”. Sono immagini che rappresentano non un luogo fisico preciso, ma un paesaggio interiore, senza riferimenti esteriori; “età della vita”, “altitudini”, le nostre care Alpi e l’Himalaya.
Tutto ciò mi sembra un lavoro iper attento ma anche molto intenso, difficile…
La cosa più complessa, ma anche più soddisfacente, è stata l’accostamento tra foto scattate in luoghi diversi e lontani nel tempo, nel senso che alcune immagini si parlavano a vicenda, o per contrasto, o per similitudine. Porto a esempio un albero illuminato dal sole che brillava di galaverna, sul crinale di una collina scura, insieme alla sagoma scura di albero perso nel vasto bianco della nebbia.
Per alcune foto ho scelto dei testi che parlassero a volte di realtà concrete: la vita quotidiana delle tribù intorno al lago Turkana o degli ultimi ex cacciatori di teste in Nagaland, oppure a testi che parlassero delle suggestioni che quelle foto mi comunicavano, ed è stato come trascendere il luogo dello scatto per toccare temi universali, sul destino dell’uomo, la sua fragilità, la piccolezza e la grandezza insieme. Come il bianco e nero crea visivamente contrasto, così ho cercato di contrapporre concetti più ampi, come fragilità e forza, abisso e certezze, razionale e irrazionale, mostrando aspetti molto diversi della nostra vita ed armonizzandoli per dare un senso al tutto, come nel simbolo del Tao, dove bianco e nero di abbracciano.
Quindi quale sarà il titolo?
Il titolo sarà Moltitudini, che è il titolo di una foto che ha vinto il primo premio nella categoria paesaggio nell’ambito del Gubbio Photo Contest 2023.
Moltitudini è una metafora della nostra interiorità.
Dentro la nostra anima abitano diverse “persone”: i nostri antenati, insieme a tutti le parti che ci compongono e determinano. Alcune parti sono in armonia, altre in conflitto. Il nostro dovere è integrare tutte le parti, per esprimere al meglio il capolavoro della vita. Unico e profondamente vasto. La fotografia ha l’abilità di trasformare la realtà: i nostri occhi cambiano il mondo, generando nuove forme che riflettono la nostra personale sensibilità.
Walt Whitman scriveva: “Mi contraddico? Ebbene sì. Mi contraddico. Sono vasto, contengo moltitudini”.
Cos’è per te la fotografia di montagna?
Ne avevamo parlato su Mountain blog, non vorrei ripetermi, ma riporto la stessa risposta che diedi: “la montagna per me è un luogo cercato consapevolmente per risvegliare emozioni e desideri, perché la montagna è un oltre, un limite, un luogo privilegiato per poter scorgere un più ampio orizzonte di possibilità. Il paesaggio della montagna è una metafora del paesaggio dell’anima. Io salgo per avere sempre più orizzonte, allo stesso modo quell’orizzonte si ‘rovescia’ per farmi scendere più in profondità in me stesso. Mi piace quindi pensare di fotografare non soltanto la realtà, ma anche un paesaggio interiore ed intimo”.
Quali sono stati i tuoi ultimi viaggi per te importanti?
– Karakorum 2022, valle del Baltoro e campo base del K2, luogo alieno, impressionante, abissale, stretto tra percezione di fusione con la montagna e nel contempo ostilità e indifferenza della stessa.
– Kenya 2023, tribù del lago Turkana.
Quali saranno i prossimi?
Non ho ancora deciso. Mi piacerebbe tornare in Himalaya. Vorrei visitare il sud-America, Patagonia in particolare, come anche il cantiere navale più grande del mondo, dove smontano le grandi navi, per documentare il lavoro degli operai, in Bangladesh.
Alla fine deciderò a sentimento, quando il viaggio è quello giusto al momento giusto, di solito lo percepisco. Vivo sempre di più aderente al mio lato irrazionale, ognuno di noi lo ha, ma in un mondo iper-razionalista la gente di solito ne ha paura e lo rimuove. Io invece lo esprimo al massimo, ed è questa che chiamo libertà: andare oltre gli schemi consueti, vedere e meravigliarsi del mondo con lo sguardo di un bambino, senza pregiudizi, come se ogni giorno si nascesse nuovamente. Non per niente mantengo sempre buoni rapporti con le persone dei paesi lontani che visito: quando sono fuori continente non percepisco più come stringenti i vincoli di normalità indotti dalla nostra società occidentale, e non mi piace portare la mia cultura nei posti che visito, ma assimilare altri modi di vivere. Ogni cultura ha lati positivi e lati negativi, e cerco di dare spazio agli aspetti positivi di ogni società. Quando parlo con un mussulmano, o un induista, o qualsiasi altra persona, voglio pensare di avere davanti a me prima di tutto un essere umano, certo ognuno con le proprie differenze, ma è proprio questa la ricchezza, perché la diversità deve portare a una sintesi, non deve dividere. Una persona capace di intenti e desideri comuni, e questo è il vero seme della pace. Va di moda, nella nostra società occidentale che trovo profondamente malata, parlare di integrazione. Be’, lo trovo sbagliato. Integrarsi significa uniformarsi, mentre ognuno deve essere libero di vivere la vita secondo i suoi valori, con la proprio stile. Non è l’integrazione che porta la pace, la pace è quando ogni persona può vivere insieme mantenendo la sua diversità. Ci vogliono tutti uguali, la diversità ora è mal giudicata, invece dovrebbe essere esaltata, soprattutto nei giovani. Trovo che il grande problema dell’Europa e dell’Italia in particolare, sia quello che aver sostituito la Costituzione dei padri fondatori, con una nuova Costituzione basata sui principi del neoliberismo, incarnati dall’Unione Europea. Tale Costituzione non è in vigore formalmente, ma nella pratica sì, e questa ipocrisia mi rammarica e mi rabbia. Ci insegnano che l’altro è un nemico da abbattere per la supremazia dell’Io, non invece un essere umano che può collaborare attivamente all’individuazione di ognuno di noi. Questo è evidente fin dalla scuola, dove ci insegnano a uniformarci, etichettarci, e lo spirito critico non è visto di buon occhio. Non esiste più dialogo, e sinceramente ho paura anche a scrivere queste mie brevi righe di dissenso, perché la democrazia in Europa esiste solo sulla carta, non nei fatti. La fotografia mi permette di attingere al mio mondo interiore ancora libero, di osare pensieri critici, liberi, vasti, anche in contraddizione tra di loro, perché ognuno di noi è unico. Tornando al titolo del libro, in ognuno di noi vivono tante “persone” che invece di farsi guerra perché “diverse”, collaborano (dovrebbero) all’armonia della persona. Nella società attuale non trovo più la possibilità di esprimere “moltitudini”, vedo sempre più separazione e tifoserie.
Raccontaci un aneddoto…
Nell’ultima settimana ho ricevuto l’invito di partecipazione al matrimonio del fratello di un ragazzo pakistano che ho conosciuto in un villaggio ai piedi del Karakorum, sono come un fratello per lui. E negli stessi giorni un altro amico mi ha invitato al suo matrimonio e vuole che gli faccia da “best man”, dice che per lui sono la sua famiglia.
Il rapporto umano è tutto, poi sì, non dico che ogni tanto qualche mio scatto sia rubato e irrispettoso, nessuno è perfetto, però in linea di massima fotografare una persona ha un sapore diverso quando entri in contatto con lei, quando c’è un legame, che può essere anche solo un sorriso di intesa, quando l’altro si sente trattato come una persona e non semplicemente come un soggetto fotografico. Il mondo non è uno zoo, ci vuole rispetto prima di tutto.
Quando potremo vedere il volume? Dove uscirà?
Il libro è in completamento. Il lavoro, i viaggi e gli impegni sono tanti, e posso dedicarmici solo nel mio tempo libero. Non so quindi dare date precise di pubblicazione, potrebbe essere anche l’anno prossimo.
Per la pubblicazione sono d’accordo con una tipografia di Chiavari (Liguria n.d.r.). Qualche copia si troverà in libreria. Per comprarlo preferirò spedirlo di persona, oppure si potrà trovare nell’ambito di qualche mostra fotografica, in questo periodo sto stampando delle immagini sul Karakorum e cercando spazi espositivi.