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13 Maggio 2024

Pelagos: il santuario dei Cetacei

Care amiche e amici, appassionati di avventura, come me innamorati sia della montagna, sia del mare, due anime opposte e simmetriche di ciò che è natura; oggi ho proprio voglia di condividere qualcosa di bello.

Da anni organizzo uscite in barca al “Santuario dei Cetacei” e, per una volta, ho deciso di raccontare un poco di quel mondo meraviglioso tra queste righe, senza un linguaggio tecnico, in un breve articolo divulgativo.

Tanto per cominciare dove si trova questa leggendaria area?

Immaginiamo un rombo che da Genova si estenda a ovest sino alla Costa Azzurra, a Tolone, ad est verso la Toscana, puntando a Fosso Chiarone, e a sud sino alla Sardegna settentrionale, tra i Capi Falcone e Ferro. La zona in questione è pari a circa 100.000 chilometri quadrati. Le coste della Liguria e della Corsica ne sono interamente bagnate, generalmente senza che i loro abitanti ne siano consci…

Nel sito ufficiale Pelagos Sanctuary, possiamo leggere: “L’Accordo Pelagos per la creazione di un Santuario per i mammiferi marini nel Mediterraneo viene sottoscritto a Roma da Francia, Italia e Principato di Monaco il 25 novembre 1999 ed entra in vigore il 21 febbraio 2002. L’Accordo mira a promuovere, tra i tre Paesi firmatari, azioni concertate armonizzate per la protezione dei mammiferi marini e dei loro habitat contro tutte le eventuali cause di disturbo quali inquinamento, rumore, cattura e ferite accidentali, perturbazioni, ecc…”

Cosa significa “Pelagos“? La sua etimologia ha radici nel latino “pelăgus”, derivato a sua volta dal greco “πέλαγος” (pélagos), letteralmente e semplicemente “mare”.

Cosa vuol dire “cetaceo“? Deriva dal greco “κῆτος” (ketos), che ha un significato affine all’accezione di “mostro marino” e, secondo convenzione, fu utilizzato da Aristotele per identificare questi animali che poi corrisponderanno alla classe specifica.

Sono note almeno 80 specie di cetacei e tra essi, in quest’area, possiamo annoverare alcuni mitici esemplari: il delfino comune, che di comune ha solo il nome, la stenella striata, con cui siamo abituati a giocare, il tursiope, il globicefalo, lo zifio, il grampo, il capodoglio e la balenottera comune.

La prima cosa da sapere è che si dividono in due macro “gruppi”: gli odontoceti, cioè quelli dotati di denti, e i misticeti, che al contrario hanno i fanoni. Si tratta di una sorta di placche o lamine di cheratina, che vengono utilizzate per filtrare l’acqua trattenendo i piccoli animali per il nutrimento.

Tra gli odontoceti riconosciamo tutti i precedenti esemplari citati tranne la balenottera comune, che è per noi un po’ l’emblema dei misticeti.

I cetacei sono mammiferi, come gli esseri umani, il che significa che allattano la propria prole, caratteristica che li identifica. Il loro latte ha una concentrazione molto elevata di grassi e proteine, rispettivamente circa il 12% e 11% e solo l’1% di carboidrati. Al contrario il latte umano ha mediamente circa l’1% di proteine, il 4% di grassi e il 7% di carboidrati. La parte acquosa per i cetacei è il circa il 76% al contrario dell’88% umano; la differenza nasce dal bisogno di una grande densità per non disperdere il liquido in mare.

I cetacei assomigliano ai pesci perché, essendosi adattati anch’essi all’ambiente marino durante la propria evoluzione, ne hanno condiviso le soluzioni di sopravvivenza, ma sono diversi per molteplici aspetti.

I pesci depongono uova in grande quantità e i nuovi nati non sono accuditi dai genitori in moltissime specie. I cetacei invece generano un piccolo alla volta, salvo i rarissimi parti gemellari, e lo crescono insegnandogli la sopravvivenza.

Sono molte le differenze che possiamo elencare oltre a questa. I pesci sono per esempio dotati di scaglie, (e ribadisco scaglie e non squame, non sono rettili!), mentre i cetacei sono ricoperti da pelle, con uno strato di grasso per isolarsi dal freddo.
I cetacei sono infatti omeotermi e, come noi, riescono a regolare la propria temperatura con un buon dispendio energetico, mentre i pesci sono ectotermi e la loro temperatura corporea resta la medesima dell’ambiente in cui vivono. Sono inoltre in grado di respirare sott’acqua mediante le branchie, assorbendo l’ossigeno; i cetacei sono invece dotati di polmoni e di conseguenza si immergono trattenendo l’aria. Le loro narici si sono evolute in sfiatatoi che sono posti sul capo, uno per gli odontoceti e due per i misticeti: ciò gli permette anche di respirare restando quasi totalmente immersi. Chi non ricorda quella sorta di geyser usato dalla balena di Pinocchio o gli “sbuffi” nel celebre Cast Away?

Chi fa apnea è a conoscenza di alcuni tra questi elementi, perché anche negli esseri umani è presente il RIM, il Riflesso di Immersione dei Mammiferi. Si tratta di un meccanismo di sopravvivenza che consegue una serie di cambiamenti fisiologici allo scopo di risparmiare ossigeno e resistere alla pressione in aumento. In cosa consiste?

Oltre alla bradicardia durante l’immersione, possiamo identificare un altro aspetto interessante la vasocostrizione periferica, cioè il restringimento dei capillari per ridurre il consumo inutile di ossigeno che si avrebbe con l’afflusso verso aree non necessarie. Il sangue si dirige infatti verso cuore, polmoni e organi fondamentali: i capillari di quest’area, al contrario, si dilatano per accogliere il maggiore volume in arrivo.

Perché si attivi il RIM negli umani, è sufficiente immergere il viso in acqua; il riflesso e i suoi effetti aumentano all’aumentare dei livelli di anidride carbonica e della pressione esterna.

Proseguiamo quindi in questo elenco semplificato, un viaggio meraviglioso tra affinità e differenze.
I pesci utilizzano la linea laterale per percepire l’ambiente circostante, grazie a una serie di recettori che corrono appunto lateralmente dalla testa ai fianchi. Quando qualcosa crea direttamente o indirettamente una pressione o stimolo comparabile, essa viene avvertita dall’animale. I cetacei invece emettono dei suoni ad alta frequenza che sostanzialmente rimbalzano nell’ambiente: percepiscono l’eco di ritorno, secondo il principio di un sonar. Per questo il sistema viene definito “ecolocalizzazione“.

Squali e razze hanno un sistema ancora differente, sia per la percezione dello spazio circostante, sia per la respirazione… ma non distraiamoci troppo!

Un’altra differenza evidente, s’identifica nella pinna caudale, che possiamo definire “coda” in questo caso, per semplificare e intenderci.
Nei pesci è verticale e si muove da destra a sinistra, mentre nei cetacei è orizzontale e si sposta su e giù. Si tratta di un’eredità evolutiva terrestre, ma serve anche per bilanciare il peso durante l’immersione. Anche in questo caso è utile la memoria collettiva: basti pensare alla classica immagine che siamo abituati a vedere nelle fotografie naturali, in cui una balena si immerge puntando la coda in verticale appena prima di scomparire.
Gli apneisti hanno “copiato” questo sistema: per scendere in profondità, alzano una o due pinne, ottenendo un assetto con il giusto peso che permetta una calata in verticale, proprio nei primi metri in cui la pressione sotto la superficie è ancora bassa.

I cetacei emettono inoltre un suono particolare e individuale, che viene definito “fischio firma“; le madri insegnano alla prole il proprio personale, per potersi riconoscere anche dopo il distacco.

Adesso che siamo un poco più confidenti rispetto a questi nuovi magici amici, proviamo a entrare un pochino più nel dettaglio e scoprirli uno per uno.

Il delfino comune lo possiamo trovare non solo nel Santuario dei Cetacei, ma in quasi tutti i mari del mondo, a eccezione delle aree polari. Può creare branchi associati alle stenelle e quando lo si incontra, cosa non facile, è piuttosto confidente e gioca nelle onde di prua.

La stenella striata viveva un tempo soprattutto nei mari temperati o tropicali, ma oggi è il cetaceo più facile da incontrare. Entrambi possono immergersi mediamente per 8 minuti, ma il delfino comune può arrivare a una profondità di 250-260 metri, mentre la stenella si ferma ai 200. Per riconoscerli è importante sapere che quest’ultima può superare di poco i 2 metri di lunghezza, mentre il delfino comune può misurare oltre i 2,5 metri e le sue striature sul fianco mostrano un disegno con una sorta di “v” scura.

Se siete arrivati a leggere fin qui, sappiate che è proprio la stenella la protagonista di tutte queste immagini! Ma proseguiamo…

Il tursiope raggiunge anche i 4 metri di lunghezza e arriva a un peso massimo di 350 kg. Anche se si immerge sino a circa 600 metri, lo si trova di norma in acque non molto profonde, sui 100 metri, per esempio lungo costa. Spesso non è confidente ed è possibile trovarlo sia isolato, sia in coppie dello stesso sesso, sia in piccoli branchi.
Il globicefalo è invece più grande, raggiungendo i 7 metri di lunghezza e un peso che varia sino a 2 tonnellate. Lo si trova di norma solo in mare aperto; preferisce le temperature fredde e deve il suo nome alla forma del capo.

Risulta ancora più difficile incontrare lo zifio, che è leggermente più esteso del globicefalo e può pesare sino a 3 tonnellate. Non è confidente con le imbarcazioni e si può immergere sino a 2000 metri in profondità trattenendo il fiato sino a circa 40 minuti. Altrettanto difficoltoso è l’incontro con il grampo, benché viva nelle medesime aree del delfino comune: le sue dimensioni  possono arrivare a più di 4 metri con un peso che si aggira intorno ai 600 kg. Non è il campione della profondità, ma può in ogni caso scendere sino a 800 metri con un’apnea pari a 10 minuti, dandoci un’indice anche della sua velocità di immersione ed emersione.

Il capodoglio è il nostro pezzo da novanta: è facilmente riconoscibile per la sua testona piatta e lo sfiato dall’inclinazione particolare. Sarebbe teoricamente identificabile anche a grande distanza, ma nonostante le premesse, la sua diffidenza rende gli incontri molto, molto rari. Le dimensioni sono davvero notevoli: può raggiungere i 21 metri e una massa pari a 57 tonnellate; si immerge a grandissime profondità, sino a 3000 metri sotto la superficie, per questo la sua apnea supera abbondantemente le due ore.

Finalmente è il momento di citare la balenottera comune. Non è facile incontrarla, ma è possibile, e il solo pensarci, equivale a evocare un mito. Il suo comportamento è schivo, ma senza paura o aggressività. Può arrivare a una lunghezza pari a 27 metri e un peso massimo di 80 tonnellate. In pratica se prendessimo il toro più grande al mondo, servirebbero 55 esemplari per pareggiarne la massa… Ha un’apnea che supera di poco i 25 minuti e si può immergere mediamente sino a circa 500 metri di profondità.

In questi anni ho incontrato molti di loro, a centinaia, e li ho confrontati mentalmente con altri esemplari stupefacenti di cui avevo fruito molte volte in giro per il mondo. Islanda, Groenlandia e in diversi altri luoghi; orche, megattere… sono animali semplicemente incredibili e ti permettono di capire quanto ogni areale sia un universo a sé.

Avrei decine di storie da raccontare, una più bella e curiosa dell’altra, ma in questo caso, questa volta, mi fermo qui, perché ognuno possa immaginare il proprio viaggio, raggiunto dal richiamo e dal respiro dei flutti.

“Il mare concederà a ognuno le proprie speranze, come il sonno porta i sogni”. (Cristoforo Colombo).

Christian Roccati
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