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15 Novembre 2024

Ambiente e Territorio · Alpi Centrali · Aree Montane · Italia · Lombardia

Valtellina. Scoperto un intero ecosistema di fossili a 3.000 metri di quota

Parco Orobie valtellinesi: l’effimero Lago di Zappello. ©Elio Della Ferrera

Ricchissimo sito paleontologico tra le vette alpine del Parco Orobie valtellinesi

Un intero ecosistema fossilizzato su lastre di arenaria a grana finissima, che hanno conservato dettagli inimmaginabili, è rimasto nascosto fra le vette alpine per 280 milioni di anni.

Ora la riduzione della copertura nivo-glaciale dovuta al cambiamento climatico lo sta riportando alla luce, rivelando incredibili tracce di vita e di natura preistorica: impronte di dita sottilissime, scie di lunghe code flessuose, increspature di onde sulle rive di antichi laghi e addirittura gocce di pioggia cadute sul fango, prima che diventasse pietra incastonata nelle pareti delle Alpi Orobie Valtellinesi.

I primi reperti, mostrati per la prima volta durante una conferenza stampan tenutasi mercoledì 13 novembre al Museo di Storia Naturale di Milano, sono stati recuperati in alta quota con una operazione spettacolare supportata da un elicottero.

La scoperta

Nella prima traccia fossile si imbatte Claudia Steffensen, una escursionista di Lovero (SO), mentre percorre un sentiero della Val d’Ambria, nel comune di Piateda (SO), a 1700 metri di quota. Lo racconta all’amico Elio Della Ferrera, fotografo naturalista residente a Chiuro (SO), che scatta alcune foto e le invia a Cristiano Dal Sasso, paleontologo del Museo di Storia Naturale di Milano – Comune di Milano Cultura, il quale contatta due colleghi specialisti in sedimentologia e icnologia: Ausonio Ronchi (Dipartimento di Scienze della Terra e dell’Ambiente, Università di Pavia) e Lorenzo Marchetti (Museum für Naturkunde – Leibniz Institute for Research on Evolution and Biodiversity, Berlino). Della scoperta vengono subito informati il Parco delle Orobie Valtellinesi, nel cui territorio
ricade l’area dei ritrovamenti, e la competente Soprintendenza.

Sito paleontologico tra le vette alpine del parco Orobie valtellinesi. Foto arch. Museo di Storia Naturale di Milano

Centinaia di tracce fossili, a quasi 3000 metri di quota

Grazie a sopralluoghi successivi, a partire dall’estate del 2023 Elio Della Ferrera e i ricercatori fotografano e mappano centinaia di tracce fossili, che affiorano ancora in situ a quasi 3000 metri di quota sulle pareti verticali del Pizzo del Diavolo di Tenda, del Pizzo dell’Omo e del Pizzo Rondenino, nonché negli accumuli di frana sottostanti. Su massi stratificati grandi anche qualche metro appaiono così orme di tetrapodi (rettili e anfibi) e invertebrati (insetti, artropodi), spesso ancora allineate a formare “piste”, ovvero camminate che avvennero nel Permiano, l’ultimo periodo dell’Era Paleozoica.

“A quell’epoca i dinosauri non esistevano ancora, ma gli autori delle orme più grandi qui ritrovate dovevano avere dimensioni comunque ragguardevoli: fino a 2-3 metri di lunghezza” – afferma Cristiano Dal Sasso. Inoltre in questo nuovo sito, su alcune superfici sono fossilizzate orme di almeno cinque diverse specie di animali (trattandosi di tracce e non scheletri, è più corretto parlare di icnospecie), il che permetterà di effettuare accurate ricostruzioni paleoecologiche.

Marco Cattaneo analizza il masso 0: il primo masso con impronte ritrovato da Claudia Steffensen. La prima traccia che ha permesso di scoprire il giacimento della Val d’Ambria. Foto arch. Museo di Storia Naturale di Milano

“Le impronte sono state impresse quando queste arenarie e argilliti erano ancora sabbie e fanghi intrisi di acqua, ai margini di fiumi e laghi che periodicamente, secondo le stagioni, si prosciugavano”
– precisa Ausonio Ronchi. “Il sole estivo, seccando quelle superfici, le indurì al punto tale che il ritorno di nuova acqua non cancellava le orme ma, anzi, le ricopriva di nuova argilla formando uno strato protettivo”.

“La grana finissima dei sedimenti, ora pietrificati, ha permesso la conservazione di dettagli talvolta impressionanti, come le impronte dei polpastrelli e della pelle del ventre di alcuni animali” – sottolinea Lorenzo Marchetti. “Forma e dimensioni delle tracce indicano una qualità di preservazione e una paleo-biodiversità notevole, probabilmente anche superiore a quella osservata in altri giacimenti della medesima età geologica nel settore orobico e bresciano”.