A pochi metri dal confine con l’Austria nasce un rivo che ha la sua bella storia. Tanto per dire ha tre nomi: Rio di Confine, Grenzbach, torrente Pàdola. Fino al 1918 era l’estremo baluardo italiano a settentrione e divideva il potente Impero austro-ungarico dal piccolo Regno d’Italia. Oggi segna il confine fra la provincia di Belluno e quella di Bolzano, fra il comune di Comélico Superiore e quello di Sesto in Pusterìa.
Nasce da alcune polle sotto i Frugnóni e subito corre tranquillo ai margini dell’amena valle pascoliva di Némes, ai piedi del vulcano Quaternà. Giunto in fondo alla radura incontra una protuberanza ed è lì lì per deviare a nord. Invece, complice un masso dispettoso, gira bruscamente a sud verso il “bel paese” e si getta nel Piave, quindi nell’Adriatico. Se avesse proseguito il suo cammino verso nord sarebbe finito nel Rio di Sesto e nella Drava, quindi nel Danubio per chiudere la sua lunghissima corsa nel Mar Nero. Scherzi della natura.
Formata la caratteristica cascata del Pissàndolo, il torrente raggiunge il pianoro dell’alto Comélico, lo scava, penetra nelle viscere della valle e segue il richiamo irresistibile del Fiume Sacro che lo ingoia a Santo Stefano.
Ma prima, in alto, fra i pittoreschi villaggi di Dosolédo e di Pàdola, poco sotto la Statale per il passo di Monte Croce Comélico,viene sbarrato da una costruzione straordinaria, l’unica rimasta in Europa: la Stua. Cioè uno sbarramento, una diga artificiale che rendeva possibile la fluitazione del legname.
Funzionava così: a monte della Stua si formava un bacino (poteva contenere fino a due milioni di metri cubi d’acqua) il cui contenuto, una volta aperte le paratie, portava i tronchi di abete e di larice fino al cìdolo di Peraròlo (robusto edificio per fermare il legname) e da lì trasportati a Venezia con le famose zattere del Piave.
La Stua che oggi si può visitare è stata ricostruita in blocchi di pietra nel 1818-1819 su disegno e a spese di Vittore Gera di Candìde, ma l’edificio esisteva già nel 1500. Allora era esclusivamente in tronchi e fu più volte rimaneggiato.
Nel 2000 il Comune di Comélico Superiore ha ricostruito la sovrastruttura in legno e nel 2012, con lungimiranza e buon senso, il Consorzio Turistico locale ha valorizzato la Stua con un’area museale di grande impatto culturale. Spicca inoltre, in una delle due stanze di legno, un bellissimo affresco del pittore Vico Calabrò con le varie sequenze della lavorazione boschiva fino al trasporto nel torrente Pàdola per la fluitazione. L’opera percorre tutte le numerose fasi della lavorazione: dall’abbattimento delle piante alla sramatura, dalla misurazione delle taje (tronchi) al taglio e alla scortecciatura, dalla segnatura al trasporto con le slitte, trainate a mano o da cavalli.
Nell’altra stanza si possono leggere e vedere, da grandi pannelli fotografici, la storia del manufatto. Trattandosi di un “pezzo” veramente unico, la visita è quanto mai consigliabile. La Stua è ormai diventata una preziosa attrattiva per il Comélico, la “valle verde” distesa ai piedi delle Dolomiti del Popèra che l’Unesco ha voluto “premiare”.
Cronistoria
1521. La Stua sul Pàdola appartiene a Crescenzio Zoldan e ai fratelli Gregorio e Tommaso Riboli di Pàdola. In seguito il manufatto passa a Domenico Zoldan e poi a un certo Paolo da Belluno che l’acquista per 200 lire.
1527. Viene acquistata da Zuanantonio Zanco di Peraròlo, poi il figlio Vincenzo la cede in uso ai fratelli Zangrando di Vodo di Cadore che spendono 100 lire per ripararla.
1537. A gestire la Stua sono Vincenzo e Tommaso de Zanco, Antonio da Peraròlo, Nicolò de Bassanel del Comélico, un Bianchin mercante di legname e ser Giacomo Gera di Cargna. Infine passa in proprietà del mercante di legname veneziano Antonio Nordio.11 gennaio1635. Un altro Giacomo Gera, ma di Candìde, notaio di fama, acquista la Stua per 200 ducati.
1755. La diga viene ricostruita ex novo impiegando “3000 piante grosse” con un costodi circa 12.000 ducati.
1810. La costruzione è in rovina e deve essere rifatta. Si dichiarano disponibili a sostenere la spesa i fratelli Gera in cambio di alcune assicurazioni.1815. Il Dipartimento Adriatico di Venezia attesta che è “cosa universalmente notoria che l’edificio Stua di proprietà di Ca’ Gera esistente sul fiume Padola sia di antichissima istituzione e conta secoli di continuo esercizio”.
1818. Lo sbarramento viene riedificato in pietra viva su disegno di Vittore Maria Gera, figlio di Giuseppe e della contessa Miari. Il costo è enorme: 300.000 lire venete. I lavori vengono ultimati nel 1819.
1888. La Stua cessa di funzionare in seguito alla proibizione delle autorità causa la terribile alluvione che provocò ingenti danni in tutta la valle.
2000. A cura del Comune di Comélico Superiore vengono eseguiti importanti lavori di ripristino e rifacimento in legno delle sovrastrutture perdute.
2012. Realizzazione dell’area museale a cura del Consorzio Turistico Val Comelico Dolomiti.
Italo Zandonella Callegher
Tags: architettura, Belluno, Bolzano, Comelico, Comelico Superiore, dighe artificiali, Dolomiti del Popera, Dolomiti Unesco, Dosoledo, Europa, Frugnoni, opere del '500, opere uniche, Rio di Confine, sbarramenti, Sesto in Pusteria, strutture storiche, Stua, Stua di Padula, Torrente Pàdola, Valle di Némes, Vico Calabrò, Vittore Gera di Candide