Mattina del 14 luglio 1970. Tempo splendido. Due alpinisti friulani, Angelo Ursella di Buia e Sergio De Infanti di Ravascletto, provincia di Udine, stanno scalando la parete nord dell’Eiger. La sera si fermano a bivaccare su un terrazzino poco sopra il “Ragno”. A mezzanotte inizia a nevicare e continuerà per tutto il giorno seguente, mercoledì 15.
A metà pomeriggio di giovedì 16 ripartono; non possono più attendere, sono senza viveri e il tempo si è un po’ quietato. A poca distanza dal nevaio sommitale, Angelo cade e si incastra fatalmente in una fessura. Racconta De Infanti: «È quasi buio; la bufera ha ripreso con intensità ed io non ce la faccio più a tirare la corda. Angelo mi urla di mandargli il sacco da bivacco ed io lo faccio. Tutto ad un tratto mi guardo le mani e vedo una roba gialla mista a sangue che me le ricopre. Come se mi risvegliassi da un incubo, capisco la situazione. Angelo non risalirà più da quella fessura. Con la forza che aveva, anche con il bacino rotto, sarebbe riuscito a tirarsi su con le mani. Invece l’avevo tirato io, solo per pochi metri.» Angelo morirà, causa gravi lesioni al bacino e al torace, nel corso della notte fra il 16 e il 17 luglio 1970 dopo una terribile agonia. Aveva ventitre anni. (Montagne e volontà, diario alpinistico di Angelo Ursella, di Beppe e Italo Zandonella Callegher, prima, seconda e terza edizione 1973-1977, Antiga; la quarta edizione con il titolo Il ragazzo di Buia è di Vivalda, 1994).
Ero al rifugio Lavaredo con i “miei” e lì conobbi Angelo Ursella, venuto fin lassù per trovare amici e compagni di cordata. Il luogo divenne subito un cenacolo e si parlò e si rise fino a tardi. Fuori c’era burrasca. Una mattina ci portammo tutti all’attacco dello Spigolo Giallo. Con uno di noi Angelo fece il primo tiro e tutto finì lì; s’era rimesso a piovere. Ci lasciammo con un appuntamento che si concretizzò un venerdì, o un sabato, non me lo ricordo, ma non ha importanza. Non ricordo neppure l’anno. So che il mese era settembre, rimastomi nella memoria perché fu un mese strano, ricco di pioggia, vento, freddo.
Angelo Ursella e mio fratello Beppe erano saliti di tardo pomeriggio al rifugio Berti in Popèra, la “nostra casa”. Io li avrei raggiunti il mattino dopo, all’alba per salire con loro la via Comici al Campanile 2 di Popèra. Uno spettacolo vedere arrampicare quel ragazzo. Accarezzava, sfiorava leggero la roccia, non la assaliva rabbiosamente. Sulla traversata inferiore, sullo spigolo, sulla traversata superiore, sulla “parete marcia” della vetta… offrì un saggio accademico della sua bravura.
Ritornati al rifugio ci lasciamo trasportare dal buonumore. Angelo gira e rigira il berretto sulla testa dopo essersi accarezzato il ciuffo ribelle. Quando fa così è felice, se no non lo fa e basta!
Ritorna la nebbia. Poi la montagna riprende a piangere, triste e inconsolabile. Parliamo dell’Eiger. Angelo si era convinto che “doveva” farlo. Un’irresistibile richiamo. E infatti lo fece, ma a pochi metri dalla vetta l’Orco l’ha tradito. Ha tradito lui, noi, tutti. La “meteora” Ursella si spegne in un universo pieno di speranze per l’alpinismo italiano.
Sono ritornato molte volte sul Campanile 2 di Popèra, una quindicina, credo, forse più. Una volta, dal profondo dei ricordi, ho visto Angelo risalire i dirupi verticali, fermarsi sulla grande cengia, salutarmi. Mi ha sorriso. Gli ho sorriso. Poi ha continuato ad arrampicare fino a scomparire fra i raggi di un magnifico sole di mezza estate. Ho suonato la mitica campana e sono ritornato a valle.
A quarant’anni dalla morte lo ricorderemo il 18 luglio 2010 sui Brentóni dove, con il ricavato del libro a lui dedicato, gli è stato dedicato un bivacco in segno di sincera amicizia.
Italo Zandonella Callegher
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