Il 5 dicembre scorso si è tenuto a Padova il Convegno “Antonio Berti, ieri e oggi”. Ecco la mia relazione.
Dino Buzzati, in uno scritto apparso sul volume dedicato ai cento anni del Cai scriveva: “Quante volte ho consumato le serate sulla guida del Berti fino a tarda ora, scalando con la fantasia decine e decine delle più celebri crode … La prosa del Berti riusciva anche nelle descrizioni tecniche a far vivere le cime come personaggi delle favole, mi trasportava su per le celebri e temute pareti, e l’illusione in certi momenti era tale che per paura di quegli abissi spaventosi mi veniva meno il fiato. Il castellano dei monti era un grande poeta, ma non lo sapeva”.
Io non ho conosciuto fisicamente Antonio Berti, non l’ho neppure mai visto, ciononostante è stata una di quelle figure “seminatrici di passione” che hanno maggiormente contribuito a forgiare la mia vita alpinistica, e non solo, attraverso le sue opere.
Le prime esperienze letterarie di Antonio Berti sul tema montagna risalgono al 1904 con un articolo dedicato alle Dolomiti Ampezzane e apparso sulla Rivista Mensile. Sulla stessa rivista raccontò nel 1907 di scalate sulle pareti est e sud del Bacchettone. Nel 1908, oltre ad uno scritto, sempre sulla Rivista, dedicato alle Dolomiti di Schio e del Cadore, esce la sua prima guida: Le Dolomiti del Cadore, guida alpinistica, Fratelli Drucker editori in Padova e Verona. È un volumetto di cm 17×11 e ½, 166 pagine, costo lire 3. In questi giorni l’ho visto su un catalogo di vecchi libri al costo di 330 Euro, come dire: con un aumento del 21.300 %. È in assoluto la prima guida italiana delle Dolomiti Cadorine, corredata da 60 illustrazioni e da numerose schizzi cartografici di Giuseppe Palatini. Un saggio di come dovrà essere la guida che nascerà 20 anni dopo.
“È un grande atto d’amore e di devozione alle montagne più care”, si legge nella prefazione di Arduini e Ghiggiato datata 1 luglio 1908.
“Possa il piccolo libro, nato e cresciuto in tranquille sere d’inverno, nel ricordo di luminose giornate, qualche volta salire sulla cima dei Monti, felicemente, nel sole, coi Compagni di croda”, scrive Berti nella nota d’apertura.
Tanto per iniziare si scoprono subito due caratteristiche:
1°- affetto e grande amore verso Monti e Compagni che sono scritte in maiuscolo;
2°- competenza, serietà e l’umiltà di elencare, per ogni gruppo montuoso, la relativa bibliografia, in buona parte di lingua tedesca.
Seguono parecchi capitoli dedicati alle Dolomiti del Cadore e dell’Ampezzano. Il tutto condito con una prosa scorrevole e godibile nonostante l’argomento sia quanto mai tecnico. In ogni descrizione Berti ci mette un po’ della sua anima, un cenno ai sentimenti nobili che spinge alla montagna. Ad ogni riga c’è un invito a salire, a scoprire. Perché di scoperta ancora si tratta. A tal proposito dice del Popèra: “Questo gruppo domanda ancora tanto studio, specialmente da parte degli italiani; è necessario chiarire, per quanto possibile, la topografia e la toponomastica, che sono ancora molto oscure. Sono vette sul confine fra Regno d’Italia e Impero austro-ungarico…”.
Il 1908 segna veramente un evento memorabile: per la prima volta gli alpinisti che vogliono visitare le Dolomiti dell’alto bellunese hanno fra le mani il giusto strumento per farlo. Un gioiello di carta che conduce sulla montagna; un gioiello di poesia da riportare a valle con il cuore.
Nel 1909 Berti scrive, assieme ai coniugi Gino e Maria Carugati, un bell’articolo per la Rivista Mensile con la descrizione della rocambolesca salita a rate della parete orientale del Baffelàn e il relativo furto di due corde da parte di alcuni montanari. Berti non ne fa un dramma e conclude dicendo: “Noi usiamo le corde per fare alpinismo; loro hanno fatto alpinismo per avere le corde; siamo pari; il Baffelàn è di nuovo nudo come Dio l’ha fatto!”. Poesia e ironia assieme.
Nel 1910 ecco il volumetto Le Dolomiti della Val Talagona e il Rifugio Padova in Prà di Toro che è stato presentato in stampa anastatica a quasi 100 anni dall’uscita. La guida si apre con la solita prosa incantata: “Dalla vetta del Cadìn di Vedòrcia mi si sono svelati interamente, per la prima volta, nella sovrana bellezza, gli Spalti di Toro; da allora ho sognato là dentro una piccola casa, bianca e amica”.
La casa bianca di Berti è il Rifugio Padova.
Seguono altri articoli sulla rivista del Cai, dedicati all’Antelao, alle Marmarole, all’amico Giovanni Chiggiato, al Campanile Paola, ad uno studio circa una barella per trasporto feriti, alla medicina e chirurgia per lo sci e l’alpinismo, sul clima in montagna, ecc. Molto interessante il contributo del 1912 dal titolo Nelle Dolomiti Zoldane. È il racconto della prima ascensione da nord est di una torre superba che l’alpinista olandese Jeanne Immink aveva salito il 21 luglio 1893 e battezzato con il nome di Innerkoflerthurm, cioè Torre di Innerkofler, in onore del grande Sepp che la accompagnava. Questa torre apparve a Berti, elegantissima, dalla cima della Rocchetta Alta di Bosconero e decise di salirla. Trovarla dal basso fu difficile causa un errore topografico e di quota, ma alla fine Berti riuscì e, con i coniugi Carugati, il pittore Luigi Tarra e un cuoco accademico di nome Ottavio, giunse in vetta il 10 luglio 1911. Al ritorno scoprì che quella bellissima struttura era chiamata dai valligiani Sasso di Val Toanella e così la battezzò.
Nel 1928 esce quello che si può chiamare il libro di una vita: Le Dolomiti Orientali, guida turistico-alpinistica, edita dai fratelli Treves sotto gli auspici della Sede Centrale del Cai e per cura della Sezione di Venezia.
Ricordo il mio incontro con questo libro in un pascolo del Comélico. Per un mese all’anno, in attesa dell’apertura dell’anno scolastico, facevo il pastorello in compagnia di un parente, un ragazzo di nome Beniamino, 17 anni più vecchio di me, che leggeva di tutto e leggeva sempre. Lui si era accorto della mia voglia di montagna e un giorno disse:
«Ti interessano così tanto?».
«Sì, mi interessano molto».
«Allora domani ti porto un libro; è già vecchiotto e un po’ malandato, ma ti piacerà. L’ha comprato mio fratello tornando dalla Francia. Io non capisco un’acca di cosa c’è scritto, ma mi piacciono i disegni, ce ne sono un’infinità; di montagne, naturalmente.»
L’indomani lo ebbi fra le mani. Il ricordo è vivo, come fosse successo ora. Lo strinsi trepidante, lo accarezzai, lo sfogliai avidamente come fanno oggi i nostri nipoti con i libri delle avventure di Harry Potter. Volevo sapere come mai il mio “capo pastore”, che odiava le rocce, avesse quella guida e io no. Il fatto poi che suo fratello emigrante – conosciuto come tirchio nel dare quanto prodigo nel bere – avesse acquistato quel libro così particolare … è rimasto per sempre un mistero.
Poi mi venne un dubbio: io, pastorello, montanaro ignorante che sapeva appena leggere e non aveva dimestichezza con rocce e pareti, ero all’altezza di “studiare” su quel libro?
Beniamino disse di si.
Quel volumetto di cm. 10,5×16 sembrava il breviario di mio zio prete. E per me – e per tanti altri – fu veramente un breviario.
La guida sembrava piccola, ma aveva 902 pagine. Compatta, elegante, stampata su carta riso così fine che mai avevo visto; poi c’erano alcune cartine e centinaia di disegni di un certo Annibale Caffi che, come scrisse Antonio Berti, “ha dato la vita a queste pagine rudi”. Seguiranno diverse edizioni e poi anche l’uscita del volume II° dedicato ai monti dell’Oltre Piave.
Ma il capolavoro di collaborazione, di impegno culturale, storico e alpinistico con La Rivista del Cai e con i suoi Soci, fu la poderosa monografia storico-militare sulla Cima Undici e sulla conquista del Passo della Sentinella in Popèra, gruppo che Berti amava intensamente e che fu sempre presente fin dagli albori della sua attività. Siamo nel 1932. I numeri 2, 3, 4 e 5, per un totale di 87 pagine con 71 foto inedite, molte delle quali a piena pagina, sono in gran parte occupati dalla narrazione degli eventi colà avvenuti dal 1915 al 1917: la Grande Guerra sulle Dolomiti dell’Alto Cadore. Mai un autore era stato così generosamente ospitato sulla Rivista sociale, né mai è successo in seguito. Segno che i Soci, non solo erano stati colpiti positivamente da quella storia straordinaria e avvincente accaduta in un particolare periodo e in un dato luogo, ma anche dalla statura culturale e morale e dallo stile coinvolgente di Antonio Berti. A mio parere questo lungo e preciso saggio è stato uno dei suoi capolavori: un’opera intensa, di ricerca, di stesura, di prosa senza retorica, di poesia inserita qua e là in un argomento che ancora divideva gli animi della gente e le gerarchie militari.
Questo impegno si ripeterà poco dopo, nel 1933, con l’uscita di Guerra per Crode per i tipi della Cedam, Casa Editrice dott. Antonio Milani di Padova, scritto a quattro mani con Giovanni Sala, il capitano di Cima Undici e degli Alpini Mascabroni.
Nel 1936 Berti si cimenta ancora con la Grande Guerra sulla montagna dolomitica. È la volta di Guerra in Cadore edito dal 10° Reggimento Alpini, Editore in Roma. Storia avvincente, scritta con il solito stile asciutto, con qualche venatura romantica o poetica che, a piccole dosi, ha il merito di rendere un po’ più morbido il tragico racconto.
Il 1942 vede la pubblicazione di un altro libro di guerra: Battaglioni Pieve di Cadore e Antelao, anche questo edito a Roma dal 10° Reggimento Alpini. Si narrano le vicende degli Alpini a Forcella Lavaredo, sui Frugnoni, al Monte Piana, sulla Cima Vanscuro nel 1915; la conquista del Passo della Sentinella e le battaglie sulle Tofane nel 1916; la mina del Lagazuoi e la Bainsizza nel 1917, per chiudere con le operazioni sanguinose dei Solaroli-Valderoa-Grappa e la conquista di Feltre e Primiero nel 1918. Potrebbe sembrare un volume tecnico che il Tenente Colonnello Antonio Berti decise di scrivere per gli specialisti; invece è un libro comprensibilissimo, redatto con semplicità e con poetico sentimento.
Nel 1948, all’età di 66 anni, Berti pubblica il suo ultimo libro, un misto di stranezza e meraviglia insieme. Forse è stanco di narrare in prima persona e allora si inventa una cosa straordinaria: far parlare la montagna. Il titolo infatti la dice lunga: Parlano i Monti. “È il risultato di un coro possente, è lo specchio dei monti” dirà Franz Rudovsky. Si tratta infatti di una raccolta in prosa e poesia riferita alla montagna dei più grandi personaggi della storia. Credo sia la prima e unica del genere a concentrare una così massiccia mole di detti e pensieri. Per fare un esempio, alla voce Alpinismo, fra i numerosi contributi, si legge: “L’alpinismo non è stato creato da montanari, ma dai cittadini”; si può anche non essere d’accordo, ma a dirlo è stato l’abate Henry. Alla voce Arrampicare leggiamo, fra l’altro: “È cosa eccellente arrampicarsi sui monti purché la sera si ritorni a casa”; parola di Alessandro Manzoni. Alla voce Montagna troviamo, fra un mucchio di altre definizioni: “Quanto monotona sarebbe la faccia della terra senza le montagne!” A dirlo è il filosofo tedesco Immanuel Kant. Ma anche Dante dice la sua riferendosi a una parete di roccia: “Noi salivam per entro il sasso rotto, e ogni lato ne stringea lo stremo, e piedi e man voleva il suol di sotto”. E via di questo passo con Petrarca, Leonardo, Ariosto, Carducci, ma anche Compton, Cassin, Comici e mille altri per 554 pagine fitte fitte, su carta riso la cui leggerezza è pari al sentimento che si prova nella lettura. Edizioni anastatiche sono uscite nel 1972 e nel 1997.
Ricordando Antonio Berti sulla Rivista Mensile del maggio-giugno 1957 a sei mesi dalla morte avvenuta il 10 dicembre 1956, il discepolo Severino Casara scriveva: “Fino allora aveva pazientemente raccolto e illustrato le vie degli alpinisti nelle Dolomiti Orientali, ora vuole illuminare quelle vie di una luce più fulgida, quella della poesia. E per anni trova conforto nella ricerca di versi e di brani dei più grandi poeti e pensatori della letteratura universale, che si riferiscono alla montagna, scegliendoli e coordinandoli in un volumetto che egli intitolò Parlano i Monti, il suo canto eterno al sublime alpinismo”.
Antonio Berti, dunque, poeta della montagna con un ritorno per la nostra cultura.
Italo Zandonella Callegher