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7 Settembre 2015

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Axarfjall – il Senso

Mi sono occupato dei miei amici, ora trovo un momento per me. Cammino oltre il faro, supero il rifugio d’emergenza, oltrepasso le ultime costruzioni e scompaio nella nebbia.

Penso ai tanti posti che ho vissuto e mi libero della carne, lasciando che queste spire di vapore mi attraversino invece di avvolgermi. Ombre compaiono e scompaiono; le volpi intorno a me. Mi accuccio, come un granchio, e una femmina comprende che non sono lì per colpirla, coprirla o infastidirla.

La mia posizione non la spaventa. Non sono abbastanza alto da sovrastarla, non ho una postura pronta per minacciarla e le mie articolazioni non mi suggeriscono come predatore. Mi avvicino e lei mantiene la distanza spostandosi senza correr via, scende verso il mare, mi conduce.

Seguo lo spirito oscuro dove nebbia non c’è e mi siedo. Mi ha portato di fianco al suo piccolo, alla tana, tra cataste di conifere poste qui dai guardiani e giunte dal mare del nord.

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Il declivio erboso arriva ai tronchi che gli animali usano come riparo. Il crinale è pianeggiante per un metro, fino a un bordo costruito con altri tronchi oltre il quale la scogliera quasi precipita. Questo è un posto ideale per cacciare; i gabbiani si appoggiano sugli alberi abbattuti e volpi, celate alla vista e protette dal vento, saltano e li prendono al volo, nutrendosi e sopravvivendo.

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Mi avvicino pian piano. Gli animali si appallottolano nella coda. Da lontano vedo Simone; con segni gli spiego come sedersi a granchio e lui si avvicina quieto. Impiego venti minuti ad arrivare a distanza di tocco, ma non allungo la mano. Nel frattempo ci raggiunge anche Pietro e presto arriverà Elena.

Il piccolo chiama la femmina, lei lo vede, sa che non sopravviverà, così si alza e va via.
Lui rimane solo.

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Siamo troppi, la femmina ha abbandonato il cucciolo, le regole sono cambiate;
il piccolo scapperebbe se potesse. Si infila sotto un tronco e lì lo lascio stare.
Mi alzo e me ne vado.

Due ore dopo ritorno, solo. Gli amici sono tutti in tenda. Riprendo il dialogo dove lasciato.
Il cucciolo non scappa. Comunica. Non posso fare alcunché per te, piccolo mio. Non posso fare davvero alcunché.
Solo ricordarti, finché qualcuno non farà lo stesso con me.

La regola dell’Hornstrandir è semplice: ogni vallata ha una coppia di volpi. Sessanta famiglie che ogni hanno fanno 5-6 figli; 80% di mortalità annuo… In pratica rimangono sempre un maschio e una femmina che si moltiplicheranno la stagione seguente.

La legge della natura è questa, equilibrata, sana.
In natura non esiste il giusto o lo sbagliato, ma solo ciò che è in equilibrio e ciò che invece non lo è.

Piccolo mio, non posso fare alcunché, solo guardarti. Ci capiamo, non è una metafora new age, ci comprendiamo davvero. Non parliamo di Kant o di fisica nuclere… è solo natura. Semplice, chiara, senza dubbi. Mi chiama con il suo comunicare, senza usare i versi, ma con gli occhi; cerca aiuto, ma sempre meno intensamente, fino a quando accetta che non potrò fare alcunché. Il suo addio è qualche cosa che conosco molto bene.

Ho visto questo sguardo in amici e parenti, molte volte in questi anni.
Conosco quegli occhi, sono stampati nella mia anima.
Dico addio al cucciolo e per suo rispetto mi alzo e me ne vado.

Foto Christian Roccati

Foto Christian Roccati

La mattina mi sveglio, preparo le colazioni, mi lavo interamente, smonto il campo e faccio lo zaino.
Gli amici mi raccontano di aver visto il corpo della piccola volpe esanime. Lo so bene.
Andrò a vedere fra un po’, non ora e non per salutarla. Questa è solo carne. Voglio solo assicurarmi che non abba sepoltura, come natura vuole, cosicché possa tramutarsi in prato, piantina o in uccello.

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Scruto ciò che già conosco, l’equilibrio.
E poi, perché esso sia mantenuto, ricomincio a camminare.

Christian Roccati
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