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16 Marzo 2015

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BANFF Festival 2015

Un angolo di infinito ci vuole sempre, che tu lo stia vivendo o che qualcun’altro ti racconti la sua storia.

Anche quest’anno mi sono goduto il BANFF festival. Terza edizione di fila, e ancora sa stupirmi. Ci sono state selezioni migliori e altre meno “potenti”. Questa forse non è stata la più grande in assoluto, ma ha comunque riversato un fiume di colori su platee che nient’altro aspettavano. Davvero un momento unico, ognuno lo avvere in sé.

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Mi siedo insieme a tre persone davvero specialissime, a cui voglio molto bene, e la sala si oscura. Tanti cuori battono in attesa, quasi fossero un rullio di tamburi che inneggia alla sfida… ed essa parte.

Il primo filmato, The Ridge, è per me il più bello. Danny MacAskill che, sull’isola di Skye in Scozia, vola tra i crinali inseguendo una musica che avverte e che nell’aria suona libera. Gli astanti l’ascoltano come se fosse normale, ma non lo è… la canzone della libertà e degli spiriti dell’aria, è nella sua testa, di norma nessun’altro può sentirla.

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Mi commuovo. Il loop doop sbatte all’impazzata e gli occhi diventano lucidi. …è semplicemente bellissimo.
Conosco bene quella terra e sognavo di andarci sin da quand’ero piccolo. Quando la solcai non potei né camminare, né correre, né scalare. Ascoltai quella canzone senza poter ballare al suo ritmo. Vedere questo falco che vola e respira la parola dei titani, è per me un emozione davvero forte. La sua ricerca è semplice e unica e lui vi sopraggiunge.

Quando la sua sagoma si staglia nel cielo, dall’alto verso il basso, non può non venirmi in mente l’angelo caduto Patrick Berhault, Legato ma Libero, nella sua ultima traversata delle Alpi, in cima alla Verte, solo, mentre Philippe Magnin lo osserva dal canale di accesso, fraterno compagno.

Dopo quest’opera, capolavoro di Stu Thomson … il BANFF sarà un turbinio senza tempo.

Desert Ice… di Keith Ladzinski. La ricerca di sottili lingue bianche, nel nulla, la netta differenza tra guardare e vedere che ha permesso a Jesse Huey e Scott Adamson di conquistare l’invisibile.

…e poi Touch, di Jean-Baptiste Chandelier, ancora il sogno dell’uomo? No. Come il tarocco 12, tutto al contario, il sogno di creature volanti che agoniano la terra, la sfiorano senza poterla raggiungere, anche se la parte che in loro rimane umana ride di questo contrasto, ne gode in un edonistico tripudio.

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Si continua con lo sci svedese di Bjarne Salén per il film Happy Winter e il documentario storico di Nick Rosen, Peter Mortimer e Josh Lowell sugli Stonemaster a partire da Bridwell fino ad arrivare a Lynn Hill, Valley Uprising.

Una veloce pausa, gli sguardi rapiti dei mie amici, e la mia mente che passa oltre, da un lato al culmine della mia ricerca, che mai mi abbandona, dall’altro alle domande che non posso non pormi rispetto alle mie scelte di vita. Ma la luce cala di nuovo e il BANFF mi rapisce, la mente vola…

Di nuovo sci con Sun Dog, di Ben Sturgulewski, una storia di amicizia al cospetto del cielo.

Splendido il filmato Artic Swell, di Anton Lorimer e Chris Burkard, sull’esperienza di quest’ultimo, fotografo di surf, che si spinge ai confini del mondo per ritrarre un’avventura dello spirito.

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Il protagonista che rappresenta i protagonisti; un metaviaggio in un posto illusorio, il teatro dei fatti è la mente dell’artista, e non l’artide, un sito ben più lontano e inaccessibile.

Dopo questo momento bianco è la volta del marrone, con l’opera di Cedar Wright che interpreta se stesso insieme al celeberrimo Alex Honnold, in un viaggio davvero magico, Sufferfest 2.

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Due amici alla ricerca: la salita delle 44 torri più importanti dei deserti del sud ovest America con trasferimenti in bicicletta. E il kharma che s’intreccia alla storia, grazie al ritrovamento di un cucciolo, al di là di ogni tempesta e sorriso. Un’avventura vera, come dovrebbero esserlo tutte per chiamarsi così.

Uno dei più bei filmati di questi anni.

Si procede quindi cambiando completamente tema e motivo: Michael Brown, Nick Waggonere e Zac Ramras portano in Afterglow… nuovamente sci con maestri della discesa che di notte, illuminati di luce propria, diventano stelle comete nella polvere.

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…è ora la volta di Lukasz Warzecha che riprende in Wilde Woman Faith Dickey una slackliner in equilibrio fra la vita, la società e il mondo, metaforico e no. Una disciplina antica eppure moderna, considerando le arti circensi e il contemporaneo free style.

Nuovamente sci con lo Speedriding… che ricorda la vecchia battuta, “no scio veloce, ma volo basso”, in questo caso letteralmente.

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L’opera Unrideables di Derek Westerlund e Steve Reska è davvero suggestiva, e richiama nuovamente a paesaggi innevati che impediscono il respiro ai fruitori per meraviglia e lo rilasciano a ogni scarica d’adrenalina.

Chiusura finale mediante lo scherzoso In to the Ditch di Rush Sturges che ritrae se stesso insieme a Ben Marr, in kayak sul bordo di un canale di irrigazione; tra una risata e l’altra raggiungono la “velocità smodata” tanto cara agl’ironici film di Mel Brooks.

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Che dire? Una rassegna magnifica che ha certamente lasciato a bocca aperta chi vedeva per la prima volta il festival. Una selezione davvero accattivante che pecca solo in ripetizione. Doppia opera con vela, doppia di arrampicata, quadrupla di ski… Ci sono centinaia di discipline nell’ambito outdoor e non basterebbe una selezione di cento film che trattano argomenti differenti. Ripetere su 10 opere è forse una scelta dettata dalla passione. Il 40% di tematiche simili forse penalizza l’innovazione o la rappresentazione, too much ski… Non sono mancati in ogni caso gli spunti sullo sconosciuto, le curiosità, e non mancheranno mai la carica e la spiritualità, sempre presenti a BANFF.

Il bilancio? Non può esser che immensamente positivo, come sempre quando questo è il tema.
…un appuntamento assolutamente da non perdere, non c’è altro dubbio. Speriamo il 2016 arrivi in fretta.

Christian Roccati
SITOFACEBOOK