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17 Ottobre 2012

Uncategorized · Christian Roccati

Contemporanei a qualche cosa di antico

Quanto siamo vecchi? Anzi mi correggo, quanto siamo antichi? Siamo così anziani da pensare ancora ad esser arrivati al giorno del giudizio… Siamo così remoti da pensare di esser alla fine del mondo. Soltanto dei bambini… I nipponici direbbero che siamo talmente come rane in fondo ad un pozzo, che nemmeno immaginano l’immensità del mare.

La nostra percezione della realtà è completamente alterata, non solo da un geocentrismo ma soprattutto da unocronocentrismo. In vero tutto il nostro cammino e quello del pianeta su cui viviamo, evoluti fino ad oggi, saranno scritti nell’equivalente della riga di un libro odierno.

Siamo in quell’antichissima epoca in cui il mondo era ancora un bicchiere appena scrollato, con etnie e nazioni, mille lingue, frazioni infinitesime di cultura non condivisa, monete e bandiere come barriere e non strumenti al servizio di tutti.

Lo si vede nelle piccole cose. Ci troviamo ad esser così arretrati da non poter gestire un sistema banale come il traffico cittadino. Così limitati che per organizzarlo usiamo (o sappiamo far funzionare…) principalmente semafori invece che rotonde e passi… il che si traduce nel dire che siamo così incapaci che per regolare un sistema basato sul movimento non possiamo calcolare una sinergia o strade alternative, ma dobbiamo ritmicamente arrestare tale movimento. Una follia… Il primo scopo di un sistema è la sua funzione… arrestare lo scopo di un meccanismo per far funzionare quello scopo, non ha il minimo senso.

Aveva forse senso lo spostamento delle persone che veicolano cose che posseggono informazioni? Non bastava trasmettere le informazioni? Solo da ieri esiste internet… solo da ieri abbiamo capito che esistono i dati, indipendentemente dal tipo di supporto su cui viaggiano… computer, fogli, lingue, menti, piccioni… Eppure fino a ieri per “fare il punto” era necessario incontrarci, non bastava trasmettere le informazioni… spostavamo noi stessi invece che le idee.

Ancora oggi la conoscenza è a pagamento, un’arma elitaria e non una parte empirica e scientifica del grande essere Terra, costituito da noi come cellule. Per forza, siamo il popolo dei semafori. La nostra cultura è quella dell’arresto della marcia. Se una persona non funziona, la togliamo dalla società, cosa che per la quasi totalità del popolo significa “punizione” e non “correzione di un comportamento che non è consono alla maggior parte degli individui che compongono il sistema”. Un vettore funziona male? Non lo correggiamo, non ci interroghiamo sulle cause, lo togliamo dalla società. Lo stesso identico principio del semaforo. Difficilmente la società si domanda i perché.
Difficilmente tali condizioni alla radice del sistema vengono cambiate in modo che non si verifichi mai più quella combinazione di eventi che hanno conseguito tale comportamento.

Certamente è meglio il semaforo.

Siamo contemporanei… a qualche cosa di antico. Cioò che chiamavamo “storia moderna” è un periodo storico vecchio di 600 anni… cosa dovremmo esser noi, il futuro del futuro, di cosa?

Forse è anche questo che trovi nella nebbia d’inverno, in alto, dove regnano il freddo, la roccia e condizioni prive di tutta questa pazzia. Vivi quella sensazione naturale di un luogo fatto per te, con regole non scritte che aderiscono alla tua pelle. La chiamiamo libertà, ma magari è semplicemente qualche cosa che si addice al nostro più profondo.

Molto probabilmente, fra tantissimi anni, la società sarà direttamente proporzionale alla nostra natura. Quel giorno la gente non riderà pensando a questo antico passato, ma lo considerererà come una frazione di momenti, prima del giorno del dopo. Sarà un po’ come se tutti noi non fossimo mai esistiti. Eppure, rientrati nel ciclo naturale dell’energia, molto probabilmente esisteremo ancora, in forme diverse, ma senza più la combinazione senziente che ci rende ciò che siamo. Senza più un semaforo a fermare il nostro moto.

Christian Roccati
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