MENU

6 Aprile 2015

Uncategorized

Di Bussole e di Vento

Una mattina come tante a sentire il vento che fischia, rimbalza, porta lontano sogni e spera nel ritorno di pensieri.

ALPINISMO canali rocca del Lago 3

Quest’oggi ho letto un’opera che richiama esattamente il mio stato d’animo nel suo titolo: “Di Bussole e di Vento“, (1995), della poetessa Graziella Parra. Dentro essa però, ho trovato un passato molto diverso dal mio oggi, che struggente m’ha rivoltato di potenza e nuvole.

cop

Questa raccolta conclude la trilogia iniziata con “Dalle vetrate a mare” (1992) e proseguita mediante “Dove il sole è una sirena” (1993). Il grande padre blu, elemento comune e filo conduttore, prima motivo di speranza, resta una scintilla conscia e consapevole, che canta una storia, trasfigurandosi in un confine, statico. L’autrice stessa ne riferisce come “il momento della riflessione e dei bilanci, forse della rinuncia”. Si traduce il “soccombere del mare” con la vita che “inchioda l’uomo alla terra e lo lega strettamente con i vincoli del dovere”.

Graziella Parra di origini fiorentine vive in Liguria e si è distinta negli anni per le sue qualità letterarie, trasduzioni di sensibilità umana. Ha vinto e si è classificata in numerosi premi nazionali e internazionali di poesia e le sue opere sono state tradotte in francese.

In questo libro si avvertono note dolci e tristi, a tratti plumbee o cineree, funeree, con la tremenda accettazione di ciò che non può essere. La terza di tre opere per volare al termine di cinque epoche: rifiuto, rabbia, contrazione, depressione, accettazione.

Il volume si apre con la citazione de “L’utopia della pazienza” di Giusi Verbaro Cipollina che parla de “…l’inganno del suo filo di memorie” riferendosi alla tela di Penelope che attende Ulisse. Questa è forse la chiave di lettura che l’autrice vuole darci, seduta accanto a noi, leggendo di qualcun altro, prima di voltarsi e iniziare a raccontare. Ogni cosa è già svelata, chiara, pronta per esser condivisa.

La prima parte della raccolta giunge di soppiatto, con tenui tinte che ci portano ai ricordi, ai colori, dall’adolescenza, ai momenti di speranza possibile, dallo scorrere del tempo al peso dell’introspezione consapevole che giunge persino a riva, cantato quasi dalla risacca.

Le figure potenti evocate nell’ouverture si evolvono tra la bellezza dei ricordi nelle pianure, frenate da un pedale. Vengono usati i suoni per evocar sensazioni: catene al vento che cigolano, come perni d’acciaio, e ancora la speranza che torna nell’auspicare una pioggia che cancelli i ricordi, come se ciò che fu, dimenticando, non fosse mai stato.

Citazioni di Hidalgo suggeriscono la disperazione che si avvia all’alba e non più al tramonto, diventando porzione dell’esistere. I versi si fanno sempre più potenti ed è la voce della penna che pare urlar in faccia al lettore, che è niente altro che lo specchio della propria realtà. Ciò che dici a voce alta si fa materia e non puoi più ritrattare. Diventa tempo.

La tenerezza sempre presente veleggia sul ciò che la poeta vorrebbe dire al suo amato la notte, quand’essa ha impacchettato i raggi di luce e i sogni si dispiegano come carte da gioco, senza far rumore seguendo i movimenti delle tenebre che si fanno d’ovatta. Giocatrice inesperta si definisce.

E il secondo atto su questo palcoscenico cresce e cresce ancora, usando equazioni impazzite d’infelicità e chiavistelli al destino. Si conclude con l’arrivo della notte e delle memorie.
Vedo questo momento come il volo di una penna nera che dipinge d’inchiostro buio sulle tenebre: nessuno vede eppure avviene. E’ un istante di epoche antiche, oramai esistito quattro lustri or sono, che non si cancella, come se si svolgesse ora e in eterno. E’ una mano sola che analizza la sua stessa storia, in realtà in compagnia nostra adesso, e perciò già allora, in un laccio oltre il verificarsi temporale in quel lontano momento venti anni fa.

Ancora un atto e una sorta di apertura, ma solo apparente. Nella poesia “Doppia incarnazione”, il simbolismo si fa decisamente meno ermetico, benché già chiaro, e più forte. “Partire per l’opposta direzione e rimaner la stessa, soltanto per finzione”.
La direzione del desiderio è quella citata, legata al “rimandar l’unione all’infinito”. Se ricordassi Tommasi di Lampedusa lo farei a sproposito. Qui il sentimento è chiaro, l’abbiamo provato tutti almeno una volta, anche se qui è della vita stessa che si parla, di una esistenza intera che va a sud quando sogna il nord e il vento ne è testimone.

La penna continua, quasi i versi si adagiano, come se non vi fosse stata dichiarazione o forse proprio perché s’è verificata; tensione che s’abbassa dopo un orgasmo al contrario che lascia “refrattare” il respiro, e per un attimo è quiete, o quasi, come la pallina che galleggia per una frazione di secondo prima di ricadere attratta al suolo.

Inizia quindi la tristezza per colui al di là del mare, per “la vita stuprata di parole” che “ammutolisce e muore di silenzio”. Son descritti i muri del cuore e le maschere di ferro, che nessuno ha visto tranne gli dei, unici astanti, divertiti dai fuochi fatui di questa intensa storia.

Il turbinio continua; la speranza e il conteggio dovrebbero giungere dopo l’accettazione eppure la natura si avvicenda e il sole salpa cogliendo, ben sopra i fazzoletti spiegati per l’addio in una casa da abbandonare, il dolore e la sconfitta, molto più in alto del volo di aquile rapaci. Il sole dona la possibilità di un “forse” nel cantuccio in cui ancora può esserci vita.

Ed essa è ferma, attende, mentre i piccoli uomini scendono da ripidi pendii in bicicletta, come fanno le creature che spiccano il volo. “ripida estate, estate con le ali”.

Christian Roccati
SITOFACEBOOK