Mario Merelli, celebre alpinista bergamasco, è morto questa mattina intorno alle 8, dopo essere precipitato dal Redorta, sopra Valbondione.
Al momento dell’incidente Merelli stava scalando con l’ex presidente del Cai di Bergamo Paolo Valoti, col quale a fine anno aveva effettuato un concatenamento sulle Orobie.
La tragedia si è verificata nel momento in cui un macigno al quale l’alpinista si è aggrappato per arrampicarsi ha ceduto; Merelli ha perso l’equilibrio ed è precipitato per trecento metri da una parete della Punta Scais, nelle Alpi Orobie.
Il suo corpo è stato recuperato, con l’aiuto di un elicottero del 118.
Merelli, 49 anni, è stato avviato alla montagna dal padre Patrizio, guida alpina. Nella sua carriera alpinistica ventennale ha effettuato numerose ascensioni sulle principali montagne italiane ed europee, con importanti spedizioni extraeuropee e molti Ottomila conquistati tra cui l’Everest (2 volte), Makalu, Kangchenjunga, Gasherbrum I, Shisha Pangma, Annapurna, Broad Peak, Lhotse, Dhaulagiri.
Nato a Vertova il 2 luglio 1962, risiedeva a Lizzola, con la moglie sposata due anni fa.
A poche ore dalla disgrazia, rendiamo noto anche il saluto del CAI di Bergamo, la sua sezione, al grande amico alpinista:
“Un grande alpinista e figlio della terra bergamasca che ha realizzato numerose imprese di eccellente valore sportivo e umano, riconosciuto, a pieno titolo, nella storia dell’alpinismo dalle Orobie alle più alte montagne del mondo.
Preparazione e caparbietà, coraggio e prudenza, onestà e lealtà, altruismo e solidarietà sono qualità umane che costituiscono il suo puro stile alpino per scalare i ‘pilastri del cielo’.
Queste qualità umane, concreto esempio di comportamento etico e sociale di alto significato culturale, sono luce e traccia sicura per ogni giovane della nostra comunità.
Grazie MARIO, uomo giusto, amico autentico e insuperabile alpinista di grandi imprese per la vita”.
Pubblichiamo anche una delle prime testimonianze uscite sulla rete, quella di Marco Confortola:
“Oggi, ho appreso la notizia dal mio caro amico Gnaro, della prematura scomparsa di Mario Merelli, forte alpinista Bergamasco di Lizzola. Di lui ho il ricordo della mia prima spedizione nel 2004 Everest/ K2 e successivamente nel 2005 al C.B. Dello Shisha Pagma, insieme ancora nel 2006 al C.B. Del Lhotse ed al colle Sud nel 2008, lui per la conquista del Lhotse e noi (Gnaro , Miky Enzio ) per montare la stazione meteorologica CNR Colle Sud. Ci mancherai molto, per il tuo entusiasmo, per la tua bontà d’animo e per la passione che mettevi nella tua immensa voglia di scalare. Ti abbraccio forte Mario, con sincera amicizia Marco”.
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Profondamente colpito dalla tragedia di oggi sul Redorta con la scomparsa di Mario Merelli esprimo alla Moglie, alla Famiglia e a tutta la Comunita Alpinistica Bergamasca il mio piu’ sentito cordoglio. All’ amico carissimo Paolo Valoti coinvolto nell’incidente alpinistico tutta la mia solidarieta’, vicinanza fraterna in questo difficile momento.
Piergiorgio Repetto
Ho avuto la fortuna di incontrare Mario Merelli, un umile maestoso gigante dei “giganti” della montagna. Aveva scalato 10 dei 14 ottomila della Terra, aveva il fuoco dell’alpinismo nelle vene ma possedeva anche la misura delle cose. Soprattutto aveva un grande rispetto della paura, preziosissima sempre, per evitare rischi. La montagna se l’è portato via nonostante questo decisivo bagaglio di fondo, che gli aveva consentito traguardi accessibili solo ai veri grandi. A me pareva un’aquila, non so fino a quale quota si spingono le regine delle cime, ma lui simbolicamente possedeva tutto dell’aquila: la forza, la resistenza, la caparbietà, il sacrificio, e come l’aquila si inebriava di ogni vetta raggiunta. Lui rideva puntuale con il suo fare schietto e scanzonato, tirandosi dietro a lungo il sorriso, poi opponeva un immancabile “no, dai, non esagerare…”.
Quando ti stringeva la mano era come una morsa d’acciaio. L’ho avuto ospite di dirette alla radio, l’ho raccontato in interviste: era di una disponibilità che oggi è virtù da portare in una riserva. Parlava delle sue conquiste svestendole ogni volta dei toni dell’eccezionalità e della retorica, molto facili nel mestiere del giornalista. Apriva il cuore, parlava semplice, narrava con lo stupore dei bambini, affascinato da ogni nuova emozione. Per me era un capolavoro di umanità, che si commuoveva parlando delle crostate di sua mamma e arrossiva accennando alla donna e alpinista diventata sua moglie. Mi lascia con uno squarcio affettivo.
Giuseppe Zois, giornalista