Anche oggi ho camminato, con mente piena di passi. Nelle ultime 24 ore ho incontrato persone che fecero parte della mia esistenza, più che della mia vita. Sembra che il tempo abbia avuto velocità diverse per noi; molte teste e un unico grande muro invisibile a proteggerle dal nulla creato sul niente.
Ho avvertito la loro paura dell’uomo nero, così oscura da coprirsi con terrificanti vestiti dell’imperatore. Ancora ora fatico a liberarmene, pur essendo un sentiero non mio, che non ho mai perseguito, né mai ricalcherò.
Anche oggi la grande ed effimera illusione è rimasta al suo posto.
Ricordo Platone: l’arte come copia di copia della natura.
Eppure questa mattina è così che mi sono svegliato. Direttamente alla definita copia, in vero, reale verità.
In una versione semplice, che necessiterebbe un confronto in nota, potremmo asserire che Platone indicasse l’esistenza dell’idea di un albero perfetto, ad esempio. La natura cerca di replicarlo, ma otterrà sempre versioni dissimili rispetto a quello prospettato. L’artista che riproduce un’opera copiando l’albero che vede, ne rappresenta una versione a sua volta imperfetta.
Un quadro di una pianta è quindi una copia su tela di un qualcosa che imita qualcos’altro.
Quando ritorno a casa, in queste vallate, passo prima sotto le grandi torri di cemento e metallo, che riproducono effetti naturali, a loro volta copia imperfetta di un’idea. Forse potrei azzardare la società stessa come l’imitazione corrotta di qualche cosa di esistente, a sua volta una versione errata di qualcos’altro.
Ed ecco la cagione del vuoto che avverto confrontandomi con chi ha vissuto un tempo differente. Forse è un assintoto… probabilmente non può esistere una società ideale, perché sarà solo rapprasentazione incrinata di qualcosa che già lo è, la natura umana.
Può esistere equilibrio?
Si. Non son d’accordo con Platone infatti. Non c’è alcuna idea di albero, perché quello è solo un nome che abbiamo affibbiato noi piccoli uomini a una ipotetica creatura in miliardi di miliardi di possibilità. Abbiamo scattato una foto a una folle cometa in trasformazione e l’abbiamo soprannominata “cane”, “daino”, “lucertola”, “abete”, “orchidea”. Niente di tutto questo esiste se non nella nostra incomprensione di un rapporto spazio temporale.
Esistono solo cellule e la coevoluzione delle stesse, perenne. Esistono colori che si mischiano e forme a cui noi diamo una denominazione, un’interpretazione. Nulla più.
L’arte è il diritto concessoci da noi stessi a dichiarare la comprensione di una forma, cioè il dare un nome a un momento, alla morfologia di quell’insieme di cellule in evoluzione in questo istante. L’arte è il nostro diritto a esistere, la nostra firma, il nostro guizzo oltre l’acqua per una sola frazione.
Arte è il nostro grido nel nero nulla infinito, che afferma che moriremo per sempre, ma in questo preciso frame, siamo esistiti.
Anche oggi ho camminato… ho incontrato persone e sono esistito.
Esisto ergo esisto.