E’ difficile parlare di uno di noi caduto in montagna. Specie a “bota calda”, come si dice in Veneto. O si esagera con il “santo subito” o non si sa cosa dire, cosa pensare. Una cosa è certa. Non ci sono più lacrime. E diventa difficile sopportare la pur bella Montanara, cantata in Duomo. È terribile sentire le note tristi, seppur sublimi, di Signore delle cime che portano alla memoria giorni tragici e dolorosi per me che ho perso il cugino/fratello Mario sul Pelmo, il cugino/fratello Giuliano detto “Bill” per cause di montagna, l’amico carissimo Angelo Ursella sull’Eiger e almeno altri otto amici che sono diventati altrettanti funerali.
Non ho pianto il 10 giugno 2009 al funerale di Giuliano De Marchi, non voglio più piangere. Sono diventato vecchio e arido? Forse, ma non voglio più piangere e basta! L’alpinista sa che potrebbe non tornare più dalla sua montagna, sa che potrebbe morire – e dovrà morire anche lui, mica è più fortunato degli altri -; l’alpinista è consapevole, è allenato alla disgrazia, forse “cerca” di finire il suo transito terreno fra i monti, quindi perché piangere se lui è sereno…?
Nel duomo di Belluno, pieno fino a scoppiare, abbiamo dato l’ultimo saluto a Giuliano De Marchi, medico e alpinista, accademico del Cai, membro della Giuria del “Premio Pelmo d’oro”, uomo e amico dal cuore sincero, altruista di razza. Ha avuto un incidente sul “suo” Antelao, il re delle Dolomiti. Re cattivo con uno dei suoi sudditi più fedeli? No! L’Antelao, per quanto bello e austero, è solo materia senza anima, quindi non può essere né cattivo, né buono. È indifferente, non gliene frega niente di noi umani che ci ostiniamo a salire sui suoi fianchi.
Giuliano era solo, saliva con gli sci, o forse scendeva non si sa, per un canalino nevoso che in fondo è stretto a imbuto. Qui ha battuto la testa, il casco non c’era, forse è volato via nella caduta, forse non c’era proprio che importanza ha… Tutte congetture, tutti misteri che resteranno tali per sempre. L’unica cosa certa è che Giuliano, nato a Conegliano Veneto e residente da molti anni a Belluno, non c’è più.
Giuliano De Marchi si affaccia all’alpinismo a soli sei anni salendo in vetta alla Marmolada. Approfondisce gradualmente la conoscenza dell’ambiente montano attratto anche dagli aspetti naturalistici e salendo, da adolescente e spesso da solo, molte cime dolomitiche e prealpine.
Ha al suo attivo un migliaio di vie alpinistiche sulle Alpi e su altre montagne del mondo, molte di elevata difficoltà. Ha salito tre Ottomila e altrettante volte ha superato quota 8000, sfiorando di poco la vetta, rinunciando per portare incredibili soccorsi a compagni in difficoltà. In Karakorum ha salito due cime vergini, poi due 6000 mila in Nepal, ma la sua attività ha spaziato dalle montagne del Canada e degli Stati Uniti a quelle dell’Africa, della Bolivia, del Perù. Sul McKinley in Alaska ha fatto cose eccelse anche di recente, così in Patagonia e altrove.
In Dolomiti, il suo regno preferito, ha tracciato una settantina di vie nuove su Pelmo, Civetta, Bosconero, Spiz di Mezzodì e altre minori.
Non ha mai disdegnato l’arrampicata solitaria che considerava un’occasione di ricerca personale e un momento di raffinata sintesi tra mente, corpo e mondo minerale.
In prima invernale ha salito il Pilastro Fiume al Pelmo e lo Spigolo Nord dello Spiz di Mezzo. Nell’ambito dell’alpinismo di ricerca è stato artefice della riscoperta e della ripetizione integrale, assieme al fedele compagno di cordata Alessandro Masucci, della via aperta nel 1910 da Gabriel Haupt e Karl Lömpel sulla parete nord ovest della Civetta in cui furono superate difficoltà paragonabili alla vicina e più famosa via Solleder-Lettenbauer.
Il Monte Bianco lo ha visto protagonista di grandi ascensioni su roccia e su ghiaccio, così come il Cervino salito per la parete nord.
Il Cai lo ha avuto nella Commissione Centrale Medica, il CNSAS lo ha apprezzato quale affidabile e prezioso elemento, il Festival di Trento lo ha visto collaborare in parecchie occasioni, di Mountain Wilderness è stato socio fondatore, il “Premio Pelmo d’Oro” se lo è tenuto stretto quale impareggiabile mediatore e saggio proponente.
Di De Marchi si potrebbero dire altre mille cose, ma tacere è meglio per non disturbare la sua innata modestia. Sarà bello ricordarlo sorridente, tranquillo, sornione, un po’ sulle nuvole… forte e caro.
Anche per questo ho deciso di non piangere più!
Italo Zandonella Callegher
11 giugno 2009