Successe tutto a Savorgnano di San Vito al Tagliamento, piccolo centro agricolo allora in provincia di Udine. Erano le ore 20 di sabato 2 gennaio 1909. Un freddo cane gelava i pensieri, quel gelo che puoi sentire solo nelle campagne umide della pianura padana, quello che ti penetra sotto il cappotto e sale lungo il filo della schiena.
In casa di Valentino Cassin e di Emilia Battiston le finestre erano chiuse, ma non ermetiche – nessuna finestra era ermetica a qui tempi – e i pochi passanti sulla viuzza sentirono dei rumori strani. Prima un vagito, poi un pianto liberatorio, infine un serafico ruggito.
Era nato un leone di montagna. Era nato Riccardo Cassin, friulano doc.
«Per ragioni familiari non ho avuto la fortuna di poter studiare. Mio padre è morto quando avevo solo quattro anni e perciò, finita la quinta, ho avuto subito bisogno di lavorare per essere di sostegno alla mamma e alla mia famiglia. A 17 anni mi sono trasferito dal Friuli a Lecco e lì ho iniziato ad andare in montagna e ci vado tutt’ora.» Così Riccardo nel 1991 al 31° Incontro Alpinistico Internazionale al Festival di Trento.
La famiglia si trasferì a Lecco nel 1926 e Riccardo, ancora un ragazzino, trovò lavoro come muratore presso la ditta Possenti. In città c’era un circolo sportivo, il Nuova Italia. Si iscrisse nella dura disciplina dei pugili, sostenne una cinquantina di incontri, vinse più di trenta. Poi nel 1929 attaccò i guantoni al chiodo, aveva solo 20 anni e una vita diversa davanti.
E fu proprio nel 1929 che compì la sua prima scalata, la Guglia Angelina nella Grignetta, salita la prima volta dal cadorino Umberto Fanton con Arturo Andreoletti il 28 maggio 1911.
Nel 1931 conosce una arrampicatrice, si chiama Maria Pellegrino Gennaro, alias Mary Varale (nel 1937 sposerà il celebre giornalista Vittorio). Tracciano la via Mary sulla Guglia Angelina.
Mary era nata a Marsiglia nel 1895, quindi aveva quattordici anni più di Riccardo. Inizia ad arrampicare non più giovanissima nel 1925. Fino al 1935 scala 217 montagne, in cordata e da sola. Lo stesso 1935 si dimette dalla Sezione di Belluno del CAI «in seguito alla mancata concessione da parte del CONI, che agisce su proposta del CAI, delle medaglie al valore atletico… concesse ad altri alpinisti a suo parere meno meritevoli.» Presso la Biblioteca Civica di Belluno si può leggere la lettera autografa del 20 luglio 1935 con la quale Mary Varale rassegna le dimissioni: «In questa compagnia di ipocriti e di buffoni io non posso più stare, mi dispiace forse perdere la compagnia dei cari compagni di Belluno, ma non farò più niente in montagna che possa rendere onore al Club Alpino dal quale mi allontano disgustata anche per una ingiustizia commessa col rifiutarmi un articolo».
1933, anno della svolta tecnica, dell’apprendimento dell’eleganza, della gioia di arrampicare. Conosce Emilio Comici, espressione di grazia e abilità eccezionali. Cassin lo chiama Maestro e afferma di non aver mai visto nessuno arrampicare con tanta apparente facilità e con tanta leggiadria. Con lui e Mary Varale sale la ovest dello Zuccone di Campelli in Valsassina. Il 16 agosto 1933 ecco il primo incontro con le Dolomiti: prima ripetizione della via Comici sulla parete ovest della Torre del Diavolo nei Cadini di Misurina.
In Grigna apre, lo stesso anno, una difficile via sulla sud del Sasso Cavallo poi in autunno la via del Littorio sulla Torre Costanza.
Il 1934 lo vede attivo sulla Torre Cecilia in Grignetta, sul Nibbio Settentrionale, sulla dura via Campione d’Italia, sul Pizzo della Pieve, quindi sullo spigolo nord del Cimone della Bragozza.
Il giorno di ferragosto del 1934 è nuovamente in Dolomiti, sul Popéna Basso (Cristallo); il 17 cede la Piccolissima di Lavaredo, il giorno dopo lo Spigolo Giallo e il 20 e 21 agosto realizza la decima ripetizione della via Comici alla nord della Cima Grande di Lavaredo.
Nel 1935 ripete un’altra classica di spessore, la seconda ripetizione con variante della via Comici-Benedetti sulla parete nord ovest della Civetta. A ferragosto (dal 15 al 17) compie, con Vittorio Ratti, uno dei suoi capolavori: la prima dello spigolo sud est della Torre Trieste. Dal 28 al 30 agosto realizza un’impresa storica: con Ratti sale la parete nord della Cima Ovest di Lavaredo.
Un’altra impresa incredibile, fra l’altro frustrata dal maltempo, viene realizzata dal 14 al 16 luglio 1937: la prima assoluta della parete nord est del Pizzo Badile (con Ratti, Esposito, Molteni e Valsecchi). I comaschi Molteni e Valsecchi moriranno di sfinimento durante la discesa lungo la Normale.
Cassin risolve brillantemente anche il problema dello Sperone Walker alle Grandes Jorasses salendolo con Esposito e Tizzoni dal 4 al 6 agosto 1938.
Nel 1939 apre due vie importantissime: spigolo est del Gölem (Alpi Orobie) e la parete nord est dell’Aiguille de Leschaux (Monte Bianco).
Nel 1940 si unisce in matrimonio con la dolce Irma Ceroni dalla quale avrà tre figli maschi, una montagna di affetto e, soprattutto, tanta pazienza e comprensione.
La Prima Sorella del Sorapìss lo vede impegnato l’8 agosto 1947 su una via nuova, mentre il 10 è con Carlo Mauri sul vergine spigolo sud est della Torre del Diavolo sopra Misurìna.
Il 9 luglio 1950 eccolo rifarsi le unghie sulla via Kaiser-Lehmann al pilastro nord ovest del Pizzo Cengalo; è la terza ripetizione. Il 17, con Mauri, compie anche la terza ripetizione della Ratti-Vitali sulla parete ovest dell’Aiguille Noire de Peutérey.
Nel 1953 parte per una ricognizione al K2 assieme ad Ardito Desio; resterà lontano dalla sua Irma due mesi esatti. Naturalmente spera di far parte della spedizione del 1954, ma gli esami medici fatti a Roma sono di tutt’altro avviso: viene scartato. Gli trovano il cuore spostato, le varici alle gambe, il fegato ingrossato e altre amenità sul tema del “sei un uomo finito”. La nostra gloria nazionale, il nostro più forte alpinista, all’improvviso diventa un caso clinico. Quello che il CAI voleva come capo degli alpinisti è “sano solo al 60%”, dicono a Roma dopo una seconda visita. Nessuno ci crede. Cassin non fa polemiche; si dimette dalla Commissione K2 e basta.
Dal 1955 al 1957 porta a termine importanti ripetizioni al Torrione Est del Monte di Zocca, la traversata integrale della Costiera di Sciora, la nord del Roseg, la sua via al Badile, la nord del Disgrazia.
Nel 1958 guida la spedizione del CAI al Gasherbrum IV, quasi un 8000, che viene salito il 6 agosto da Walter Bonatti e Carlo Mauri e nella quale ci sono anche Bepi De Francesch, Maraini, Gobbi, Oberto e Zeni. Il giorno prima Riccardo sale da solo sul Gasherbrum III lungo la cresta nord giungendo a 7350 metri. Al Festival di Trento, che allora si teneva in autunno, la spedizione fu ricevuta trionfalmente alla Stazione Ferroviaria da tutta l’organizzazione del Festival e dalle massime autorità cittadine. I protagonisti – elegantissimi dentro raffinati abiti sartoriali – furono accompagnati in pompa magna da due ali di folla festante con le torce in mano. Una fiaccolata quale Trento non aveva mai visto nemmeno durante il passaggio della Madonna Pellegrina.
Nel 1959 ripete la via Vinci alla nord del Ligoncio (Masino-Bregaglia).
Cassin è capo di una forte spedizione di lecchesi nel 1961; obiettivo il McKinley in Alaska. Gli alpinisti Cassin, Airoldi, Alippi, Canali, Perego, Zucchi giungeranno in vetta il 19 luglio dopo aver tracciato una difficile via nuova lungo lo sperone centrale della parete sud.
Si dice: “l’assassino non torna mai sul posto del delitto”. Siccome non di delitto si tratta, ma di opera d’arte, nel 1962 Cassin ripete, a 53 anni suonati, la sua via sulla parete nord della Cima Ovest di Lavaredo.
Il Monte Elbrus e il difficile Ushba lo vedono in vetta nel 1966 con una piccola squadra di accademici, mentre nel 1969 vola fino alle Ande Peruviane dove il 6 luglio, con una forte compagine, realizza la prima ascensione della parete ovest dello Jirishanca.
Nel 1971 ripete la nord est del Pizzo Badile per la seconda volta; in questa occasione con lui c’è il figlio Pierantonio con Pino Negri e Mario Conti. Non può permettersi differenze con le sue creature, perciò nel 1972 sale per la seconda volta anche la sua via alla Cima Ovest di Lavaredo.
Il 1974 lo vede in ricognizione alla parete sud del Lhotse, 8501 m, in Himalaya, con Roberto Sorgato. L’anno dopo Riccardo parte con la sua spedizione per il Lhotse, Roberto resta a casa. La spedizione, una quindicina di alpinisti, è avversata dal cattivo tempo e da valanghe. Qualcuno raggiungerà “solo” quota 7500.
Alla bella età di 77 anni, siamo nel 1986, Cassin vuol provare il brivido dell’arrampicata sportiva e va a scalare in Val di Mello, rimanendone entusiasta. Quando nel 1988 si trattò il tema Immaginiamo l’alpinismo del 2000 ad una tavola rotonda del Festival di Trento, Riccardo intervenne dicendo: «L’arrampicata sportiva è una cosa meravigliosa, se avessi l’età la farei certamente anch’io.»
A quei tempi molti guru della montagna, i puritani, i talebani della roccia, quelli legati ad una personale visione della scalata erano vivacemente contrari all’arrampicata sportiva, considerata il regno del peccaminoso in termini etici; insomma, era la morte dell’alpinismo. Alle parole di Cassin qualcuno fu lì lì per stracciarsi le vesti e poi svenire. L’arrampicata sportiva continuò sulla strada dell’evoluzione.
Nel 1987, alla verde età di 78 anni, ripete ben due volte la sua grande via alla nord est del Pizzo Badile; festeggia a suo modo il 50° della prima salita.
In una vecchia “scheda degli ospiti” del TrentoFilmfestival si legge: “Riccardo Cassin, nato il 2 gennaio 1909, professione Commerciante, ha incominciato ad arrampicare a 17 anni nel 1926, socio del Club Alpino Accademico Italiano, Membro onorario attivo del GHM francese, del Club Alpino Svizzero, dell’Alpine Club Americano, del GAM, della Federazione Spagnola di Alpinismo, della Federazione Alpinistica Russa, Consigliere Centrale del CAI, Presidente della Sezione di Lecco del CAI, collaboratore di riviste di alpinismo di tutto il mondo, autore di libri” (Dove la parete strapiomba, La sud del Mckinley, altri in seguito)”.
Era solo il 1976 e tante cose dovevano ancora succedere.
Insomma, se l’alpinismo prevedesse la categoria dei santi, Cassin dovrebbe entrare nella lista privilegiata del “santo subito”. E subito gli giungano i nostri affettuosi auguri.
Italo Zandonella Callegher