Indignarsi, oggi, è diventata molto più che una semplice parola.
In un periodo di crisi generalizzata, economica, sociale, politica, culturale che reca con sé un serpeggiare di valori negati e screditati, questa parola evoca un coraggio reale, testimoniato da frasi e gesti concreti. Il traboccare del vaso che finalmente si è riversato sulle piazze, in rivoli di proteste che diventano fiumi in piena, in una voce alzata a difendere e rivendicare i diritti di ciascuno. Anche di chi non può parlare e ha bisogno che qualcun altro lo faccia al posto suo.
Non sempre ci si pensa e quasi mai rappresentano una priorità, viste le enormi emergenze irrisolte e le clamorose ingiustizie che travagliano il mondo, ma anche i luoghi hanno un bisogno continuo di vedersi riconosciuti alcuni diritti.
Boschi, prati, laghi, coste, vette rocciose e profondità oceaniche, case ed edifici che formano paesi e città, necessitano di aiuto affinché non vengano calpestati, oltre al suolo e strade, anche la loro sopravvivenza, la difesa dei loro confini e della loro memoria.
Devono parlare le persone che sentono di appartenere a questi luoghi, per un affetto che non è legato solamente ai natali, ma è corrispondenza di senso, significato, di amore ricambiato. Perché la gente si affeziona ai luoghi quasi come alle persone. E indignarsi anche per un albero o una casa, dialogare, scrivere, scontarsi per le piccole e grandi questioni può contribuire a cambiare le cose, a fare qualche passo avanti qualsiasi sia la direzione.
La questione ecologica, il rispetto e la difesa dell’ambiente si intrecciano molto spesso con la testimonianza storica e affettiva di cui i luoghi mostrano i segni, e con la conseguente protezione, il recupero, la salvaguardia delle loro caratteristiche originarie, naturali, o dei loro manufatti e insediamenti storici. Un patrimonio di bellezze che va amato e conservato, al quale guardare con occhi diversi, premurosi, in nome di un’etica che lo indichi come un insieme di diritti e doveri da comprendere e rispettare. Anche a costo di dure battaglie, come quella che i NO-TAV combattono ormai da anni in Val Susa.
Un luogo che oggi, grazie agli attivisti e alla gente del luogo, urla e si fa sentire a gran voce. Il progresso deve andare avanti, lo dice la parola stessa, bisogna avere guadagno in termini di sviluppo, velocità, sfruttamento di risorse, convenienza economica, soldi. Le comodità e le indubbie potenzialità fornite dalla tecnica avanzata dell’uomo sono di utilità universale, ma perché non ci si ferma mai a pensare a tutto il resto? Perché l’umanità e i suoi interessi devono avere la precedenza su tutto? E se il mondo non fosse antropocentrico come si crede e una montagna, una valle, per una volta almeno, avessero più diritti dell’uomo? Perché questioni del genere non vengono prese in considerazione?
Heidegger nei suoi Holzwege scrisse: “Nell’imperialismo planetario dell’uomo tecnicamente organizzato, il soggettivismo dell’uomo raggiunge la sua vetta più alta”. Questa presa di posizione assunta dall’uomo in favore esclusivamente di se stesso dilaga soprattutto nei paesi cosiddetti avanzati, abitati da persone che, avendo maggiori risorse, possibilità, istruzione e progresso tecnico, potrebbero attivarsi per mettere al riparo non solo se stessi e le persone bisognose di solidarietà e sostegno certamente più importanti e immediati, ma anche i luoghi che li ospitano, dentro ai quali si muovono, vivono, agiscono.
Avviene invece il contrario: in India le vacche sacre non vengono mangiate nemmeno nelle zone più povere per rispetto ad un nómos che trascende la dimensione terrestre, mentre anche nelle realtà molto piccole dell’agiato Nordest italiano accade che il benessere della comunità umana avanzi pretese che distruggono la bellezza di un luogo.
Succede anche a Erto e Casso, borgo incastonato nelle montagne delle Dolomiti friulane, in una zona protetta da un Parco Naturale che ha ricevuto anche il sigillo dell’Unesco nel 2009. Qui, un’amministrazione comunale pur sensibile e attenta ai temi ecologici e all’impegno a favore del paese, come dimostrano l’utilizzo di impianti fotovoltaici e geotermici, la campagna per la raccolta differenziata e il recupero intelligente di alcuni vecchi edifici, in altri casi sembra dimenticarsi, incredibilmente, della storia, della natura, dello splendore dei suoi luoghi e del loro bisogno di cura e protezione.
Le stradine del petroso abitato Casso hanno dovuto lasciare il posto a parcheggi nuovi e allargamenti spaziosi, sacrificate come anche alcuni scorci caratteristici della parte vecchia di Erto, dove la selvatica armonia dei prati e dei boschi sottostanti il paese sono stati sfigurati da una scomoda quanto inutilizzata pista ciclabile, poco rispettosa delle caratteristiche del posto. Per tacere dei cambiamenti imposti ad un edificio di Erto dal profondo valore affettivo, la vecchia scuola elementare, che oggi ospita una mostra pregevole e curata in memoria della catastrofe del Vajont, l’antica custode dell’infanzia di chi d’ora in poi non vedrà più le sue scale di pietra, spazzate via anch’esse in nome del progresso.
Sempre a proposito di scuole di un tempo, quelle di Casso sono state recuperate e rinnovate, ma senza molta considerazione per quella che era la struttura originaria. E, ancora, una piccola discarica è stata costruita nel pieno centro del comune di Erto. Tutte trasformazione necessarie per la pubblica utilità della comunità, comunità umana s’intende. Un altro esempio poco edificante per questo borgo montano che richiama l’interesse culturale e turistico di mezza Italia, è la costruzione di una strada asfaltata per il passaggio di macchine ed altri automezzi in una zona collinare ancora integra e soltanto sfiorata dalla mano dell’uomo.
Nella località chiamata Forcai, appena sopra l’abitato, prati di meli e ciliegi, sentieri costeggiati da cespugli di forsizia e felci, poche casette ristrutturate e ruderi severi lasciati all’agire indisturbato degli anni, guardano giù verso Erto. Sono raggiungibili percorrendo una carrozzabile già esistente e utilizzabile e alcuni brevi sentieri che portano più in alto, in quel che resta di un mondo antico che ora si vuole a forza modernizzare.
E’ un posto piccolo, defilato, quasi sconosciuto. Dove la natura è ancora incontaminata e fa ancora da sfondo quieto alla vecchia vita di montagna, testimoniata dagli insediamenti antichi della gente che un tempo lontano qui allevava animali, coltivava pochi campi in salita, tagliava l’erba, condivideva una vita semplice e rurale, odorosa di fieno e di neve. La rilevanza ambientale, paesaggistica, storica e antropologica è indiscutibile e si mostra agli occhi di tutti, con la sua mite e silenziosa bellezza.Un’evidenza che colpisce non solo chi sta cercando di proteggere questi luoghi e i suoi reperti cercando di farli parlare attraverso interrogazioni, incontri, parole affidate a vari media, ma che purtroppo non basta perché forse nessuno li ascolterà.
Oggi la modernità esige con una voce più potente un’altra strada, asfaltata e comoda per macchine e altri automezzi. E’ stata fortemente richiesta da alcuni residenti attuali dei Forcai e il Comune provvederà a fornirla. Forse in una realtà diversa, nuova e avanzata, la necessità di una strada è reale, non è una questione che si vuole mettere in dubbio. Ma questa storia è l’ennesimo esempio di quanto nessuno, nemmeno stavolta, abbia fatto un passo indietro, si sia fermato a riflettere sulla presenza di un graffio d’asfalto voluto dall’uomo che ferirà uno schivo angolo di terra.
A pensare che un’idea del genere cozza in modo dissonante e assurdo con l’impegno ambientale, la tutela storica di un intero paese, con la localizzazione ai margini di un Parco Naturale appoggiato anche dall’Unesco, e che si scontra inevitabilmente con chi, pur non abitando più lì, conserva il diritto di poter vedervi ancora riflessi ricordi ed echi del passato, di non doverli custodire malinconicamente soltanto nella memoria. Anche perché la memoria di quei luoghi è collettiva, culturale, non riguarda gli interessi privati di poche persone contrarie, opposte alle poche favorevoli.
Il luogo stesso poi, Forcai, non si presta ad interventi di questo tipo, è stato dichiarato Zona Rossa, vale a dire inedificabile, troppo ripido, selvaggio, esposto alle azioni ribelli della natura. Fa parte del suo fascino, ma lo si vuole domare con una strada che rischia di essere troppo in pendenza, troppo all’ombra, troppo ghiacciata d’inverno, troppo inutile, troppo sbagliata.
Questo luogo non può parlare, si difende da solo come può, non si esprime se non attraverso la morfologia scoscesa dei suoi pendii, i rischi di frane e valanghe, l’ombra e il ghiaccio invernali. Ma l’uomo non è cieco o incosciente e questi pericoli dovrebbe tenerli in considerazione. Non è muto e con questo luogo potrebbe dialogare, con la mediazione di chi lo vuole difendere, magari anche litigandoci, ma trovando una soluzione pacifica e vantaggiosa per tutti. E se una delle zone più caratteristiche di questo paese deve essere per l’ennesima volta violata in nome dell’utilità e del progresso, bisogna tenere in considerazione che esistono quanto meno delle alternative meno devastanti e favorevoli alla tutela ambientale.
Sarebbe possibile realizzare una strada più corta, più soleggiata, meno invasiva, grazie ad un progetto maggiormente sostenibile in termini di soldi e impatto ambientale. Il progetto attuale invece prevede, oltre al deturpamento delle bellezze naturali, del sentiero erboso che pare essere uscito dalla Terra di Mezzo, dove gli alberi sembrano farti l’inchino, e dei prati che in estate si riempiono di botton d’oro accarezzati dal vento, l’innalzamento di un mostruoso muro di sostegno della strada che ne attenui il dislivello. Con la conseguenza di una possibile compromissione della stabilità delle costruzioni e delle abitazioni e la distruzione anche di buona parte dei sentieri CAI che passano di lì, battuti dagli escursionisti amanti di una montagna ancora autentica.
Una montagna che, come migliaia di altri luoghi silenziosi della terra, deve poter parlare di sé attraverso un approccio diverso, ecologico, globale sì, ma nel senso di una connessione armonica fra gli esseri viventi e i territori nei quali vivono. In nome di un interesse finalmente comune, di un crescente bisogno di creare consapevolezza, coscienza ambientale, amore per territori, paesi, città.
Bisogna ricominciare a guardare con gli occhi tutelari del genius loci, tendere una mano verso un ramo, un filo d’erba, un muro di mattoni, in difesa dei diritti dei luoghi senza voce. Perché il progresso e la tecnica sono fondamentali per la sopravvivenza, ma lo sono anche la memoria e la cultura. Nella sua Antigone Sofocle celebra le scoperte umane grazie alle quali “l’uomo muove incontro al futuro senza essere mai privo di risorse”.
Ma non può rischiare di lasciare il mondo da solo, in balìa del nostro essere umani, troppo umani.
Melissa Corona
Tags: Ambiente, Ambiente e Territorio, difesa dell'ambiente, ecologia, Erto e Casso, experience, Forcai, luoghi, Melissa Corona, memoria, No-Tav, opere pubbliche, Parco Naturale Dolomiti Friulane, progresso, terre