Iniziando dalle 4 carote di ghiaccio, 3 sono lunghe 75 metri e una è lunga 60 metri, estratte dal ghiaccio dell’Ortles/Oltler, un monte di 3.905 metri nelle nostre Alpi Retiche, un team, di ricercatori dell’università di Ca’ Foscari di Venezia, del Cnr, svizzeri e tedeschi e da esperti di Austria, Russia ed Usa, spera di realizzare un archivio dei cambiamenti climatici e ambientali verificati durante molti secoli nella regione.
Il bollettino scientifico dell’Ue Cordis sottolinea che «Se gli scienziati saranno fortunati, questi carotaggi nel ghiaccio potrebbero persino contenere segreti risalenti a mille anni fa. Il team spera inoltre che le carote contengano residui delle prime attività umane nella regione, come i sottoprodotti atmosferici della fusione dei metalli».
Si tratta del primo progetto a lavorare con carote di ghiaccio recuperate nelle Alpi Orientali e che punta a restituire «Un’immagine molto più chiara dei cambiamenti climatici in questo angolo di Europa».
Cordis spiega che «Le carote di ghiaccio che il team sta studiando sono importanti; gli scienziati in precedenza ritenevano che il ghiacciaio si trovasse ad una quota troppo bassa per contenere ghiaccio sufficientemente freddo da conservare un chiaro registro del clima. Anche se la parte superiore delle carote, circa un terzo della lunghezza totale, mostra che l’acqua sciolta è filtrata verso il basso, forse alterando i valori, i rimanenti due terzi delle carote contengono ghiaccio inalterato da cui il team di ricerca dovrebbe riuscire a recuperare una storia del clima».
Una precedente ricerca aveva dimostrato che, negli ultimi 30 anni, nell’area c’è stato un incremento delle temperature estive a quote elevate, che ha raggiunto i 2 gradi Celsius. Nonostante lo scioglimento del ghiacciaio dell’Ortles, i ricercatori sperano di trovare nella parte superiore dei carotaggi testimonianze, a partire dagli anni ’80, e poi a ritroso nel tempo per molti secoli.
Il capo della spedizione Paolo Gabrielli, dall’università statunitense dell’Ohio, sottolinea che «Questo ghiacciaio sta già cambiando dalla cima verso il basso in modo irreversibile. Sta mutando da un ghiacciaio “freddo” in cui il ghiaccio è stabile a un ghiacciaio ”temperato” in cui il ghiaccio si può degradare. L’intero ghiacciaio potrebbe passare a uno stato temperato entro il prossimo decennio o poco più».
Cambiamenti imminenti nelle temperature che rendono ancora più importante prelevare in tempi brevi le carote di ghiaccio, altrimenti si rischia di perdere i preziosi dati d sul passato climatico ed ambientale che contengono.
L’Università Ca’ Foscari evidenzia che «In base ai modelli climatici, il ghiaccio nelle carote che si è formato durante le scorse estati traccerà probabilmente un’immagine del clima del passato in un’area vicina alla montagna, in un raggio forse tra 10 e 100 chilometri. Ma il ghiaccio formatosi durante gli inverni passati dovrebbe fornire indizi utili per tracciare un’immagine di un’area molto più vasta. Un’analisi del ghiaccio potrebbe anche fornire una risposta ad alcune importanti domande relative alla regione, come quelle relative a come il clima è cambiato durante il passaggio tra il Periodo caldo medievale e la Piccola era glaciale».
L’Ue ha finanziato con 2,5 milioni di euro il progetto di ricerca EarlYhumanImpact, del Dipartimento di scienze ambientali, Informatica e Statistica di Ca’ Foscari che impegnerà 15 ricercatori per 5 anni e che prevede spedizioni in Nuova Zelanda ed Usa, passando per l’Himalaya e le Alpi per quello che l’università veneziana definisce «Un viaggio indietro nel tempo lungo 10 mila anni»
Si tratta dei finanziamenti dell’Erc Advanced Grant, destinato ai migliori progetti di ricerca dell’Ue e le attività sono iniziate proprio dalle Alpi con i ricercatori impegnati per settimane fra il Monte Rosa e il massiccio dell’Ortles; contemporaneamente alcune operazioni sono state condotte negli Usa e sull’Himalaya. il gruppo di ricercatori effettuerà attività di carotaggio nei sedimenti dei laghi e nelle calotte di ghiaccio fra Stati Uniti, Nuova Zelanda e le Alpi Occidentali ma si servirà anche di campioni già in possesso che provengono dal Kilimangiaro, dalla Mongolia, dall’Uganda, dall’Antartide.
L’università, in un comunicato, spiega quali sono le finalità di EarlYhumanImpact,: «Ricercare tracce di incendi risalenti a 10 mila anni fa quando, superata l’era glaciale, il mondo aveva assunto l’aspetto attuale e i nostri antenati, divenuti stanziali, avevano cominciato a dedicarsi alla caccia e all’agricoltura per procacciarsi il cibo. La ricerca di alimenti, e quindi la necessità di acquisire sempre nuovi spazi da coltivare, avrebbero indotto le popolazioni di allora a bruciare ingenti quantitativi di foreste la cui cenere veniva poi utilizzata come fertilizzante. L’ipotesi di fondo, molto combattuta fra gli studiosi, è che l’aumento di gas serra nell’atmosfera possa essere ricondotto ad attività antropiche già 6-7000 anni fa. Ad oggi però non esiste alcuna traccia di ciò, gli studi fin qui prodotti si sono infatti basati soltanto su reperti archeologico-antropologici».
A capo del team di ricercatori c’è Carlo Barbante, docente del Dipartimento di scienze ambientali, informatica e statistica di Ca’ Foscari, che spiega: «Le tracce si chiamano marker molecolari specifici – dice – ovvero sostanze che si possono cercare ad esempio sulla neve. Queste molecole, una volta analizzate, sono in grado di dirci se questa attività antropica c’è stata. Studiare le epoche del passato per individuare la ‘legge’ che regola la variazioni di temperatura in relazione all’immissione di gas serra; la ricerca ha lo scopo di comprendere la sensibilità del clima di 10 mila anni fa per poter prevedere quella del domani. Se lo studio riuscirà a scoprire di quanto il clima è stato allora in grado di registrare le variazioni di temperatura anche a seguito di piccole immissioni di gas serra, si aprirà la strada per una relazione diretta con le variazioni attuali. La ricerca si inserisce dunque nell’ampio dibattito sui cambiamenti climatici e il riscaldamento globale, in particolare intende ricostruire e localizzare i primi segnali dell’impatto umano sull’ambiente e sul clima del nostro pianeta».
Info:
www.greenreport.it
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